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Roberto Pereira. Zucchero a Cuba, paradosso etico 
Concerto in programma all'Avana per l'8 dicembre. Con interessante P.S. 'Zucchero camaleonte'
04 Dicembre 2012
 

«Il prossimo concerto lo farò a Cuba», questa fu la promessa che Zucchero si appresta a compiere dopo poco più di vent'anni. Luci appena spente sul palco e l'emozione ancora in gola, Mosca illuminata a giorno ed euforia alle stelle. Due anni prima era caduto il muro di Berlino e il Rocker Italiano portava nella poesia delle sue canzoni quell'aria di libertà assente per troppi anni. Nel lontano 1991 l'artista, ragazzo visionario del Sessantotto, sognatore e romantico, lanciò la sfida: «Un concerto cosi lo farò a Cuba».

Non ci saremmo mai aspettati di veder passare così tanto tempo. A dir la verità molti della mia generazione, nati dopo il Sessantotto – intellettuali, attivisti e gente comune – ci eravamo illusi che quel vento della Perestroika e Glasnost prendesse piede con forza anche nella società civile cubana, scuotendo quei grossi muri che la nomenclatura governativa aveva creato, monopolizzando la vita sociale e culturale del paese. Se ne parlò molto in quel periodo, il desiderio di partecipare alla vita civica del proprio paese restò lettera morta.

Il governo e tutto il suo apparato repressore ebbero la meglio, etichettarono come traditori i “sovietici”, vietarono e ritirarono i pochi giornali che circolavano – Spunnik e Le novità di Mosca – tradotti in spagnolo, perché ritenuti ideologicamente pericolosi e sovversivi. Dopo poco arrivò la visita di Gorbachov per riportare in patria i soldati russi e per dire a Fidel Castro che era finita un'epoca. Cuba non sarebbe stata più un satellite comunista sovietico.

Il tempo si fermò. Ricordo ancora i discorsi dell'epoca: «Toccava a noi cubani portare avanti la missione abbandonata e tradita dai sovietici». Tutti coloro che vollero alzare la voce ricevettero come ricompensa il carcere o l'esilio. Cuba sprofondò nel periodo speciale. Nessun cubano può dimenticare i black-out continui di quei duri momenti. I russi non ci regalavano più il petrolio e la situazione si faceva sempre più difficile. Nel 1994, mentre Zucchero partecipava al festival di Woodstock negli States e cantava “Miserere” (A volte la migliore musica è il silenzio), sul lungomare dell'Avana scoppiava la rivolta, il Maleconazo, dopo che la guardia costiera del governo fece affondare un traghetto pieno di famiglie, sequestrato da alcuni balordi con l'intenzione di portarlo in Florida.

Gli anni sono passati compagno Zucchero, mentre faceva le sue tournée in America, Cuba non si era fermata a quella romantica cartolina che ricorda con nostalgia. Da allora molte sono state le sue battaglie e campagne per il mondo a favore di coloro che soffrono e sono discriminati. Il suo impegno dimostrato in questi anni, a fianco di Pavarotti, Bono degli U2, Jovanotti e tanti altri, le fa onore.

Per questo motivo il suo concerto a porte chiuse all'Accademia delle arti Sceniche a Cuba appare paradossale,(ragazzi che nel 2009 fecero una protesta repressa dal regime: vedi » video 1 e » video 2) visto che addirittura si fa fotografare col Ministro della Cultura cubano, noto inquisitore di un regime che fra l'altro ha il compito di reprimere e censurare ideologicamente tutti coloro che dissentono, artisti come Lei, irriverenti e rivoluzionari. La nostalgia dei barbuto l'acceca al punto di autocensurarsi? Cosa direbbe John Lennon? Lei che canta «...ho un diavolo in me...» scende a patti con un regime che manda in carcere gli anticonformisti, che divide gli artisti non in categorie musicali, ma in favorevoli o contrai ideologicamente. La lista degli scomunicati è infinita: da Arturo Sandoval, Paquito de Rivera, Celia Cruz, Gloria Stefan per citare i più noti. Senza contare chi – pur rimanendo a vivere a Cuba – non viene mai passato alla radio, uno per tutti il gruppo Los Aldeanos, noto fra le nuove generazioni per il modo rivoluzionario con cui affronta la realtà.

Non so quanto questo concerto possa veramente appagare in Lei la promessa strappata vent'anni fa dopo la caduta del muro di Berlino. Cuba è lontana dall'Italia, i mass media e i suoi fan dimenticheranno i suoi compromessi con un regime ostile verso chi dissente pur di attuare un capriccio nostalgico su quella rivoluzione che non esiste più. Quando l'otto dicembre si accenderanno le luci sul palco del suo concerto a porte chiuse finalmente potrà sentir vibrare in ognuno di loro quel ragazzo visionario, sognatore e romantico del Sessantotto. I ragazzi dell'ISA e forse anche tutti gli altri che rimarranno fuori, percepiranno con forza quell'aria di libertà nella poesia delle sue canzoni assente a Cuba per troppi anni. Il giorno seguente, dopo l'euforia dell'evento storico continueranno le loro piccole battaglie quotidiane per abbattere quel muro della loro “rivoluzione”.

 

Roberto Pereira

 

Revisione testo a cura di Gordiano Lupi

 

 

P.S. interessante! Guardate:

» Qui l'intervista rilasciata al Granma il 3 dicembre scorso.

» Qui invece un'anticipazione (05/12/2012) di quella a Vanity Fair n. 49 in edicola.

In particolare, si veda la risposta a questa domanda del prestigioso magazine:

Ma secondo lei i cubani sono felici?

«Non si capisce, perché non ne parlano. A volte faccio domande un po’ sibilline, ma non ti rispondono. Ho trovato solo pochissimi che hanno detto di volere andare via. Risposte coraggiose perché c’è una forma di controllo: uno ascolta l’altro. Io non vivo qui e non so, vengo a Cuba da musicista benestante, come posso avere un’idea di come sia la vita? L’unica cosa di cui mi sono potuto rendere conto organizzando il concerto è che la burocrazia è una cosa sfinente: per mettersi d’accordo su dove farlo ci sono voluti mesi». (r.p., 06/12/2012)


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