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Yoani Sánchez. Il mio regno per una banana
06 Maggio 2009
 

Dal blog Generación Y

4 maggio 2009

 

 

Mi reino por un plátano

Cuentan que cuando el muro cayó y las dos Alemanias se unieron, desde el Oriente llegaban los que nunca se habían comido un plátano. Miraban extasiados el largo fruto que los desabastecidos mercados del Este no habían vendido en tantos años de economía centralizada. Me imagino que probar la dulce masa de una “banana” debió ser como degustar el fin de un sistema que duró cincuenta años. Entre esos dos “sabores”, yo preferiría  experimentar el segundo, porque el otro ha estado en mi mesa desde que era pequeña.

El plátano fue -junto a la naranja- una de las frutas básicas en nuestras casas, mucho antes  que los alemanes supieran de su existencia. Los cubanos no hubiéramos tumbado un muro por morder su erguida consistencia, pero a él le debemos que nuestra alimentación en los años noventa no haya sido más frugal. El “fufú” hecho con las variedades llamadas “macho” o “burro” fue, durante semanas, el único alimento para mi cuerpo adolescente. Como beneficiaria de sus virtudes, desearía erigirle un monumento, aunque para ello deba importar un ejemplar desde Costa Rica y usarlo como modelo para la merecida estatua.

No veo un plátano desde septiembre del año pasado, cuando los huracanes arrasaron con las plantaciones. Me niego a creer que, después de haber resistido los desastrosos planes agrícolas y los desafortunados cruces genéticos, vayamos a perderlo ahora. Esta fruta, que logró superar los experimentos del Gran Agricultor en Jefe, no puede venir a perecer a manos de un par de ciclones. Tengo el temor de que estemos -como los berlineses de 1989- a punto de correr de ansiedad tras el sabor del plátano.

 

Yoani Sánchez

 

 

Il mio regno per una banana

Si narra che quando cadde il muro e le due Germanie si riunirono, da Oriente arrivarono persone che non avevano mai mangiato una banana. Guardavano estasiati il lungo frutto che i poco forniti mercati dell’Est in tanti anni di economia centralizzata non avevano mai venduto. Penso che assaggiare la dolce polpa di una banana deve essere stato come gustare la fine di un sistema durato cinquant’anni. Tra i due sapori, preferirei sperimentare il secondo, perché ho trovato il primo sulla mia tavola fin da bambina.

Nelle nostre case la banana - insieme all’arancia - è stata uno dei frutti fondamentali, molto prima che i tedeschi conoscessero la sua esistenza. Noi cubani non avremmo abbattuto un muro per addentarne la superba consistenza, ma dobbiamo a lei se negli anni Novanta la nostra alimentazione non è stata ancora più frugale. Il “purè” fatto con le varietà chiamate “macho” o “burro” è stato, per settimane, il solo alimento per il mio corpo adolescente. Come beneficiaria delle sue virtù, vorrei erigerle un monumento, anche se per costruirlo dovessi importare un esemplare dal Costa Rica e usarlo come modello per la meritata statua.

Non vedo una banana da settembre dell’anno passato, quando gli uragani rasero al suolo le piantagioni. Non voglio credere che, dopo aver resistito ai disastrosi piani agricoli e agli sfortunati incroci genetici, finiremo per perdere le banane proprio adesso. Questo frutto che è riuscito a superare gli esperimenti del Grande Agricoltore in Capo, non può morire per colpa di un paio di cicloni. Ho il timore che siamo - come i berlinesi del 1989 - sul punto di sospirare ansiosi dietro al sapore della banana.


Traduzione di Gordiano Lupi


 
 
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