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Archeologia editoriale. Angelo Maria Ripellino: Scontraffatte chimere (Pellicanolibri, 1987) 4
Angelo Maria Ripellino (1923 - 1978)
Angelo Maria Ripellino (1923 - 1978) 
18 Maggio 2009
 

OSSERVAZIONI



Giro con la mia valigia piena di stracci

come un clochard innamorato.

Ho grandi scarpacce,

andrò a Tebe,

dove angeli di cera mi aspettano

con finte ali di scolari grassi.



*


Dopo il passaggio dei treni

andava a raccogliere lungo i binari

gli oggetti caduti:

scatole di sigarette,

chiavette di conserve.

Ciò che l’incerto, l’instabile lasciava.


 


*


Anche la morte di un insetto,

di un cosmo da nulla

turba l’armonia del creato,

genera dubbi.



*


Mandar telegrammi di protesta,

sedendo in una stazione balneare,

discutere i problemi dei giovani,

tagliando loro la strada.


 


*


Sono arrivati gli antropidi, i paraumani.

Ci metteranno a lavorare in miniera,

i frutti dei trapianti genetici,

del terribile DNA ricambiante

gene di vipere trapiantato in batteri

dicono che l’umanità perirà.


Non c’è da aspettare: dal DNA

della nostra fantasia

nascono già terribili gerioni, mostri.



*


Il re delle aringhe la notte

emana una luminescenza azzurrognola

e guizza azzurro al largo

come una freccia azzurra...



 

*


Spaurito come Kafka,

allegro come un giullare.

Non sperar nulla da loro.

Ti coprono di insulti,

l’ospizio è ineluttabile.

Molti pagliacci vi sono finiti.



*


Rerich veniva da Rjurik,

Hrubel’ era un piccolo passero,

Bakst un piccolo ombrello

che sfolgorava colori.

Mi offrirono il tè all’Hotel de Russie,

dove Majakovskij sonava su una pianola.


 


*


Piatto di piombo striato di folgori

è il lago, e una vela

spacca questa crostata di piombo.

Sono in un quadro di Friedrich,

luci unte e soffi di caligine

lo avvolgono.



*


Non si può fuggire

da ciò che non puoi raggiungere,

E non c’è un punto d’arrivo,

ma solo la disperazione.

Tra il desiderio e l’oggetto

un baratro si apre,

e la vita è tutta un «se potessi».


 


*


Sarò un soprammobile,

non un soggetto di storia,

caduto dalla stanza dei bambini

nella muffa tetra della vecchiaia,

sarò un oggetto da insultare,

un bersaglio alle arroganze dei figli.



*


Una noia agghindata mi governa,

un luccichio di uguali specchi.

Non esistono più abiti domenicali.

Scarpacce camminano intorno ai falchi

dove unti come caviale pressato i cantanti

pigolano con voci di catenaccio.

E Nora Naldi li aspetta in abito di baldracca.



*


Burlina mia, vai alla mostra dei cani.

A Villa Borghese anche gli alberi

hanno lunghissime code.



*


È un servo rozzo il dolore

e ti ricatta e ti assedia,

ha le scarpacce dure,

ubriaco come un calzolaio.


 


*


Vi sono mesi in cui

non nasce un fanello di poesia.

Il male scaccia le metafore,

l'analogia boccheggia.



*


Sono il tuo accendino

ti guardo con occhi azzurri,

e vorrei finire

tra le cose dimenticate.

Anche tu sei come me una prunella

e tremi al vento, e temi

di esser gettato

in un mucchio di rottami.


 


*


Risata nera di pistola

in un afoso pomeriggio domenicale

punteggiato dal refe di una pioggia saltuaria.

Stagni glauchi per annegare,

verde punch di gas per finirla,

alta terrazza sui trampoli

da cui scivolare nel gorgo,

senza nemmeno dire addio,

perché tutto è già fatto,

e per bene.



*


Ti porterò un gallo

dal polverone di queste campagne,

dove femmine lacere giacciono

impastate di mosche e di piume.

Avanzerò come l'astrologo di un boiaro

tenendo il gallo in un orcio.

Tu mi canterai: Alleluia,

come a dire: sei matto.

Domani ti metteranno sui giornali,

come di quel pittore che di giorno

girava per Praga con un'accesa lanterna.


 


*


Correre da pagliaccio

attraverso la bianca notte invernale.

Viaggiare il mondo

più allegri che in un cartello pubblicitaria

Ma il male non lo consente,

questo fumo/o d’ossa ti sfascia,

non c’è più niente

oltre le paure e le ambascie.



*


I bambini mi guardano

così irreale, così insolito,

io che non giuoco, che me ne sto sempre

accucciato dentro uno scialle.

Potessi portarli al circo,

scendere io stesso in pista,

portarli a pattinare

e mangiare con loro

un gelato-Ararat,

tutto verde e giallo,

con banderuole.


 


*


Sono un caffè di provincia, coperto di mosche.

I miei bicchieri hanno l’orlo muffito.

Vecchie ciambelle dormono da secoli

sotto una giallastra zanzariera.

Ai muri pendono da anni lontani

accartocciati ritratti di perfide attrici.

Entra ogni tanto un cliente, s’accosta al bancone,

contempla le tazze dal ventre affloscito,

lunghe file di nere bottiglie,

il gocciolìo dell’acqua

che assomiglia al capello d’un calvo,

le moine delle ombre che invecchiano.

Dietro il bancone la vita senza tregua

passa da un piede all’altro,

tra le calze cadenti come una vecchia Frau,

è più strega che vita, filiera di ragno.

11 tempo come una volpe ferita

si trascina sui gialli mattoni.

E dalla muffa tralucono come vascelli perduti

flaccide zolle di zucchero,

squallide tazze, bottiglie

che ormai si vanno consumando come

candele di putredine.



4 - segue


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