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Marisa Cecchetti. “L’ultima corriera per la saggezza” di Ivan Doig
27 Maggio 2020
 

Ivan Doig

L’ultima corriera per la saggezza

Traduzione di Nicola Manuppelli

Nutrimenti, 2020, pp. 544, € 20,00

 

In due mesi estivi un ragazzino di undici anni vive emozioni, fa scoperte, affronta situazioni che non è facile sperimentare in una intera vita. E macina migliaia di chilometri sulla corriera tra ovest ed est degli USA, portandoci con sé sulle strade, nelle condizioni più impensabili.

È il giugno del 1951 e Donal, orfano di genitori, è costretto a lasciare il ranch del Montana dove vive con la nonna che fa la cuoca, perché lei deve subire un importante intervento chirurgico e non lo può lasciare solo. È una donna che ha saputo educare il ragazzo e che non tace davanti alle maniere grette: ma “il capo del ranch era riluttante a licenziare quella cuoca linguacciuta, perché sapeva quanto fosse brava a sfamare tanta gente con pochi soldi”. Il ragazzo ha paura perché teme che lei non guarisca, che perda il lavoro e finisca nella casa dei poveri, allora per lui aprirebbe un “terrificante orfanotrofio”. Lo affida a sua sorella, che vive nel Wisconsin con il marito, che non vede da una vita, che il ragazzino non conosce, ma comunque è l’unico legame parentale su cui poter contare.

L’esergo da La strada di Keruac contiene lo sgomento del bambino che perde le sue uniche sicurezze, con la paura di proiettarsi in un mondo sconosciuto, di viaggiare per la prima volta da solo tra Montana e Wisconsin, con una vecchia valigia che raccoglie pochi indumenti: Cos’è quella sensazione che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? È il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’Addio. Si allontana con la nostalgia del ranch, dove ha vissuto con gli adulti e da cui ha imparato molto. Lo aspettano due giorni ed una notte di viaggio: “La mente mi frullava mentre attraversavo il prato spoglio di quello che si sarebbe potuto definire pressappoco un cortile e che separava la nostra casa, i capannoni che fungevano da dormitorio, il fienile, i capanni, i recinti degli animali e tutto il resto della grande proprietà del Double W”.

Donal - Capo Rosso per il colore dei suoi capelli - porta gelosamente con sé un una punta di freccia in ossidiana che lui stesso ha trovato in un torrente -freccia indiana di età precolombiana, gli hanno detto- che diventa il suo amuleto. E gli fa compagnia un album in cui raccoglie le dediche delle persone che incontra, quelle che gli sembrano interessanti, originali, importanti, famose.

Il viaggio è lunghissimo ed estenuante tuttavia lui ha la possibilità di scoprire una varietà straordinaria di tipi umani con cui sa relazionarsi senza svelare mai nulla di sé e costruendo ogni volta, con estrema rapidità di fronte a domande curiose, storie diverse sulla propria famiglia, sui genitori, con fantasia sfrenata.

L’arrivo dai parenti prima lo fa ben sperare -con l’illusione di essere ospite di una zia speciale- poi lo getta nello sconforto. Gli sembra un mondo strano con uno sconosciuto modo di relazionarsi ed una mancanza di attenzione e rispetto. L’estate da trascorre nel Wisconsin si prospetta infinita.

Quando il lettore prova già ad immaginare quell’estate triste ed a seguire il ragazzino, ecco che Doig dà una virata creando un coprotagonista, lo zio Dutch, un uomo con cui Donal si trova a suo agio, appassionato di storie del West e di Indiani Apache.

L’amore di Ivan Doig per il suo nativo Montana a questo punto si manifesta in tutta la sua forza, quando siamo trascinati sulla strada, a bordo della corriera, ancora verso ovest, ma ora il ragazzo non è solo. Lo zio viaggia con lui, vanno insieme, liberi, a scoprire il mondo. Così conosciamo straordinarie feste indiane e incontriamo un campione di rodeo che riesce a non farsi buttare a terra da una cavalla selvaggia e indomabile. Le pagine dedicate agli Indiani sono quasi un romanzo nel romanzo, mutato del tutto l’ambiente, con personaggi nuovi, cariche passione e di scoperte.

E il viaggio continua. La fantasia di entrambi, la curiosità, la voglia di avventura, sono al massimo: “Ma intanto, ci si proietta in avanti verso una nuova, folle avventura sotto il cielo”. Ma non va sempre bene, perché sulla strada si incontrano anche individui che procurano guai irreparabili. Inoltre, se condividere una esperienza di libertà assoluta con un adulto è entusiasmante, purtroppo piano piano escono le magagne, quando, del suo compagno di viaggio, il ragazzo scopre un passato di rischi, di disgrazie, di fughe e di bugie, che ancora aspetta il saldo del conto. Crolla all’improvviso la sicurezza dell’adulto ed a questo punto i ruoli si invertono e Capo Rosso prende in mano la situazione per proteggere Dutch o Herman o come si farà chiamare.

L’ultima corriera per Wisdom -la salvezza- è quella su cui salgono, un bus scarcassato, senza un soldo in tasca, insieme a lavoratori stagionali che sembrano barboni, per andare a raccogliere il fieno nel Montana. Ma sono fiduciosi: “Guarda, sembra davvero la Terra promessa. Mi indicò un ampio spazio aperto, dove sia il fiume che la strada andavano a confluire, per così dire, e il paesaggio lentamente si trasformava nella più bella terra da pascolo che avessi mai visto”.

Dove sono finite la zia, la nonna? La nonna è guarita? Che cosa ci fa un ragazzino che non ha ancora dodici anni alla raccolta del fieno in un ranch? Chi è il proprietario del ranch? E quello è davvero lo zio? Che passato nasconde? Ci sono la galera e l’orfanotrofio ad aspettare i nostri due?

Le sorprese spuntano ad ogni angolo, in questo romanzo che Doig (1939-2015) scrisse poco prima di morire, l’ultimo di tanti in cui ha celebrato il suo west. E lo deve aver conosciuto molto bene. Come deve aver conosciuto bene un ragazzino dalla fantasia sfrenata come il nostro Capo Rosso.

 

Marisa Cecchetti


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