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Eutanasia clandestina. Lo scandalo che non c’è
05 Aprile 2007
 

Non fanno scandalo le parole di Umberto Veronesi. Non fanno scandalo le parole di Piergiorgio Welby: «in Italia, l’eutanasia è reato, ma ciò non vuol dire che non esista» (lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, 22 settembre 2006).

L’illegalità, o quantomeno la denuncia dell’illegalità, non fa scandalo.

 

La richiesta dell’Associazione Luca Coscioni di una indagine conoscitiva sull’eutanasia clandestina è caduta nel vuoto della politica e dell’informazione italiana, tanto che il Parlamento ha ignorato un nostro appello sottoscritto da più di ventimila persone, compresi moltissimi medici, volto semplicemente a fare luce sul fenomeno.

Si può capire la resistenza di coloro che sono contrari a qualsiasi forma di eutanasia, i quali temono che sottrarla alla clandestinità possa portare, come è accaduto in Olanda, a normative regolamentatrici. Non è chiaro invece perché certa sinistra - riformista o antagonista - continui a evitare di confrontarsi con il problema, che trasforma quello che dovrebbe essere un diritto in un privilegio di classe, riservato a chi ha risorse economiche e di conoscenza tali da essere libero di decidere sul proprio fine vita, in Italia o all’estero. A meno di non pensare che l’illegalità sia un rimedio all’inadeguatezza della politica.

 

Eutanasia, accanimento terapeutico, sospensione delle cure sono espressioni su cui occorre fare chiarezza, ma ciò è possibile solo se esiste la volontà di aprire un dibattito pubblico approfondito che ha come presupposto la conoscenza di quello che accade in situazioni drammatiche nelle corsie dei nostri ospedali e fra le mura domestiche.

Nella clandestinità le decisioni di fine vita vengono prese troppo spesso dal medico e dai familiari più che dal malato, ma anche i medici sono costretti a operare in completa solitudine, tra il timore di essere sottoposti a giudizio penale e la consapevolezza, maturata in scienza e coscienza, che è giunto il momento di aiutare la persona perché la sua malattia è irreversibile e senza speranza e le condizioni di sofferenza fisica e psichica non sono più accettabili.

 

Se non vogliamo che il dibattito sia inquinato da pregiudizi o posizioni ideologiche occorre prendere coscienza della reale consistenza del fenomeno dell’eutanasia clandestina nel nostro Paese. Per questo l’Associazione Luca Coscioni, nonostante l’ignavia della classe politica, resta convinta della necessità di una indagine conoscitiva e dell’opportunità che sia promossa da istituzioni autorevoli, al fine di offrire un contributo di chiarezza alla discussione sulle decisioni di fine vita, permettendo ai cittadini, qualunque sia la loro posizione, di attingere a dati scientifici attendibili, aggiornati e rilevati su scala nazionale.

Forti di questa convinzione, Mina Welby, Marco Cappato e Giulia Simi hanno inviato una lettera al presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, Amedeo Bianco (foto), chiedendo che siano gli Ordini a farsi promotori dell’indagine conoscitiva anonima sull’eutanasia clandestina. A distanza di tre settimane restiamo ancora in attesa di un cenno di ricevuta.

 

Contestualmente stiamo cercando di percorrere un’altra strada, perché pensiamo che anche dalle Regioni possa venire un contributo importante al dibattito sulle decisioni di fine vita. In queste settimane, grazie all’impegno dei militanti dell’Associazione Coscioni, di Radicali Italiani e col sostegno di politici, medici, scienziati, ricercatori attivi nelle varie realtà, la richiesta di indagine conoscitiva è stata o sarà sottoposta all’attenzione degli assessori alla Sanità di tutte le Regioni. L’idea è che indagini conoscitive siano realizzate nel maggior numero possibile di Regioni, in modo che i risultati, presi nel loro complesso, abbiano una valenza nazionale. A tal fine è importante che il lavoro scientifico e la rilevazione dei dati statistici sia coordinato da un’unica struttura in modo da ottenere dati omogenei e confrontabili.

 

Continua la rimozione dell’eutanasia clandestina, ma siamo fiduciosi che ci sia ancora un giudice a Berlino.

 

Giulia Simi e Andrea Francioni

(da Notizie radicali, 4 aprile 2007)


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