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“Scuola e Diritti”. Come migliorare la scuola pubblica
04 Ottobre 2009
 

Che occorra cambiare per migliorare la scuola pubblica siamo tutti d'accordo. Riteniamo ci siano elementi storici e sufficienti teste pensanti per definire meglio i contenuti del cambiamento. Non ci sembra invece ci sia coerenza fra gli intenti palesati dal governo e la ricaduta progettuale.

Prendiamo ad esempio il tema della valutazione, che ha un posto di rilievo nella politica scolastica del Ministro Gelmini. Nel corso dell’anno scolastico gli interventi in merito sono stati numerosi: reintroduzione dei voti numerici, voto di condotta determinante per il giudizio finale dell’alunno, vincolo della sufficienza in tutte le materie per la promozione. Tutti gli interventi fanno riferimento ad una idea di valutazione più severa e selettiva così come sostengono fosse, nella scuola antecedente ai movimenti della fine degli anni sessanta, idea ora riproposta per riaffermare la meritocrazia contrapposta al lassismo e al permissivismo della “scuola del ‘68”.

Il Ministro arriva addirittura nelle ultime dichiarazioni a sottolineare come positivo l’aumento delle bocciature, a leggere questo dato come segnale di una scuola che torna al rigore e alla serietà degli studi. Come se il merito si promuovesse con i voti, il rigore degli studi si ottenesse bocciando di più, il bullismo si risolvesse con il voto in condotta...

Trovare un Ministro dell’Unione Europea che si dichiara soddisfatto dell’aumento delle bocciature è difficile: gli obiettivi europei stabiliti a Lisbona nel 2000 impegnano, infatti, i paesi membri a raggiungere entro il prossimo anno un numero di giovani diplomati pari all’85% e a ridurre la dispersione scolastica sotto al 10%. Evidentemente la tendenza ad aumentare le bocciature non può che allontanarci ulteriormente da questi obiettivi, che comunque non avremmo raggiunto. In particolare i dati relativi alla dispersione scolastica sono ancora decisamente preoccupanti: oltre il 20% dei giovani tra 20 e 24 anni non raggiunge né diploma né qualifica ed è escluso da ogni percorso formativo, nel biennio iniziale delle superiori le bocciature si aggirano mediamente attorno al 25% con punte del 50% nei professionali. Anche interpretando l’aumento delle bocciature come una rappresentazione più realistica degli effettivi livelli di apprendimento raggiunti dagli studenti, i commenti governativi dovrebbero essere contrassegnati dalla preoccupazione e dall’assunzione di responsabilità.

Invece così non è perché il disegno insito nella politica scolastica del governo prevede l’abbandono dell’obiettivo costituzionale della scuola di qualità per tutti: i tagli in corso sono infatti destinati a dequalificare la scuola pubblica, limitandone pesantemente la capacità di includere e promuovere le diverse intelligenze.

In questo quadro i provvedimenti del Ministro Gelmini sulla valutazione degli studenti ripropongono un modello sanzionatorio e selettivo, del tutto coerente con una scuola che si rassegna ad escludere sulla base della provenienza socio-culturale. Una scuola che boccia di più non è più rigorosa e seria, è, piuttosto, una scuola che abbandona ed emargina i più deboli e svantaggiati e non innalza i livelli generali di istruzione del paese.


Dal punto di vista dell’equità sociale, il problema da affrontare non è rappresentato da un eccesso di egualitarismo, ma, al contrario, dall’insufficiente capacità del sistema scolastico italiano di realizzare un’effettiva uguaglianza delle opportunità di partenza.

Anche dal punto di vista del contributo dell’istruzione allo sviluppo economico il problema italiano non è certo rappresentato da un eccesso di diplomati e di laureati, ma da un deficit di capitale umano che è una delle principali cause della stasi della produttività e della crescita economica.

Per entrambe queste ragioni la politica scolastica italiana, oltre a investire nella scuola pubblica per qualificarla e renderla più inclusiva, dovrebbe sviluppare e rafforzare la cultura della valutazione, (quella seria) un punto debole della scuola italiana, sulla base del modello della “valutazione formativa”, finalizzata a promuovere il successo formativo di tutti attraverso percorsi individualizzati.

A differenza del modello sanzionatorio, orientato alla selezione e alla definizione del destino scolastico dell’alunno – prosegue gli studi solo chi è “adatto” –, la valutazione formativa è di natura inclusiva, orientata a portare tutti ai più alti livelli possibili di istruzione. Per questo, mentre per valutazione selettiva il fallimento scolastico è responsabilità prioritaria dello studente, nel modello formativo la valutazione svolge la funzione di fornire agli insegnanti un flusso di informazioni sugli esiti e sui processi di apprendimento dell’alunno finalizzato a riprogettare e migliorare l’azione formativa. In questo modo la scuola di assume la responsabilità sugli esiti scolastici degli alunni.

È questa cultura della valutazione che il Ministro deve promuovere se vuole sostenere il merito: nelle indagini internazionali sui livelli di apprendimento degli alunni (vedi Ocse-Pisa e Iea-Pirls e Timss) raggiungono i risultati migliori i paesi che hanno anche meno dispersione scolastica (vedi paesi scandinavi) a dimostrazione che la scuola di massa e di qualità è possibile e che far crescere i livelli più bassi stimola maggiormente anche le eccellenze, innalzando i livelli di istruzione di tutti.

Il ritorno ai voti numerici induce infatti una valutazione che non descrive e non fornisce informazioni su risultati e processi. Inoltre si allontana ulteriormente lo sviluppo della valutazione delle competenze. Non è un caso se nessuna scuola che ha fatto ricerca e innovazione è tornata al voto, si sono invece sviluppate la ricerca e la formazione su come valutare competenze, conoscenze e abilità.

Altri sono gli interventi di cui ha bisogno la scuola italiana sul tema della valutazione per migliorare gli esiti di apprendimento di tutti gli studenti:

  1. investire nella professionalità degli insegnanti per potenziare la cultura della valutazione formativa attraverso la formazione in servizio, la ricerca educativa, la contrattazione sindacale per valorizzare il lavoro docente;

  2. costruire il sistema nazionale di valutazione mettendo in condizione l’Invalsi di svolgere pienamente la sua funzione, garantendo ad esso autonomia istituzionale, alti livelli di competenza, risorse finanziarie adeguate;

  3. utilizzare i risultati della valutazione esterna delle scuole, non per promuovere la concorrenza tra le scuole, ma per mettere in condizioni operatori, genitori, studenti, soggetti del territorio, amministrazione scolastica di comprendere la natura delle criticità e vagliarne il superamento;

  4. fornire alle scuole supporto per attivare diagnosi valutative, processi di autovalutazione, processi di ricerca azione;

  5. distribuire alle scuole una parte delle risorse sulla base dei risultati della valutazione per incentivare le buone pratiche e per compensare chi opera nelle situazioni di svantaggio.


La segreteria di Scuola e Diritti*

(per 'l Gazetin, ottobre 2009)



* Testo liberamente tratto da Coordinamento Genitori Democratici e Cgil, Dipartimento Formazione e Ricerca.


 
 
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