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Lidia Menapace. Falce, martello e... 
(e la “plebe all'opra china” anche su computers e nei call center)
17 Aprile 2008
 

Alcune cose da mettere subito in preparazione, se non vogliamo precipitare nelle risse inconcludenti.

Prima di tutto, avendo affermato più volte anche prima della campagna elettorale che saremmo usciti meritatamente dalla storia se non avessimo saputo rimediare alla frammentazione a sinistra ecc., la risposta che ho ricevuto potrebbe essere “Va pure, la storia non ha bisogno di te”: questa sarebbe la lettura ovvia e immediata. Ma siccome voglio avere ancora qualcosa da fare da grande e constato che la richiesta di scuole di politica è forte e resiste anche dopo la batosta, mi ci metto.

Qualcosa sulle procedure ho detto nella “lettera dalle catacombe”. Credo comunque che bisognerà tornare a ripercorrere criticamente il processo da quando si avviò, si fermò, segnò il passo, non prese il volo e finì per avere la caratteristica di una messa cantata, che è sempre un po' noiosa e troppo lunga, a meno che il gregoriano non sia di eccellente qualità.

Mi tocca poi spiegare perché insisto sulla relativa insignificanza di “falce e martello”. Innanzitutto perché è un simbolo identitario ed esclusivo, magari semmai aggiungiamo una pentola o il fuso, così si vede che ci sono anche donne nell'idea di lavoro. Almeno un telaio, se vogliamo alludere alla lunga storia del lavoro industriale anche femminile. Capisco che è una stupidaggine, ma un simbolo anche gloriosissimo, quando non è più significante, deve essere cambiato. Non certo trasformandolo in un tricolore democratico, naturalmente. A me l'immagine dell'Arca di Noè che esce dal diluvio, vede l'arcobaleno, accoglie la colomba col ramoscello d'ulivo nel becco, sbarca su una terra intatta, piace, anche perché -come già dicevo- il suo fondamento e utilità è che ogni vivente vi è ospitato in coppia e perciò il 50 & 50 vi è affermato da subito.

La falce e il martello sono simboli del lavoro dei campi e delle officine, proprio come dice in modo commovente l'Internazionale, ma per negarlo: “noi non siam più nell'officina... pei campi... la plebe sempre all'opra china senza ideali in cui sperar”. Dal che si deduce che la primissima immagine che di sé il movimento operaio voleva dare era quella del superamento della identificazione col lavoro, per volgersi anche a ideali e speranze. Questo nega subito una idea economicistica del lavoro industriale subordinato per incominciare a tratteggiare quella che poi sarà chiamata classe operaia come classe generale che liberando se stessa, libera tutti (ma non tutte perché non include la contraddizione di genere).

Anche oggi esiste certo un lavoro subordinato e sfruttato, che anzi si allarga nel mondo in varie forme, ma in Europa e negli USA non è più classe generale, non ha coscienza di sé come classe ed è perciò statisticamente e socialmente lavoro dipendente che accetta senza batter ciglio di trovarsi nella stessa lista a fianco di industriali grandi e potenti e loro sì classe generale. Montezemolo dà un giudizio sulla situazione politica e sociale e viene citato in tutti i tg.

Di più, la tendenza a votare Lega anche essendo iscritti alla Cgil data dalle prime uscite della Lega: mi ricordo che successe alla Dalmine molti anni fa.

Segnala una torsione corporativa dei lavoratori dipendenti. La corporativizzazione della società, oltre ad essere indicata da Luhmann, è una deriva inevitabile, se si esclude che vi possano essere idee generali che connettano e interpretino una società. Sicché siamo all'economicismo più determinista e piatto: i lavoratori dipendenti si piegano sulla loro condizione, chini non più all'opra, come nel vecchio canto, ma sul computer o altri aggeggi tecnologici, senza idee in cui sperar. E poiché la borghesia ha bisogno di lavoratori dipendenti in tutto e per tutto stesi, chini su se stessi, può anche dare mance e riconoscimenti materiali purché i lavoratori rinuncino ai diritti e al contratto nazionale.

Credo bisogni analizzare meglio anche la coscienza del precariato: non si può in centinaia di migliaia stare al mondo per decenni in condizioni di lavoro precario, senza che ciò produca una specifica coscienza di sé, oppure invece alienazione di coscienza, cioè puro rispecchiamento della condizione.

A me pare che se non siamo bene accolti davanti alle grandi fabbriche, non è perché i lavoratori siano molto “a sinistra” di noi, bensì perché magari hanno deciso di votare Lega e i nostri appelli a favore degli immigrati li irritano.

Darò, appena sarò a casa dove ho i testi, le indicazioni giuste per due libretti che vorrei leggessimo per cominciare la nostra riflessione e che apposta sono scelti anche perché sono di piccola mole e non accademici. Se vogliamo fare una scuola interattiva bisogna che il carico di lavoro sia equo ed equamente distribuito.

I due libri sono: Il virus liberale (La guerra permanente e l'americanizzazione del mondo) di Samir Amin, edito da Asterios. Mi pare un ottimo testo di indirizzo e di informazioni, è recente e aggiornato, ma non accademico. Vorrei aggiungere che Samir Amin è un patriarca gentile e buono, che cita con frequenza le donne, ma accusa le femministe di essere colte e un po' borghesi, come se invece Marx fosse ignorante e proletario. O Engels. Quando le suffragiste inglesi buttavano volantini dalle tribune del parlamento bisognava che fossero signore alfabetizzate; quando Florence Nightingale inventò le infermiere professionali era figlia di un medico, ma non poté iscriversi a medicina perché donna, e allora si dedicò all'alfabetizzazione di donne povere che così appresero un mestiere e lo resero importante. Si potrebbero portare molti altri esempi.

L'altro libro, questo invece suggerito per poter avere un racconto degli ultimi anni della nostra storia è: L'oca al passo, di Antonio Tabucchi, edito da Feltrinelli. Nemmeno Tabucchi è tutto da condividere e è piuttosto acre verso alcuni tra noi, ma ha passione civile, indignazione morale, senza moralismi, è documentato e ironico. Fa vedere che un atteggiamento critico serrato e persino iper, non cade, può non cadere nel grillismo. È lui pure un patriarca gentile: non ci insulta né cita, ma è grande ammiratore di Susan Sontag e ciò fa sì che gli possano perdonare amnesie a nostro danno.

La nostra scuola interattiva di politica potrebbe cominciare anche con alcune letture comuni.

E secondo le segnalazioni di Ileana Montini potremmo anche sentire da Biorcio se ci dà un po' di sua bibliografia sulla Lega, fenomeno pericoloso, ma non da ignorare.

Ieri sera ho ascoltato un pezzo di “Porta a Porta” perché c'era un incontro tra donne e devo dire che il livello era molto alto e la conoscenza dei problemi molto superiore a quello dei soliti che frequentano i dibattiti televisivi. Sicché quando esprimevano una cultura rigorosamente emancipatoria e però sempre entro la cornice della bravura e non del diritto (chissà perché gli uomini possono anche non essere affatto bravi) mi dicevo che dovremo studiare anche donne di destra o moderate, portatrici sane di culture maschili radicate e acriticamente assimilate. E poi agite con maggiore operosità, tenacia, praticità.

Sono primi cenni di alcuni dei temi di cui vorrei che ci occupassimo, se interessano. Buona notte, la campanella è suonata da un bel po' anche per una scuola serale.

 

Lidia Menapace


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