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La portata del fiume di Nocera e la, purché “sana”, laicità
11 Dicembre 2006
 

Devo e voglio parlare di due cose, una minuscola e da un territorio marginale, una sul papa e non occorre aggiungere altro.

 

La prima si svolge a Nocera Inferiore in provincia di Salerno ed è un dibattito organizzato da Emily, cui prendono parte donne (e uomini) di un ampio arco politico e culturale, il titolo è bello, non scontato:"Le donne contro la violenza, la violenza contro le donne". Siamo alcune relatrici e un relatore; gli apporti sono vari e ben calibrati, ma a me ciò che fa davvero emozione (una emozione forte e allegra, piena di speranza) è la comunicazione immediata e vera con le giovani e i giovani: è vero, il femminismo è un fiume carsico, ogni tanto scompare nel grembo della madre terra e vi riprende vigore e freschezza e poi rispunta non si sa dove, non si sa quando, a Milano "Usciamo dal silenzio", a Napoli "194 parole di libertà" a Roma "Facciamo breccia" (e poi parlerò del papa). È una cosa viva, non "doverosa", bensì necessaria giusta e puntuale. Parlarne riempie il cuore, entra nei polmoni e risuona come una voce della natura, come il vento o la pioggia o lo stormire delle foglie. Mi fermo, non voglio fare della retorica, ma ciò che dico è ciò che ho provato e voglio perciò ringraziare chi a Nocera ci ha pensato e ha pensato anche a me, per fare il tramite, per fare la vecchia talpa che scava e trova il fiume sotterraneo.

Dopo il dibattito e la cena abbiamo fatto notte fonda discutendo a casa di compagni con un gruppo di giovani comunisti /e che proprio da Nocera hanno inaugurato, prima delle decisioni nazionali, una forma della politica a due, in ogni carica. Sanno quanto ciò mi stia a cuore e rappresenti uno degli approdi delle mie riflessioni sulle forme della politica. Hanno appena chiamato un circolo "Rosa Luxemburg": questa volta è proprio la mia festa. Allora dirò tutto: ciò che vengono dicendo i e le giovani intorno al tavolo -mangiando pasta e broccoli e altre golosità e bevendo vino- parlando pacatamente ma con calore e passione, dà proprio la sensazione che le molte cose vicende riflessioni degli scorsi anni, comincino a mettere germogli bocci e preparare frutti. Con coraggio intellettuale e rispetto per le tradizioni, con grande ardire innovativo, ma nessuna esibizione di originalità a ogni costo, molto legati a ciò che è successo, ma per nulla ripetitivi archeologici dogmatici. Come dicono "non galoppini" né praticamente né di pensiero. A me -quando ho difficoltà espressive- vengono in mente citazioni latine o greche per vecchia abitudine di prof. La mia generazione citava in latino, non in inglese come l'attuale: devo dire -senza alcuna nostalgia- che preferivo quella egemonia culturale. Ma questa volta il latinorum è davvero spropositato: mi viene in mente Orazio quando per annunciare che Virgilio sta scrivendo l'Eneide, dice: «Nescio quid majus nascitur Iliade», sta nascendo qualcosa di più grande dell'Iliade. Ed è proprio questo. Se ci si mette nel solco di una corrente di pensiero e di azione per proseguirla, il confronto con la grandezza delle fonti è inevitabile: alla grandezza di Virgilio Orazio generosamente si riferisce citando il modello letterario più alto, il poema epico, il culmine -per gli antichi- dell'espressione poetica. Insomma mi sono spiegata? a parte la temerità dei paragoni, voglio dire che davvero c'è qualcosa di nuovo e di radicato, appunto un fluire di diverso tracciato, e portata del fiume, ma una corrente che si snoda senza cesure.

* * *

Intanto che noi facevamo cose tanto belle e utili, il papa enunciava la definizione di «sana» laicità. È una fissa: ha cominciato con Ciampi: quando andò a fargli la visita ufficiale dopo l'elezione, al presidente che gli citava alla lettera l'art. 7 della Costituzione, soggiungendo che questa è la laicità, Ratzinger rispose acidamente che bisognava vedere se era una «sana» laicità. Fu anche un formidabile sbrego dell'etichetta, dare sulla voce al suo ospite e pari (da capo di stato a capo di stato): ma Benedetto XVI è solito alle gaffes: dopo Ratisbona, l'ammissione della Turchia all'Europa, istituzione politica sulla quale il papa non ha giurisdizione alcuna, e ora ricevere Holmert nel bel mezzo della persistente crisi mediorientale ecc. Adesso intervenendo su un progetto di legge del governo italiano, dice che quella legge non rispetta la «sana» laicità, come dire che non è costituzionale: insomma non si capisce se c'è o se ci fa. Reputo necessario usare parole non soffocate dalla devozione, perché questo personaggio non accetta nemmeno che un volantino gli venga lanciato sulla testa quando passa l'otto dicembre sulla papamobile per andare a piazza di Spagna: insopportabile.

Allora: laicità, nozione eleborata in area cristiana, sostiene -tra l'altro anche come dottrina cattolica- che stato e chiesa (cattolica) sono distinti e indipendenti o -come si dice in termini di diritto ecclesiastico- stato e chiesa sono "società perfette" nel senso di compiute, complete, autosufficienti: hanno dei fini e tutti i mezzi per adempierli. La chiesa ha il fine della salvezza e tutti i mezzi (rivelazione, pastorale e sacramenti) perché i fedeli la raggiungano, non ha bisogno per questo dello stato, se non di uno stato democratico e laico che rispetti la sua libertà (come quella di tutti) e non invada il terreno religioso. A sua volta lo stato ha come fine il bene comune e tutti i mezzi (leggi e fisco) per raggiungerlo. Non tocca allo stato giudicare se la dottrina della chiesa è corretta o no, né alla chiesa di giudicare le leggi dello stato.

Naturalmente non è così facile come dirlo: infatti secoli di lotte per le investiture insanguinarono l'Europa feudale, ma insomma oggi, dopo la fondazione degli stati moderni laici e di diritto, la cosa è più chiara.

Al fondo di tutto, oggi viene a conclusione il processo di secolarizzazione, cioè quel processo storico per il quale molte aree della conoscenza e regole dell'agire si sono via via sgrovigliate da una soggezione religiosa formale e si sono costituite in autonomia. Hanno cominciato le Università, poi gli ordinamenti giuridici civili, poi l'arte, poi la politica, poi la scienza. Tutti questi passi del processo sono segnati da molti dolori e persecuzioni: ad esempio le Università ebbero spesso contese con i vescovi e affermarono la loro indipendenza di ricerca, non senza anche tremende condanne (Giordano Bruno), gli statuti comunali si affermarono anche in contrasto con la Chiesa (oltre che con l'Imperatore), già Boccaccio ebbe scrupoli e pressioni da uomini di chiesa perché bruciasse il Decamerone come libro sconcio (e taccio dell'Indice dei libri proibiti, abolito da pochi anni, come la richiesta di censura cinematografica, più recente): e si deve alla grande ammirazione e indipendenza di giudizio del Petrarca se il libro si è salvato; Savonarola bruciò opere di Botticelli e fu "ricompensato" da Leonardo, che gli fece un ritratto molto espressivo di un fanatismo ignorante, del resto anche Leone X nel famoso ritratto rivela uno sguardo volpino e cattivo e l'espressione "machiavellica". Sì, perché mentre Machiavelli veniva condannato, la sua dottrina, sotto il nome di "ragion di stato" veniva acquisita dalla Chiesa. Il peggio capitò a Torquato Tasso ammattito per gli scrupoli di non aver obbedito alla dottrina, sostenuta dalla chiesa, anche con apposita censura e imprimatur (non solo per l'arte) dell'arte pedagogica («succhi amari ingannato intanto ei beve e dall'inganno suo vita riceve»), ma di essere troppo incline al puro piacere del poetare. Un nome resta incancellabile in questa tragica lotta tra la laicità della ricerca e la pretesa della Chiesa di sottometterla ai propri testi ed è Galileo. Più tardi (e non solo da parte della chiesa cattolica) Darwin e persino Malthus, a proposito di controllo delle nascite, forse il primo intervento retrogrado sui temi della riproduzione. Adesso siamo ai crocefissi nelle scuole e tribunali e ospedali e alle coppie di fatto. Quanto dolore abbia già provocato la continua pressione sulle donne contro l'autotederminazione in caso di aborto o di maternità medicalmente assistita, non è dato sapere, ma si sa che è tanto. E anche il dibattito sull'accanimento terapeutico e sull'eutanasia è bloccato senza un'ombra di pietà.

Tristi tempi quando i credenti sono più laici degli atei devoti e la chiesa finge di non accorgersene perché gli atei devoti o i laici teneri sono più disponibili a cedere in senso conservatore e a scambiare favori e sostegni politici e di voto, favori e sostegno a soldi ed esoneri fiscali.

 

Lidia Menapace


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