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Annagloria Del Piano. 25 Aprile: Festa della Liberazione 
La lotta di liberazione in Valtellina, nelle pagine della pubblicazione a cura di Sergio Caivano
22 Aprile 2016
 

Per attribuire alla giornata del 25 aprile il suo senso più profondo occorre ricordare cosa è successo durante il movimento di Resistenza, anche nelle nostra Valtellina. E trasmetterne storia e memoria ai giovani, alle nuove generazioni. Lo facciamo attraverso le pagine e le riflessioni che nascono dalla pubblicazione di qualche anno fa dell’ANPI di Sondrio, a cura del professor Sergio Caivano, meritevole di un accurata e completa ricerca storica che, con un linguaggio semplice e diretto, punta a mettere da parte le emozioni e a riportare i fatti così come accaduti, in grado già di trasmettere il tutto… Naturalmente si avverte comunque la compartecipazione di chi è fermamente convinto che la nostra unica, vera, identità di Italiani si riconosca nel Risorgimento, nell’Unità d’Italia e quindi nella Resistenza, da cui sono sgorgate la Repubblica e la Costituzione: il nostro stesso sistema moderno di Stato.

 

Nella nostra Valtellina il primo Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) nasce a Morbegno e forse pochi sanno che sono le operaie dello stabilimento Bernasconi, con il loro sciopero del marzo ’44, a gettare i primi semi di un plateale gesto antifascista, dimostrandosi capaci di lottare pacificamente, disobbedendo al divieto di scioperare. A seguire l’esempio della creazione di un proprio comitato locale sarà Chiavenna, quindi Bormio e via via le varie, principali località della valle. Dapprima si tratterà di piccoli gruppi indipendenti gli uni dagli altri, poi, nella tarda primavera ’44, sarà un ufficiale di artiglieria – Dionisio Gambaruto (Nicola) – con esperienza nei GAP milanesi, ad occuparsi di una vera e propria organizzazione per un’intransigente azione contro i nazifascisti. Ha inizio così la Resistenza armata in Valtellina: sistematiche azioni di guerriglia, consistenti in imboscate, prelevamenti di viveri a armi, distruzione delle liste di leva nei municipi, scontri diretti, diffusione di manifesti clandestini ecc… In poche parole, tutto quel che necessita per ostacolare l’invasore nazista e il suo alleato fascista.

Sono parecchie le battaglie, i combattimenti e perfino gli eccidi accaduti in Valtellina ed è bene ricordarli, visto che la nostra Valle ottenne nel 1987 la Medaglia d’argento al valor militare per la Resistenza, con la seguente motivazione:

«(…) Le popolazioni, senza la cui solidarietà fattiva e costante non sarebbe stata possibile la lotta partigiana in un tessuto di villaggi e casolari disseminati su tutte le aree di dislocamento delle formazioni, pagarono duramente la colpevole connivenza e partecipazione, con repressioni e ritorsioni terroristiche. (…) I centoquaranta caduti partigiani, i quarantotto caduti civili e i centoquarantaquattro mutilati, invalidi e feriti convalidano ed esaltano il contributo corale della gente valtellinese e valchiavennasca, degne protagoniste del Secondo Risorgimento italiano».

Citiamoli, allora, questi fatti che hanno creato la Storia con la S maiuscola, ben consapevoli che tanti altri, non noti, si saranno verificati in quel travagliato periodo.

 

LA BATTAGLIA DI BUGLIO IN MONTE. L’11 giugno ’44 la 40ª Brigata partigiana Matteotti occupa, senza spargimenti di sangue, il paese di Buglio in Monte. Viene deposto il podestà, si distribuiscono agli abitanti i viveri destinati ai maggiorenti del fascio, la lana deputata all’ammasso, si nomina il Sindaco e sul comune sventola la bandiera rossa. È il primo comune della Valle a guadagnare la libertà: per tutto il movimento partigiano e per la stragrande maggioranza antifascista dei valtellinesi è una notizia entusiasmante. Ma è un entusiasmo decisamente prematuro, che porta il comandante della Brigata, Nicola, a comunicare per sfida al Prefetto di Sondrio l’avvenuta azione. La reazione è immediata: il 16 dello stesso mese un esercito che non si era mai visto in Valtellina fino a quel momento, di quasi mille soldati, raggiunge Buglio, sparando cannonate e distruggendo abitazioni, stalle, cascine e travolgendo il distaccamento partigiano. Vengono uccisi nove partigiani e sette civili, tra i quali anche due bambini, due fratelli di 14 e 2 anni. È la fine di un sogno. Per molti, soprattutto per i valtellinesi presenti nella 40ª Brigata, l’azione del partigiano, comandante Nicola fu grossolana, ma a spegnere ogni polemica vale la constatazione che l’azione, seppur criticabile dal punto di vista militare, fu decisiva per dare il via ufficiale alla lotta contro il nazifascismo in Valtellina. Il comune di Buglio, per le violenze subite dalla sua popolazione e per l’aiuto fornito dalla stessa al movimento partigiano, ricevette la Medaglia d’oro.

 

I FATTI DI CAMPO TARTANO. Nell’estate del ’44 i fascisti delle Brigate Nere arrivano nel paese di Campo Tartano, alla ricerca di renitenti alla leva. Un abitante, sordomuto, impaurito scappa verso un’altura e viene ammazzato. Vengono poi prelevati altri due paesani, condotti a Sondrio e infine mandati nei campi di lavoro da dove solo uno dei due tornerà, testimoniando. Nei giorni di settembre si verificano nuovi attacchi in Val Tartano, dove si vanno formando numerosi gruppi di partigiani, che riescono in gran parte ad essere respinti, a costo però di numerosi incendi di case e stalle.

 

IL ROGO DI UZZA IN VALFURVA. Il 7 luglio ’44 una pattuglia di partigiani dell’Alta Valle cattura e giustizia una spia fascista delle Brigate Nere, infiltratasi in borghese (come sempre avveniva) in Valfurva. Come rappresaglia, parte subito l’ordine di incendiare la frazione di Uzza. Gli abitanti del piccolo borgo perdono tutto: case, viveri, indumenti e bestiame. Due di loro vengono uccisi a mitragliate. Per la cronaca storica, va ricordato che la responsabilità di quest’azione fascista viene attribuita al graduato della Guardia Nazionale Repubblicana Achille Compagnoni, che tuttavia non partecipò di persona all’operazione.

 

LA BATTAGLIA DI MELLO. Il primo ottobre ’44 una vasta area del comune di Mello è teatro di un terribile scontro, tra i più violenti verificatisi in Valle, tra fascisti e partigiani. L’abitato di Mello, secondo il solito copione, viene dato alle fiamme: venti sono i partigiani morti, appartenenti alla 40ª Brigata Matteotti e alla 90ª Brigata Zampiero, e diversi i civili.

 

L’autunno del ’44 è terribile per la Resistenza in Valtellina. Il comandante in capo Alexander, che dirige le truppe alleate in Italia, con forze ridotte perché dirottate più che altro sul fronte francese e di sostegno al movimento partigiano slavo, dà ordine tramite Radio Londra ai partigiani italiani di ritirarsi temporaneamente per l’inverno e ricominciare la Lotta in primavera, non potendosi assicurare gli aiuti necessari di armi, viveri e indumenti. È un colpo tremendo per il movimento partigiano; solo pochi possono contare su rifugi sicuri presso case amiche o in Svizzera. Si apprestano, così, a superare l’inverno come meglio possibile, in clandestinità.

 

LO SCONTRO DI BOIROLO. È il primo mattino del 24 novembre ’44 quando ingenti forze nazifasciste bene armate raggiungono la frazione di Boirolo, sopra Tresivio per catturare partigiani, forse segnalati dai delatori, come sempre frequenti nella Storia. Un breve e violento scontro porta subito alla morte di sei partigiani su un totale di quindici della Brigata Sondrio. Ben tre onorificenze per l’alto prezzo pagato saranno loro tributate. Anche il comandante della Brigata, il tenente alpino Alberto Pedrini (in quella giornata impegnato in altra azione), verrà catturato, torturato e ucciso a Castione (il piazzale in zona Garberia a Sondrio è a lui dedicato).

 

Nell’autunno ’44 la primaria occupazione dei comandi fascisti è ormai dunque la distruzione del movimento di Resistenza partigiana. Dal 30 novembre si sviluppa in Valtellina un attacco preciso in tal senso: circa 5.000 uomini armati accerchiano le zone della Val Chiavenna, Val Màsino, Valmalenco e Val Geròla al fine di stanare tutti i partigiani. Viene bruciata ogni baita, casolare, magazzino, ogni possibile rifugio che possa essere ricondotto a loro. Nonostante la dura resistenza opposta e i tanti caduti le forze partigiane, ormai sfaldate e a piccoli gruppi, tentano di sconfinare in Svizzera e mettersi in salvo, per poi riorganizzarsi non appena possibile. Sfiniti e abbattuti, quelli che ce la fanno devono consegnare le armi al loro ingresso in territorio elvetico. In diversi paesi dell’Alto Lario sono, però, ben 36 i patrioti catturati, quasi tutti uccisi. Tra i partigiani caduti, il giovanissimo Riccardo Rinaldi, della 40ª Brigata Matteotti, torturato e ucciso negli stessi giorni del Pedrini. I loro due cadaveri vengono prelevati dai fascisti e mostrati a Caiolo alla popolazione, affinchè si rendesse conto del trattamento riservato ai partigiani e a quanti li avessero aiutati.

 

L’ECCIDIO DI VERVIO. Nella notte tra il 2 e il 3 febbraio ’45 sugli accampamenti partigiani di Vervio si riversa una cinquantina di fascisti. Alcuni patrioti si salvano trovando rifugio nei boschi, ma 4 giovani vengono sorpresi nel sonno e catturati. Un quinto, viene bloccato in paese. Legati, interrogati e picchiati, sono infine uccisi.

 

Nella primavera del ’45 le azioni partigiane si intensificano in tutta la Valle: a Grosio, sul Mortirolo, in bassa Valle, in Val Chiavenna… Si tratta di azioni incessanti che mettono a dura prova i nazifascisti e fanno registrare perdite fra le loro fila. A Sondrio muore il partigiano Andrea Graziadelli di Piateda, detto il Moro, per non aver rivelato notizie utili agli oppressori. Venne colpito presso la passerella che allora collegava il Gombaro con la mulattiera che risale verso Maioni, mentre si apprestava, col resto della Brigata Rinaldi, ad un’azione volta ad impossessarsi delle armi del distretto fascista di Castel Masegra. Interrogato duramente sul movimento partigiano, il Moro mantenne il silenzio, morendo in seguito alle ferite riportate. Una lapide, con scultura di Livio Benetti, ricorda l’episodio al Ponte del Gombaro.

 

L’ECCIDIO DI TRIASSO. Nei primi giorni di aprile del ’45, alla Sassella, i partigiani aprono il fuoco su una colonna fascista, uccidendo un repubblichino. La reazione dei comandi fascisti non si fa attendere. Convinti che gli spari siano giunti da Triasso, diverse decine di fascisti il 6 aprile entrano nella frazione, radunando tutti gli uomini sul piazzale Polatti e interrogano furiosamente gli abitanti sui fatti. Non ricevendo risposte né informazioni, forse neppure conosciute dai paesani, scelgono 4 uomini e li fucilano, non prima di aver richiesto al padre di due dei radunati quale dei due figli volesse veder risparmiato… Non ottenendo risposta, sarà quello deciso dai carnefici a perire. Il tutto mentre la popolazione inerme, le donne, i bambini implorano pietà. Carlo Dell’Agostino di anni 25, Carlo Stangoni di anni 32 e Silvio Melè di anni 19 vengono trucidati. Questo eccidio colpì moltissimo la cittadinanza di Sondrio; si era ormai prossimi alla Liberazione, la fine del conflitto era nell’aria. Nessuno era disposto a far passare la cronaca di avvenimenti tanto vili come una rappresaglia, lecita in guerra. Una lapide a ricordo dei tre giovani è esposta a Triasso, mentre a Sondrio, presso il cimitero cittadino, tre colonne di marmo spezzate simboleggiano quelle tre vite stroncate.

 

LA RAPPRESAGLIA NEL PAESE DI DESCO. Al ponte di Desco, in seguito ad una sparatoria, viene ucciso un milite che fa da staffetta ad una Brigata Nera. Per rappresaglia, i reparti fascisti entrano nell’abitato di Desco e seminano il consueto terrore, raccogliendo uomini, pretendendo informazioni sui partigiani della zona, malmenando pesantemente anche il parroco. Poi, sempre all’altezza di Desco, sulla strada, uccidono i primi tre uomini che incontrano.

 

Intanto la caduta nazifascista si fa di giorno in giorno più vicina e certa. L’ultimo tentativo dei fascisti, per morire almeno come dicono loro di “bella morte, ossia con le armi in pugno”, è l’ideazione del “ridotto alpino in Valtellina”, come ultimo avamposto al Nord. L’idea dei Tedeschi è quella di far saltare le dighe, di attentare all’immenso patrimonio idroelettrico valligiano, al fine di mettere in ginocchio le popolazioni e il movimento di Liberazione. Non è un caso che le grandi società proprietarie degli impianti idroelettrici, con l’ausilio dei Servizi Segreti americani, spingano le forze partigiane a porre al centro delle loro azioni la difesa delle dighe e delle centrali.

 

LA BATTAGLIA DI GROSIO. Il 18 aprile ’45 le formazioni partigiane riunitesi in Alta Valle (Brigata Mortirolo, dei Gufi, Brigata Sondrio e qualche reparto della Brigata Stelvio) attaccano una lunga colonna di fascisti francesi (i miliciens, costituiti sul modello delle SS) in viaggio per realizzare il progettato ridotto alpino. Lo scontro è duro e lungo. Diversi Francesi e i due automezzi da loro condotti restano sul campo. Così avviene anche per due partigiani, poi decorati alla memoria con Medaglia d’argento e di bronzo. Il ridotto alpino non può essere realizzato: è la fine dell’offensiva nazifascista e dei progettati rastrellamenti.

 

L’ INCENDIO DI SERNIO. Nella notte del 24 aprile i fascisti incendiano l’abitato di Sernio, riducendolo a rovine. Ottanta, le famiglie colpite e due i morti. Si è trattato anche questa volta di una rappresaglia fascista, dovuta all’uccisione di poche ore prima presso il ponte di Sernio di cinque fascisti, da parte di alcuni partigiani della zona di Baruffini.

 

LA BATTAGLIA SULL’ALPE ANGELOGA. In Valchiavenna un’ingente forza nazifascista (circa 700 uomini) tenta il rastrellamento dei partigiani della zona. Gli scontri avanzano verso la Val di Lei, con vittime da entrambe le parti. I fascisti continuano l’attacco sull’alpe di Angeloga, ma i partigiani riescondo ad assestarsi in Val di Lei.

 

MORTE DEL COMANDANTE ALESSI. Il 26 aprile, nelle primissime ore del mattino, viene ucciso a Sant’Anna, da fascisti in perlustrazione, il comandante Edoardo Alessi (Marcello) – Medaglia d’argento al valor militare – e il suo assistente Adriano Cometti. Una lapide a memoria, posta sul luogo dei fatti – il sentiero che collega Colombera a Sant’Anna – ricorda l’episodio, che peraltro non è mai stato del tutto chiarito nella sua dinamica. Alessi, nome di battaglia “Marcello”, era stato il comandante della Prima Divisione Alpina Valtellina di volontari della libertà ed era stato posto al vertice del Comando Unificato di zona Valtellina-Alto Lario. Decisiva l’organizzazione di stampo militare da lui messa in atto per riunire e coordinare le varie Brigate, dirigendole in azioni di guerriglia, determinanti in quella primavera del ’45.

 

Il 25 aprile ’45 il CVL (Comitato Volontari della Libertà) e il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) impartiscono l’ordine di insurrezione generale. È la Liberazione!

Ci sarà poi la cattura di Mussolini, della Petacci e di molti gerarchi fascisti il 27 aprile ’45 e la loro uccisione mentre tentano la fuga in Svizzera (il duce travestito da Tedesco, insieme agli ufficiali tedeschi…). La Liberazione della Valtellina prosegue: prima la Valchiavenna, poi Morbegno, il 28 è la volta di Tirano dopo una lunga battaglia e di Sondrio, dove i fascisti provano a resistere con una breve sparatoria dal Castel Masegra. La guerra è finalmente finita.

Il giorno 29 aprile i partigiani di tutte le valli sfilano davanti ai sondriesi , accolti da baci, fiori e applausi.

Da soli avevano liberato la Valtellina: le truppe americane sono appena giunte a Milano.

 

Annagloria Del Piano

 

 

FONTI BIBLIOGRAFICHE:

Sergio Caivano, Resistenza e Liberazione nelle nostre valli

Edizioni Polaris per A.N.P.I., 2011, pp. 170

Per info: ANPI Comitato Provinciale di Sondrio

Via Lungo Mallero Diaz, 18 – 23100 Sondrio

Tel./fax 0342 562400 – anpisondrio@libero.it


Foto allegate

Partigiani sfilano per le strade di Milano
Il Comandante Alessi
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