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Niccolò Bulanti. Lettera all'operaio 
“Non voglio più né questo né quello!”
21 Febbraio 2009
 

Questa notte ho avuto un incubo.

Ho visto te, caro compagno, lavorare per ore e ore straordinarie: perdere ore e ore della tua vita per l'ingrasso del tuo datore di lavoro e per la sopravvivenza tua.

Poi mi sono svegliato e ho visto che quell'incubo è qui, a bussare feroce sulle soglie della realtà.

Ti ho sentito dire che ti alzerai tre ore prima dell'inizio del tuo turno perché alla ditta c'è molto lavoro.

Ti ho sentito dire che i prezzi salgono e solo con lo straordinario puoi preservare il tuo tenore di vita.

Io non voglio vedere quest'arrendevolezza negli occhi della produzione stessa!

Non voglio vedere adeguamenti, non voglio vedere dissolversi in polvere, nel vento del tempo, né le lotte per i nostri diritti né la memoria dei morti delle lotte per i nostri diritti!

Oggi stiamo lasciando andare alla deriva quella debole zattera sulla quale vi sono questi diritti, siamo apatici, passivi, arresi.

Se vi è molto lavoro in ditta che il principale investa in macchine utensili e personale per continuare ad inseguire la sua stella cometa che comunque mai avrà! Apra a nuovi posti di lavoro, nel mondo di oggi dove la domanda è molta, ma non si permetta nemmeno a titolo di favore personale di rubare le tue ore di sonno, le tue ore in famiglia, le tue ore di riflessione!

Tu dirai di sì oggi a quel “favore a titolo personale” perché sei psicologicamente condizionato dal suo giudizio futuro riguardo il tuo eventuale no. E molli una fetta di potere che indubbiamente è tua.

I prezzi alti di questa epoca figlia degli sperperi, degli abusi e della spensieratezza dei decenni precedenti, della meschinità cleptomane e ingordigia attuali, sono ogni giorno più alti e, là fuori, ogni giorno di più quella combriccola di delinquenti arruolati nell'esercito del consumismo, quali sono i pubblicitari, ti dicono che devi stare al passo di questo consumo, ti dicono che tutto questo lo puoi avere. Dietro quel “puoi” vi è il “devi”. Devi avere questo, devi avere quello: così passi metà del tempo per guadagnare e metà del tempo per spendere il grano che hai raccolto.

Oggi siamo chiamati a dire no!

Non voglio più né questo né quello! Oggi io voglio tempo per vivere, non per recitare il copione di uno spettacolo oramai decaduto questa società e come molte delle nostre esistenze: via la maschera!

Siamo chiamati ad un periodo di rinunce materiali, perché certo i soldi sono pochi e il cibo serve comunque, ma quanti di noi possono affermare davanti a loro stessi di non investire parte dei loro introiti in cose superflue, in molti casi (sotto certe lenti nella loro totalità) addirittura nocive?! Che acquistano in base a quel facile sistema consequenziale, sul quale si basa il consumismo, che fa leva laddove l'uomo è più vulnerabile: i sentimenti più grezzi, materiali, come l'egoismo, il possesso e tutti i parenti loro.

Spogliati del superfluo sapremo vedere cosa abbiamo perso finora e diverremo i nemici principali del sistema che ci ha rubato ai nostri veri genitori per svilupparci in suoi soldati, nutriti con il latte rancido delle sue intenzioni suicide.

Siamo ancora in tempo a dire no, ora che esiste ancora il sindacato (?!), ora che esistono ancora le riunioni operaie, ora che esistono ancora persone non narcotizzate.

Ma dobbiamo sbrigarci perchè ogni giorno, il potere delle aziende private fagocita altro terreno e altri di noi nel suo appetito obeso; il giorno in cui noi non avremo più voce in capitolo sarà per la nostra accidia, per la nostra incapacità di restare in piedi allorché ci dissero di stare seduti e zitti, e quello sarà il primo giorno di vita della nostro completo trapasso da esseri viventi a bracci meccanici. Non avremo più nulla da apprezzare, più nulla da dire, più nulla da fare, (già i larghi turni straordinari stanno intaccando la nostra fantasia, già ci stanno allontanando dal sommo perché: perché viviamo?) avremo solo da produrre nel senso unico della nostra misera sopravvivenza attaccati a quel cordone ombelicale che comunque continuerà, sempre più, a centellinare le nostre razioni a modo da tenerci in forze per il semplice fine produttivo e consumistico. Allora non vi sarà molta differenza tra il vivere e il morire se non il semplice meccanismo del respirare.

Compagni, nessun Messia è qui con soluzioni preconfezionate, siamo soli. Possiamo solo imboccare le poche vie rimaste aperte e certo sarà bene scegliere quelle in salita, quelle che sono faticose, perché quelle facili (in apparenza), in discesa, che già percorriamo ora non portano a fondovalle fioriti ma a discariche di rottami arrugginiti! Rinunciamo al consumo del superfluo, immagazzineremo più potere d'acquisto per ciò che realmente è indispensabile, dovessimo ridurre all'osso queste materialità, restando uniti, riformandoci uniti ci sosterremo tra noi: la produzione.

E avremo occhi per una verità nuova.

Là fuori ti diranno: “al diavolo amico, lavori tutto il giorno e goditi qualcosa di bello per te!” Ma davvero è bello quello che vogliono farci ingozzare?! Davvero ci viviamo la vita se godiamo di questa o quella cosa?! Riprendiamoci il nostro tempo, non consumiamo tutto, abbiamo il mondo non in proprietà ma in affitto che dobbiamo pagare ai nostri figli! Chi di noi è tanto meschino da non avere a cuore il destino dei suoi figli che ne sono la sua ancestrale continuità e assicurazione al futuro del mondo, della specie intera?! Cominciamo allora con il rifiuto del materialismo superfluo e continuiamo con la rinuncia dello straordinario lavorativo. Qualora non riusciremo più nemmeno a nutrirci, questa non è per fortuna una cosa strettamente imminente, noi, il popolo, sapremo come rispondere. Ma non arriveremo a tanto se saremo organizzati e ritireremo a noi, fin da oggi, i fili del potere con i quali ora molti di noi sono legati per compiere il loro spettacolo di marionette.

Quello che concediamo come straordinario ora (è ragionevole non considerare straordinario il favore fatto a sostituire il collega o concederlo al nome del principio patti chiari amicizia lunga) ci verrà richiesto come standard poi: rifugga dalle nostre menti un limite invalicabile oltre il quale il datore di lavoro non sconfinerà nella nostra persona, assieme a quello che pone fine all'innalzamento del costo della vita: noi lavoreremo di più, certo guadagneremo di più, ed il sistema non tarderà a farci pagare in modo relativo al nostro guadagno maggiorato, con tendenza anzi all'aumento non proporzionale che vada a suo vantaggio, i prodotti atti alla nostra sopravvivenza, che probabilmente lui pagherà sempre meno contando sullo sfruttamento di nostri compagni nelle zone più disagiate del mondo.

Il “favore” fatto oggi al datore di lavoro diverrà abitudine domani e regola dopodomani.

Il sistema produttivo ci ha traditi per la sua stessa natura d'ingordo, stiamo producendo bare: le nostre. Come possiamo noi fargli concessioni quando ci utilizza fino alla morte fisica prossima per poi gettarci come ferro vecchio?!

Come possiamo noi fargli concessioni quando ci uccide sul posto di lavoro, quando ci deruba del tempo per poche briciole in cambio e poi ce le fa spendere in altro materialismo che sempre uccide l'anima e spesso anche il corpo; quando non ci fa sentire parte integrante di qualcosa di più grande che un misero foglio di carta a fine mese?! Dove sono gli incentivi morali che devono essere il motore di un giusto sistema produttivo?! Qui vi è solo sabbia sterile compagni! Oggi falce e martello non siano più atti alla produzione: che il martello suoni la nostra sveglia dall'incubo, che la falce recida le corde che ci legano a questa produzione insostenibile e al sistema consumistico figlio suo! Hasta la victoria, siempre.


Niccolò Bulanti

(da 'l Gazetin, dicembre 2008)


 
 
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