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Luciano Pecorelli. Il mio primo congresso radicale
06 Novembre 2007
 

È il mio primo congresso radicale. Una scelta meditata e inevitabile quella dell’opzione radicale, per chi come me, pur cattolico di nascita, ma laico per scelta, cultura ed intimi convincimenti, a lungo ha vissuto la passione della politica dalla parte dei cattolici, riempiendo la propria anima di illusioni e delusioni, di amarezze. Esse trovarono il loro primo apice nel rapimento e nel delitto di stato di Aldo Moro.

Nella tragica stagione del terrorismo, largamente ispirata e coltivata da pezzi dello stato e da servizi segreti, anche stranieri. Ad Aldo Moro e a tutte le vittime del terrorismo va il mio commosso ricordo, alle loro famiglie la mia solidarietà. Ma la mia comprensione, non condivisione, badate, non può mancare per le altre vittime del terrorismo, quei combattenti in buona fede, presi in giro e mandati al massacro. Per le loro famiglie, ugualmente distrutte. Ed infine il mio rispetto, per coloro che con un convinto percorso interno di dissociazione hanno saputo tornare a se stessi ed alla società.

Un capitolo a parte merita l’uomo che reputo più che un amico, un fratello ed un esempio, Sergio D’Elia, che mai carnefice, ma vittima di leggi speciali ed ingiuste, ha pagato a dismisura, in un dolore pieno di dignitoso coraggio, l’errore suo e di una generazione che alcune volte ritenne le proteste e le urla, inadeguate alle proprie ragioni, proprio come oggi continua ad accadere. Mi vergogno con forza, Sergio, quando vedo la congiura della mediocrità e dell’ignoranza, mettersi ciclicamente in moto per farti tacere. Grazie Sergio per il meraviglioso impegno di guidare, insieme alla nostra preziosa tesoriera, Elisabetta Zamparutti, insuperabile per impegno, sensibilità ed intelligenza, tutti noi sotto la bandiera di Nessuno tocchi Caino. Grazie “terrorista” Sergio D’Elia, grazie di avere scelto la nonviolenza e, quindi, di essere radicale. Ma stiamo attenti, la stagione del terrore non è finita, troppe ambiguità e troppe bugie hanno reso impossibile una reale riconciliazione, non un vuoto e finto perdonismo poteva chiudere quei momenti, ma la verità, senza aggettivi.

A questo proposito, in questa sede voglio, con forza, esprimere tutta la mia preoccupazione per le dichiarazioni di importanti ministri, popolari magistrati, politici ed alti funzionari dello stato, su un ritorno del terrorismo. Basta illazioni buone per giustificare qualsiasi atto violento. Basta litigi da comari indispettite, tra magistrati e politici, che si rilanciano le accuse di essere in combutta con i poteri forti, mentre in realtà è chiaro che si affrontano per sottrarsi quote di potere, paralizzando politica e giustizia. Ribadisco, chi sa parli. Non lo dobbiamo solo alla memoria dei morti, ed alla storia, ma anche e soprattutto ai giovani di oggi, che non meritano anche questo fardello sulle loro già provate spalle. Giovani che debbono poter aver fiducia nelle istituzioni. Giovani che grazie al nostro egoismo ed alla nostra ottusa cecità, stanno crescendo pieni di sfiducia per il futuro. Sentite con quanto delicato, pacato e rassegnato disincanto, questa giovane scriveva un anno addietro su un blog, della propria vita: «apparteniamo alla prima generazione che, nostro malgrado, non se la passerà meglio di quella precedente. Alla mia età (25) mia madre aveva un lavoro stabile, era sposata con mio padre (più grande di due anni) e già aspettavano me. Io non riesco ad immaginare di poter costruire una famiglia mia, neanche tra dieci anni. Che siano stati più bravi e risoluti, o semplicemente più fortunati, non saprei dirlo, ma i fatti sono questi». Parole che mi hanno commosso. Rileggo spesso questo post per non dimenticare, per ricordare ciò che a queste nuove generazione abbiamo tolto: la speranza. Chi lo ha scritto ha solo realisticamente considerato i fatti, con struggente malinconia, percorrendo quasi in punta di piedi una via dolorosa di cui non si intravede la fine. La politica ha dovuto aspettare che il governatore Draghi annunciasse: i nostri giovani sono i peggio pagati d’europa, ma loro, le vittime, lo sapevano già. Perché portavano sulla viva carne le sferzate dell’umiliazione e del bisogno. Che, il neo segretario nazionale del PD, legga le lettere di ragazze, come questa, che già a venticinque anni sembra aver rinunciato a sperare, perché la speranza per una giovane ed un giovane è ormai morta. Lei, signor segretario del PD, non può fingere di occuparsi dei giovani e delle loro istanze, per carpirne la buonafede, l’impegno ed i voti e poi occuparsi solo della sua immagine. È imbarazzante, vederla alla guida di un vecchio nuovo partito, che non riesce ad essere né laico né moderno, che ha come unica ragione sociale il potere e non una diversa elaborazione e visione di esso, che continua ad avere nelle nuove generazioni, la paura di chi è inadeguato a risolvere i problemi, e solo per sopravvivere, si risolve ogni tanto a cooptare qualcuno, offrendogli il misero piatto di lenticchie della sopravvivenza. Umiliando la generalità dei nostri giovani, dimenticando che per essi, tutti, senza figli e figliastri, vale la pena lottare. Lo comprenda Veltroni, se un giorno non vorrà essere ricordato come Aldo Moro ha consegnato, nel suo memoriale, Benigno Zaccagnini alla storia: pallida ombra, dolente senza dolore, preoccupato senza preoccupazione, appassionato senza passione. E torniamo ai giovani, che con molte ragioni, un futuro temono di non avere, dobbiamo offrire loro la garanzia che li aiuteremo a costruire un paese, finalmente laico, dove crescere i figli con un onesto lavoro che dia, se non la certezza, la opportunità del domani, non sarà magari il classico lavoro che dura una vita, quanto lavoro per tutta la vita utile. Una casa dignitosa a prezzi compatibili, un’assistenza sanitaria completa, servizi sociali e sicurezza pubblica, il potere raccogliere i frutti della libera ricerca scientifica, un sistema fiscale equo, una pensione per la loro vecchiaia, e finalmente quei diritti civili che continuano ad essere largamente conculcati, da un sistema politico condizionato dalla teocrazia, invadente ed oscurantista. La violenza è figlia, anche, di un sistema assurdamente maschilista che continua a dilagare nelle aule del parlamento e dei tribunali. Dove spesso le fedi fanno, di donne e figli, solo oggetti, su cui esercitare il controllo e imporre anche inumani diritti. E con umiltà, impegno e capacità, cancelliamo dai cuori e dalle menti della nostra gioventù, che cresce, ci valuta e ci giudica, il fantasma del precariato, la loro angoscia più profonda, con un’attenta azione legislativa e di governo volta ad esempio a completare la legge Biagi con norme adeguate sugli ammortizzatori sociali, ma ciò è possibile soltanto se sapremo restituire alla classe politica moralità e operosità.

Insieme, noi e loro, dobbiamo sconfiggere la partitocrazia e la movimentocrazia, cavalli di Troia di tutte le mafie, che attraverso questi mostri controllano la nostra vita e il nostro futuro. Combattiamo, per vincere noi ed i nostri giovani, i non garantiti di oggi che rischiano di esserlo anche di domani. È questa la nostra missione politica, il fronte prioritario del nostro impegno, il piano di investimento sul nostro futuro. Un progetto per cui ha senso esistere come partito, e prenderne la tessera, cosa che io e tutti i miei amici faremo anche per il 2008.

 

Luciano Pecorelli

(da Notizie radicali, 6 novembre 2007)


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