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La dittatura della maggioranza
15 Febbraio 2010
 

Nel plateale scontro tra governo e magistrati, condotto dal ministro Alfano con grave scorrettezza, si sviluppa una cultura politica molto pericolosa, persino più ampiamente di quanto già non lo sia in sé, data l'importanza degli argomenti soggetti e istituzioni coinvolte.

Dice il ministro che il governo rispetta autonomia e indipendenza della magistratura e che i magistrati invece protestando contro delle leggi invadono il terreno della sovranità popolare e parlamentare: accuse pesantissime.

 

Proviamo a ragionare: fino a che si tratta di progetti di legge, non sono ancora leggi e i magistrati sono cittadini ed elettori come qualsiasi altro e perciò il fatto che protestino e giudichino e aiutino o ostacolino è del tutto legittimo, una forma di democrazia partecipata. Se poi protestano collettivamente secondo decisioni prese nell'Associazione nazionale magistrati, esercitano una sorta di sindacato, al quale hanno diritto.

Addirittura, se si trattasse di leggi già promulgate, proprio ai magistrati compete, dopo l'iter concluso fino alla firma del presidente della Repubblica, di giudicare in caso una legge sia sottoposta al giudizio della Corte costituzionale, se il quesito proposto non sia palesemente infondato, e mandare avanti le leggi da rivedere dal supremo organo di garanzia. Dunque la cittadinanza piena dei magistrati va rispettata.

 

Ma il governo invece tende a dire che chiunque lo critica nega o invade il terreno della sovranità popolare, come se essere in disaccordo col governo fosse già una violazione dei risultati elettorali. Si dice spesso che la nostra Costituzione è persino troppo garantista, piena di pesi e contrappesi: e meno male!

Andare avanti con la dittatura della maggioranza è una pericolosissima stortura proprio dei fondamenti della democrazia: ciascuno di noi sa benissimo distinguere tra proprie opinioni e norme stabilite, tra norme e proposte, tra sondaggi e regole. E a parte la forma repubblicana dello stato e il fondamento antifascista dell'intero ordinamento, tutto può essere sottoposto con le dovute procedure a mutamento costituzionale.

Ma rimane soprattutto vero che l'esercizio della cittadinanza comporta sia rispetto e applicazione delle norme generali convenute ed esercizio dei doveri e dei diritti, sia piena libertà di opinione coscienza ed espressione. Altrimenti tra poco comincerà ad esserci un'etica prescrittiva di stato alla quale non ci si potrà sottrarre. E anche una cultura di stato che l'invadenza della chiesa cattolica già lancia e il parlamento non ostacola, né i partiti, né la TV. Nessun argine laico viene dal parlamento, che anzi lascia volentieri che le questioni dei “valori” siano di pertinenza diretta del Vaticano.

Le opinioni sarebbero “pericolose”, libertà di stampa e di coscienza diaboliche, vige il Sillabo di Pio IX, per il quale la laicità deve essere “sana”, cioè conforme a ciò che la chiesa cattolica reputa laicità: essa pretende sempre di essere giudicata “juxta propria principia”, un assolutismo quale mai maggiore si vide.

 

Certo, se fosse in vigore formale il citato Sillabo, quanto tutto sarebbe più facile! i valori sarebbero predicati senza possibilità di contraddittorio dai pulpiti, ed esaltata l'ipocrisia come condotta di vita. Infatti chi vorrebbe mettersi contro? chi non “tiene famiglia”? e chi non rispolvererebbe l'immortale Guicciardini, pur di non perdere il posto o la beneficenza?

Sono convinta che manca poco e se non ci attrezziamo a resistere, non ce la faremo. Avremo una “cultura” democratica che sarà insegnata a catechismo, e dei diritti civili gestiti a beneficenza per i buoni e sottomessi, tutto sarà “condiviso”, tranne i soldi (non scherziamo!), lasciamo alla chiesa la beneficenza che mantiene sottomessi e grati: basta persone che sono convinte di avere dei diritti e scendono in piazza per rivendicarli, rallentano il traffico e provocano molto inquinamento. Se invece le donne tornano a stare a casa e dipendono dai loro mariti in tutto e per tutto, abbasseranno finalmente la cresta e impareranno la modestia, che sta bene anche alle fanciulle, chiunque gliela insegni. E il ricordo della promulgazione del Regno d'Italia sarà fatto diventare la festa dell'unità della nazione e guai a chi magari non “condivide”, pensando a Cattaneo e Ferraris e a Pisacane.

Canterà fuori del coro e sarà considerato uno che mina le basi della patria, un novello Catilina. Tra un paio di giorni diranno che mai hanno proposto una Protezione civile SPA, che sono stati fraintesi. E l'opposizione griderà alla vittoria. Ma se la Protezione civile sarà riorganizzata come struttura pubblica messa agli ordini dei prefetti, siamo da capo. La Protezione civile è un organismo essenzialmente legato al territorio, dovrebbe assomigliare ai Vigili del Fuoco volontari, stare sul territorio, tenere sotto controllo le aree a rischio, sorvegliare che le scuole e gli edifici pubblici in generale siano stati costruiti secondo le regole. Invece il decreto che forse sarà modificato quanto a SPA, metterà la Protezione civile agli ordini dei prefetti, cioè del governo centrale: non si è mai visto un ministro degli interni centralistico quanto Maroni. In nessun paese, anche minimamente federalista o autonomista o che anche solo pratichi il decentramento amministrativo, sarebbe accettato un funzionario del governo o dello stato che controlla il territorio. Che cosa vogliono darci a intendere? Ci prendono per scemi?

 

Lidia Menapace


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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