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Swati Safena. Caccia alle streghe
31 Luglio 2007
 

Bhilwara, India. A mezzanotte, all'interno della sua casa in un remoto villaggio indiano, la sedicenne Chaandi Balia cominciò a rotolarsi sul pavimento, compiendo movimenti violenti mentre emetteva strani suoni. L'intero villaggio si radunò per vederla “giocare”, come il fatto viene definito nel dialetto locale, e Chaandi Balia annunciò che uno spirito aveva preso possesso del suo corpo e le aveva detto che la sua vecchia zia, Khemi Balia, era una strega e doveva essere bruciata.

Guidati dalla ragazza e dalla sua famiglia, gli abitanti del villaggio furono contagiati dalla medesima frenesia e cominciarono a preparare una pira funebre. Quella stessa notte, sapendo che l'unica possibilità di sopravvivere consisteva nella fuga, Khemi Bali lasciò silenziosamente il villaggio. La fragile sessantenne viaggiò a piedi scalzi, nel gelo, attraverso i campi. Non sapeva dove stava andando, e non era neppure sicura che sarebbe vissuta abbastanza per vedere l'alba.

Raggiunse incolume un villaggio che le era estraneo ed in cui non conosceva nessuno.

Riluttante ad affidare il proprio fato alla polizia, e diventata amica di una donna locale, ricevette da quest'ultima il consiglio di rivolgersi a Tara Ahluwalia, un'assistente sociale della vicina città di Bhilwara che aiuta le vittime della caccia alle streghe. Grazie alla lunga esperienza, Ahluwalia capì subito che la donna era stata perseguitata a causa dell'acro di terra coltivabile che possedeva, la sua sola fonte di reddito. Etichettandola come una strega, gli accusatori di Khemi Balia era riusciti a rimuoverla dal villaggio e ad entrare in possesso della sua terra.

I casi di caccia alle streghe sono numerosi nelle aree rurali di una dozzina di stati indiani, principalmente nel nord e nel centro del paese. Circa 700 donne sono state uccise lo scorso anno perché sospettate di essere streghe, secondo quanto riportano i media nazionali. «Sono zone in cui la povertà è estrema, e in cui le persone hanno scarso o nullo accesso alle necessità sanitarie di base e all'istruzione», dice Ahluwalia. «In queste circostanze, la superstizione acquista forza. I problemi sono tanti: cattivi raccolti, morti in famiglia, la perdita di un bimbo, malattie croniche o il prosciugarsi dei pozzi, ma la soluzione resta identica: identificare la strega responsabile e punirla».

Etichettare una donna come strega è il modo comune di avere più terra, cancellare le dispute o vendicarsi se costei ha rifiutato una proposta sessuale. Vi sono anche casi documentati in cui una donna viene prese di mira perché ha un carattere forte ed è perciò vista come una minaccia. Nella maggioranza dei casi è difficile per le donne accusate ottenere aiuto dall'esterno, ed esse sono forzate a lasciare la casa e la famiglia o a suicidarsi, oppure vengono brutalmente assassinate.

«Molte vicende non sono documentate perché è difficile per le donne viaggiare da regioni isolate sino ai luoghi in cui possono fare denunce», spiega Ahluwalia. «E poiché la violenza è diretta largamente contro le donne, la polizia spesso omette di prenderla sul serio. Al meglio, la rubricano come un disagio sociale che dev'essere risolto all'interno della comunità. Quando una donna ce la fa a raggiungere la stazione di polizia, l'atteggiamento apatico dei funzionari le rende ancora più difficoltoso il processo di sporgere una denuncia».

Ahluwalia aiutò Khemi Balia non conducendola dalla polizia, ma sollecitando la riunione del “jaati panchayat”, e cioè del gruppo di persone assai rispettate in seno ai villaggi che sono intitolate a risolvere le dispute. La pressione sociale assicura che le decisioni prese in questo modo verranno rispettate. L'assistente sociale usa questo sistema da venticinque anni.

Ahluwalia radunò l'intero villaggio e minacciò di esporre quanto era accaduto e di far arrestare la famiglia degli accusatori. Gli accusatori non chiesero l'intervento di autorità esterne: messi all'angolo, ammisero che la faccenda della strega era una sciarada, e si scusarono pubblicamente con Khemi Balia. Questo è stato un caso eccezionale, perché la donna è potuta ritornare a vivere nel suo villaggio.

Solo una manciata dei 28 stati indiani, come Jharkhand e Bihar, hanno una legge contro la caccia alle streghe. «È l'handicap maggiore», dice ancora Ahluwalia. «Nella maggioranza degli stati non c'è legge sotto cui la polizia possa rubricare il reato. Si tratta di tentato omicidio, ma in assenza di una legge specifica, la polizia registra la denuncia sotto la più mite: “Sezione 323”. Mi spiego: diciamo che io ti dia uno schiaffo oggi, e il reato cade sotto la 323. Se dico che sei una strega, e quindi ti costringo a mangiare escrementi, ti faccio sfilare nuda in pubblico e ti picchio sino a che muori, quando va ancora sotto la 323».

La pena massima che questa legge prevede è un anno di prigione o una multa di 1.000 rupie (circa 25 dollari). Nel Rajasthan, la Commissione statale per le donne ha presentato una proposta di legge che inasprisce le pene, chiedendo dieci anni di prigione per chi ferisce una donna durante una caccia alla strega. «Un notevole numero di casi avviene nel Rajasthan, pure il progetto di legge sta aspettando da un anno, e ancora non è passato all'esame del governo», nota Kavita Srivastava, segretaria nazionale della più antica organizzazione per i diritti umani indiana, l'Unione del popolo per le libertà civili.

Meno del 2% di coloro che vengono accusati di aver effettuato cacce alle streghe sono effettivamente condannati, secondo uno studio compiuto dal Free Legal Aid Committee, un gruppo che lavora a favore delle vittime nello stato di Jharkhand.

«Le punizioni per questa orrenda violenza devono essere severe», dice la dott. Girija Vyas, presidente della Commissione nazionale per le donne, «Ed è di eguale importanza pubblicizzare l'esistenza delle leggi. Voglio dire, negli stati in cui abbiamo una legge contro la caccia alle streghe, quante sono le donne che ne sono a conoscenza?».

La Commissione ha raccomandato la formazione per le forze di polizia, affinché i funzionari diventino più ricettivi nel considerare i casi di caccia alle streghe, e sta pensando ad una legislazione a livello nazionale. Ma l'educazione e la consapevolezza sociale sono le vere chiavi. In numerose comunità rurali l'ohja, o medico-stregone/medica-strega, è una figura potente, soprattutto in assenza di ambulatori e servizi sanitari di base. Nei casi riportati dai media, l'investigazione della polizia ha spesso rivelato che gli ohja accettano prebende per accusare una donna di essere una strega.

«Etichettare una donna come strega non solo la depriva economicamente, ma erode il suo senso di fiducia ed autostima», dice ancora la dott. Vyas. «Anche se ottiene di salvarsi la vita, porta il peso del sospetto e dell'odio della sua comunità, e a volte persino della sua stessa famiglia. È un problema sociale a più dimensioni e richiede un piano d'azione molteplice».

 

Swati Safena*

 

 

Maggiori informazioni:

Commissione nazionale indiana per le donne: http://ncw.nic.in

Unione del popolo per le libertà civili: www.pucl.org

 

* Giornalista indiana indipendente, i suoi articoli vengono pubblicati da media nazionali ed internazionali. 16 luglio 2007, traduzione di M.G. Di Rienzo.


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