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Ipotesi su Milingo
Emmanuel Milingo. Scomunicato
Emmanuel Milingo. Scomunicato 
28 Settembre 2006
 
Codice di Diritto Canonico, canone 1382: «Il Vescovo che senza mandato pontificio consacra qualcuno Vescovo e chi da esso ricevette la consacrazione, incorrono nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica».
La legge è legge, la punizione ricevuta da monsignor Emmanuel Milingo ci sta tutta.
Se è per questo – se la legge è legge – ci stava pure nel 2001, quando sposò la signora Maria Sung perché il canone 694 (punto 1, capo 2) recita: «Si deve ritenere dimesso dall'istituto, per il fatto stesso, il religioso che […] abbia contratto matrimonio […] anche solo civilmente».
E invece niente, cioè, un materno scappellotto e basta.
 
La Chiesa è fatta come è fatta, lo Spirito Santo così le dice d’essere, non si può mica chiederle di essere diversa. Per esempio: sul fatto che un prete non possa assolutamente sposarsi, la Chiesa è rigorosissima. Però, se ti penti e abbandoni tua moglie – da prete, ovviamente, perché da laico non si può, la Chiesa è contraria al divorzio – è disposta a perdonarti.
Se sei Emmanuel Milingo, ovviamente.
Perché se sei un qualsiasi don Coso cui sia venuta una gran voglia di essere marito, il perdono è un pochetto più difficile. Qui, invece, si trattava di un ministro di Dio d’un certo peso. Arcivescovo, per giunta. Con un seguito di fan più numerosi di quelli che ha il veggente Gennaro D’Auria: più volte – pare – Sua Eccellenza ha guarito ed esorcizzato, con mano – pare – miracolosa.
La faccenda è il canovaccio d’un teatrino delle marionette. Gennaio 2001: Milingo scompare da Roma. Maggio 2001: sposa a New York, sotto mille flash, la coreana Maria Sung. Pochi giorni dopo: nella sala stampa della Santa Sede, Joaquin Navarro-Valls definisce il matrimonio di Sua Eccellenza «una grave ferita alla comunione che i Vescovi in primo luogo devono manifestare con la Chiesa». Ma un portavoce dice quello che si vuol far sapere e molto probabilmente non è una panzana quella che Sua Eccellenza mise poi a sigillo: «Quello scandalo l’ho procurato ad arte. Volevo lo choc. Ho colpito nel segno». E tutto sarebbe confermato dal fatto che Giovanni Paolo II non ebbe parole dure con lui, quando gli diede udienza, neanche un mese dopo…
 
Infatti, il 6 agosto: “«arla con Bertone, lui ti dirà quello che si deve fare», gli dice il Papa. Neanche un rabbuffo. 9 agosto: viene segregato in una casa dei Focolarini ai Castelli Romani; in ottobre, viene spedito in Argentina. Ma il 27 settembre dell’anno dopo rientra in Italia, di nuovo nella sede dei Focolarini, ad un tiro di schioppo da San Pietro. Il 13 ottobre 2002 si stabilisce a Zagarolo, in una residenza riservatagli dalla Curia. Una settimana dopo, torna a dire messa in pubblico.
Così fino all’altrieri. Poi, non ce l’ha fatta, non v’è rimasto.
 
La Chiesa è strana. Cioè – pardon – ha una logica tutta sua. Il principio del celibato del clero poggia su assai opinabili esegesi evangeliche, mischiate ad assai ambigua precettistica paolina (vi risparmio la documentazione): eppure è un principio sul quale la Chiesa è inflessibile, fino a espellere dal suo seno chi lo viola: salvo un occhio di riguardo ai vip, come s’è visto.
Il mandato pontificio a consacrare vescovi, invece, poggia su esegesi evangeliche ancora più opinabili e su precettistiche ancora più ambigue di quella paolina (come sopra): eppure, qui, l’inflessibilità fino alla scomunica latae sententiae è la regola: senza eccezioni. Si trattasse pure dello scismatico monsignor Marcel Lefebvre, che oggi un autorevole prelato della Curia definisce persona dal profilo nobilissimo (“Primo Piano”, Raitre, 26.9.2006); figuriamoci la ridicola macchietta di un guaritore africano che – si insinua contestualmente – è solo un 76enne arrapato, dunque psicologicamente instabile (non mi dite niente: sono sillogismi da sagrestia, mi limito a riportarli).
Chissà, se non avesse consacrato quei vescovi, Sua Eccellenza avrebbe potuto sperare in un altro perdono. Ma ti permetti di mettere a soqquadro la burocrazia divina e consacri un vescovo senza mandato pontificio, Dio ti fulmini, possa tu bruciare in eterno, e sappi: quando muori, ti seppelliamo in mezzo ai massoni e ai satanisti – sulla lapide ci scriviamo “erotomane”.
 
Finché è durata, è durata. Alla Chiesa faceva comodo che il caso di monsignor Milingo fosse esemplare di quella materna disposizione al perdono, che tante volte è le mancata per le colpe molto più veniali di don Coso. La tesi doveva essere quella sintetizzabile nel titolo del volume che raccoglie la lunga intervista che Michele Zanzucchi, caporedattore della rivista cattolica Città Nuova, ha fatto a Sua Eccellenza, or non molto: Il pesce ripescato dal fango. Come mai? In altri termini: perché Milingo meritava tanta clemenza dalla Chiesa? Solo perché era un vip?
 
Ci sarebbe un’altra ipotesi. Milingo era l’asso nella manica della politica vaticana nei confronti delle sette religiose che pullulano sempre più nel Terzo Mondo. Milingo aveva – e forse ancora non ha abbandonato – un suo piano, un suo progetto politico; la Chiesa – in essa, soprattutto, lo strapotere della Curia – non lo bocciava del tutto, ma lo riteneva prematuro, per la solita estenuante cautela in tutto, che stavolta ha trovato un propositore intemperante. Tanto intemperante da rischiare il tutto per tutto, anche sé stesso, per vedere vincente la sua linea.
Sono gesti di un coraggio radente la follia che, pur se fonte d’imbarazzo per molta ecclesia perbene, erano fonte di qualche fascino nell’ecclesia della curva B e – da non crederci – perfino in Vaticano.
Fino al passo senza possibilità di ritorno, se non in tempi molto lunghi: la consacrazione di quattro vescovi sposati.
 
Questa ipotesi, che lega inscindibilmente in Milingo la questione del celibato e quella della consacrazione di vescovi senza mandato pontificio, non ha alcun peso – come dire – scientifico. Basa solo sul fatto che per tutto questo tempo, Maria Sung era in Zambia, ospite dei familiari di monsignor Milingo. Una carta di riserva, si direbbe quasi: al suo progetto, Milingo non ha mai smesso di tenerci.
Riguarda un aspetto della secolarizzazione che non risparmia la Santa Sede – che, anzi, è l’elemento che la dissolverà comunque, prima o poi, dal di dentro, perché è oggettivamente irresistibile – questo aspetto della secolarizzazione è la perdita del sacro nel corpo stesso della dottrina, prim’ancora che nell’azione politica della Chiesa nel mondo moderno – è la trasformazione del cristianesimo (cattolico e no) in behaviorismo – la religione si esistenzializza, si psicologizza, si comportamentalizza.
Il cristianesimo che è nel cattolicesimo del terzo millennio è sempre più (e non potrebbe essere diversamente, pena l’incistamento in un comunitarismo settario) un vademecum, la ricetta d’un toccasana. È mero manifesto.
 
Politica, cultura, antropologia, Risiko – la modernità ha reso impossibile ogni ortodossia della Parola – rimane solo la gestione dell’Ermeneutica, la politica dei mezzi per gestirla, promuovere il primato di Roma su essa. Non è l’aprirsi al mondo del Concilio Vaticano II: si è constatato che avrebbe sconvolto tutto. È l’apertura di canali attraverso i quali succhiare ciò che del mondo moderno può tornare utile, pure l’Illuminismo se è il caso (basta non sia “illuminismo drastico”), pure Darwin (se prendiamo l’evoluzione e buttiamo via l’evoluzionismo), pure la laicità (basta che non degeneri – chetelodicoafare – in laicismo).
Ma il processo è inarrestabile, la crisi è irresistibile, perché tutto ciò che è modernità rifiuta la trascendenza o la riduce ad altro: esistenzializza, psicologizza, comportamentalizza – secolarizza.
Milingo voleva (e forse ancora vuole, chissà che questa non sia uno spendersi in tal senso) che la Chiesa sia potente competitrice delle sette, che hanno capito già da tre o quattro decenni come si reclutano anime, oggi. Milingo voleva (e forse ancora vuole) che la Chiesa scenda sullo stesso piano, diventi la più grande setta planetaria, omni-inculturalizzatrice.
Ha dalla sua il vantaggio di essere nato nel Terzo Mondo – di lì infatti vorrebbe iniziare. È un progetto enorme. Difficilissimo. Adesso che è stato scomunicato è ancora più difficile.
 
Luigi Castaldi
(da Notizie radicali, 27 settembre 2006)

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