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Se quello islamico è «risveglio», vi prego non svegliatemi 
E faccia pure politica, la Chiesa, ma senza usufruire dei privilegi concordatari
24 Ottobre 2006
 
«Risveglio religioso, sociale e politico dell'Islam». «Risveglio» è dunque il termine scelto da Ruini, parola con evidente significato positivo, per descrivere l'attuale fase della civiltà islamica, nei suoi "fermenti" religiosi, culturali e politici. Prendiamo atto con stupore.
Di questo «risveglio» - dal mio punto di vista parlerei piuttosto di una crisi profonda e oscura - il «terrorismo internazionale» è uno degli aspetti. «Questo grande processo ci tocca da vicino, a nostra volta, sotto il profilo religioso e non soltanto sociale, economico e politico». È quel «a nostra volta», che non è sfuggito a Luigi Castaldi, che ci inquieta. Se quello che sta vivendo il mondo islamico è un «risveglio», be', non voglio essere svegliato.
Quando il Papa critica una «nuova ondata di illuminismo e di laicismo» che «sul piano della prassi» erige «la libertà individuale a valore fondamentale» sta dicendo che per la Chiesa, a nome della quale parla, la libertà individuale non dovrebbe essere un valore fondamentale.
La Chiesa però «non intende essere un agente politico», ci ha tranquillizzati Benedetto XVI a Verona. Certo, esporsi direttamente, prendere parte, scendere in campo, è pericoloso, si rischia di dividere la "umma" cattolica e di trovarsi a negoziare sui «valori non negoziabili». Dunque, la Chiesa non si abbassa, non "fa politica", la fa attraverso i «fedeli laici» che «illuminati dalla fede e dal magistero» (Ratzinger) si ritrovano sui «valori non negoziabili», confrontandosi «non in ambito ecclesiale, non in parrocchie, ma in altri spazi», più adeguati a «produrre le opportune convergenze sia tra cattolici che tra coloro che condividono i valori con i cattolici» (Ruini).
La Chiesa non "fa politica", ma la fa anche attraverso i «molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la nostra fede», che condividono con molti credenti «la gravità del rischio di staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà».
In questo dobbiamo dare ragione a Ernesto Galli Della Loggia: tra le due linee, «il Papa ha scelto», nonostante l'apparente genericità della retorica pontificia. E fanno un po' sorridere quei goffi e disperati tentativi di interpretare in senso conciliarista i discorsi di Ratzinger, ammesso (e non concesso) che il Concilio abbia poi impresso quella svolta che i conciliaristi pretendono. Ammesso (e non concesso) che sia mai esistita la loro lettura del Concilio a cui ritornare, Benedetto XVI non c'è davvero ritornato.
«Con le cose che ha detto come con quelle che non ha detto», Benedetto XVI tra le due linee ben descritte da Galli Della Loggia (che si dividono su questioni quali il peso della Tradizione e l'approccio verso la modernità), ha certamente rinnovato la sua opzione, pronunciando «tutti i no che la fede e la tradizione consigliano» e tornando a parlare di esclusione di Dio dalla sfera pubblica, di relativismo e laicismo, delle «forme deboli e deviate di amore», e, infine, aprendo «con fiducia» agli atei devoti.
Da un punto di vista liberale è preferibile invece che la Chiesa la politica la faccia direttamente, anche candidando alle elezioni suoi membri, e che riveli, quindi, il suo volto "politico", senza l'ambiguità di chi ripete di non "fare politica" ma poi un giorno sì e l'altro pure si appella direttamente al legislatore perché sia proibito questo e quello, o perché si ricordi di versare l'obolo. Faccia pure politica la Chiesa, ma senza usufruire dei privilegi concordatari, dell'8 per mille, e dismettendo la statualità della sua Città-Stato del Vaticano. Adotti il modello americano di separazione fra stato e chiese e concorra con i suoi valori «non negoziabili» nel libero mercato delle opzioni politiche.
 
Federico Punzi
(da Notizie radicali, 23 ottobre 2006)

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