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Gino Songini. Non c'è maggioranza che tenga 
Non basta dire “La gente mi vota” per coprire le piaghe della nostra democrazia
21 Novembre 2009
 

Ce lo siamo meritati. Ci siamo meritati quest'Italia divisa in due come una mela spaccata a metà (per la verità, una parte è più grande dell'altra) nella quale gli uni gridano contro gli altri dalla mattina alla sera coprendosi vicendevolmente di contumelie e di vituperi. I giornali fanno spavento: attacchi personali a chi la pensa diversamente, senza neppure considerare il merito delle questioni trattate. Tu scrivi che la mia politica economica è sbagliata? E io rispondo facendo sapere a tutti che sei un magnifico cornuto. Dici che la mia politica della giustizia è basata sulle leggi ad personam e sulle ritorsioni nei confronti dei magistrati indipendenti? E io rispondo che hai approfittato del condono per sanare le irregolarità della tua villa al mare e che tua moglie se la intende con l'istruttore di wind-surf. Tu scrivi che la mia condotta personale è immorale e riprovevole? E io ti faccio dimettere dalla direzione dell'Avvenire riesumando a mio uso e consumo una storia, vera o falsa che sia, che nulla ha a che vedere con le tue sacrosante denunce. E dietro questo batti e ribatti scandaloso milioni di cittadini alle prese con le sempre più crescenti difficoltà della vita, dalla precarietà dei posti di lavoro alla disoccupazione, dall'incertezza per il futuro alla certezza di una gioventù sempre più disorientata e confusa.

La stagione di “Mani pulite”, quella che determinò la fine del pluridecennale dominio democristiano e che avviò l'Italia verso un sistema “bipolare”, prometteva di essere una stagione di rinnovamento per il nostro paese. Ben presto ci siamo resi conto che non era così. Ci siamo trovati di fronte a un paese del tutto impreparato a un confronto democratico basato sul bipolarismo come nella grandi democrazie occidentali quali gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania o la stessa Spagna (che pure è uscita soltanto negli anni Settanta dal buio di una interminabile dittatura). Noi abbiamo invece riesumato le ataviche divisioni tra Guelfi e Ghibellini, senza nulla concedere a un sereno e forte confronto tra programmi e idee. Abbiamo permesso che “un uomo solo al comando” si impadronisse delle leve del potere, accettando senza batter ciglio un conflitto di interessi di proporzioni inaudite. Un conflitto di interessi tanto grande che non può non riguardare qualsiasi aspetto dell'attività di governo, dalle questioni finanziarie a quelle editoriali, dalla giustizia all'informazione, dalla pianificazione territoriale ai condoni edilizi, dalla politica scolastica allo scudo fiscale, ecc.

La gente ci vota! La gente vi voterà (non tutta, per fortuna) ma ciò non toglie che in questo conflitto di interessi vi sia qualcosa di abnorme e di mostruoso per una democrazia che vuol dirsi tale. Il tutto aggravato, enormemente aggravato, dal monopolio televisivo in concessione statale, che è in grado di orientare pesantemente l'opinione pubblica e quindi la base elettorale. E non mi si venga a dire che comunque in Italia c'è libertà di stampa e di opinione. Ci mancherebbe altro, dopo che al termine di una guerra disastrosa ci siamo liberati della dittatura fascista e abbiamo costruito, anche col sangue dei martiri della Resistenza, un nuovo paese con una nuova Costituzione basata sulla libertà e sulla democrazia. Ci mancherebbe altro. Non va però dimenticato che questa libertà di stampa è spesso costretta a fare i conti con spazi sempre più ridotti a motivo di scelte operate dall'alto, come le restrizioni economiche derivanti dalla concorrenza televisiva nel mercato pubblicitario, oppure da ricatti e intimidazioni di ogni genere, comprese le denunce di carattere civile e penale nei confronti dei giornali “non allineati” (il nostro Gazetin, nel suo piccolo, ne sa qualcosa). E tutto questo pesa ancora di più quando si sa che il presidente del Consiglio è personalmente proprietario di un impero mediatico di enormi proporzioni, con reti televisive, giornali e case editrici di primaria importanza.

Può un paese civile accettare tutto questo? Può l'Italia permettere quello che in nessun paese della Terra, escluse le dittature e le monarchie del terzo mondo, viene permesso?

L'atavica divisione tra Guelfi e Ghibellini è alimentata e aggravata da questa anomala situazione, nella quale i giornali e le televisioni del Conducator che ci governa fanno il bello e il cattivo tempo nei confronti di amici e nemici, di verità e menzogne.

La gente ci vota! Tanto di cappello al voto popolare, ma nessun voto, anche plebiscitario, può trasformare il nero in bianco, nessun voto può legittimare ciò che legittimo non è. Del resto al di sopra di tutto e di tutti c'è, o ci dovrebbe essere, la Costituzione repubblicana nata dall'esperienza storica vissuta dal nostro Paese.

E qui vorrei ricordare le chiarissime parole di Leo Valiani,* scritte trent'anni or sono, il quale nelle sue note di commento alla Costituzione italiana a un certo punto scrive: «L'art. 1 della Costituzione dichiara che la sovranità appartiene per intiero al popolo italiano. La triste esperienza del fascismo documenta, peraltro, che in determinate circostanze la stessa maggioranza popolare può essere coartata o fuorviata. Il medesimo art. 1 specifica perciò che il popolo esercita la sua sovranità nelle forme e nei limiti della Costituzione. In altre parole, nessuna maggioranza ha il diritto di cancellare le garanzie di libertà che la Costituzione sancisce».

Insomma, se non siamo d'accordo su queste affermazioni, diciamolo. Cancelleremmo in una volta sola le più alte conquiste civili della nostra storia, tornando d'un colpo a un'epoca oscura di prepotenze e di odio, di falsità e di sopraffazione. Se invece siamo d'accordo, allora come possiamo accettare la violazione dei principi costituzionali sottesa alle leggi ad personam e al conflitto di interessi? È sufficiente, è logico, è giusto dire “La gente ci vota”, per coprire queste piaghe della nostra democrazia?


Gino Songini

(da 'l Gazetin, novembre 2009)



* Leo Valiani (1909-1999), fondatore del Partito d'Azione, dirigente della Resistenza, senatore a vita.


 
 
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