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Niccolò Bulanti. Alla fine della corsa 
Una lettera inter-generazionale
02 Gennaio 2009
 

Forse il tempo della nostra corsa sulla giostra dai cavalli bianchi bardati a festa è finito. È tempo di scendere, il giostraio che si chiama Mondo è stanco: ha le mani sulla leva dello stop.

Oggi siamo qui tutti insieme, qualcuno ancora su quei cavalli di plastica, qualcuno, speranzoso, aspetta il suo turno, ma comunque siamo tutti nei pressi della giostra, le sue melodie sul vento della globalizzazione hanno tentato tutti. Giovani e vecchi, uomini e donne, Asiatici e Occidentali, Africani e Sudamericani, gente del deserto e isolani del Pacifico. Siamo tutti qui riuniti, non ci si scappa. Ognuno getti verità supposte, preconcetti, paure e rancori e teniamoci per mano: esse non sono poi tanto differenti.

Oggi su questa piazza, alle ultime luci della giostra di plastica, dobbiamo decidere che fare di noi. L'eredità è pesante: le generazioni che hanno diretto il mondo negli ultimi cinquant'anni, hanno accentuato in maniera esponenziale la mentalità egoistica umana, probabilmente insita nei nostri geni e ovunque. Ma i fatti sono fatti e dicono che gli ultimi cinquant'anni hanno dato al mondo molti più problemi di tutti quelli sommati dall'inizio della storia dell'uomo a prima del secondo dopoguerra. Certo sono esponenzialmente aumentate le tecnologie che hanno semplicemente sostenuto l'uomo nelle attività che ne hanno fatto l'abitante con più responsabilità su questa terra. Ma i cinquant'anni passati non hanno tenuto conto né del futuro né del danno apportato da queste nuove soluzioni, cioè rimedi. Perché il massiccio intervento umano di questi cinquant'anni ha guardato solo l'interesse e il benessere immediato ed è stato sostenuto con facilità, visto che chiaramente le prove di progresso nelle condizioni di vita hanno toccato più o meno tutti, (be' in Occidente, ma visto che lui ha dettato il passo, la gente che aveva voce in capitolo era solo la sua e gli altri, be'... vivono in terre sfortunate). Oggi tutte le terre sono sfortunate. Questo è il perverso affetto con il quale si sono voluti imprimere nella nostra memoria i nostri genitori generazionali.

Le civiltà, insegna la storia, svaniscono, si estinguono immediatamente dopo il raggiungimento del loro culmine produttivo e di potenza. In queste poche settimane da quando si parla di crisi mondiale, se mi guardo alle spalle non troppo lontano mi pare addirittura di toccarlo quel culmine. L'abbiamo quindi raggiunto, siamo in rapido declino. E non si tratta del declino di una piccola civiltà isolata, la resina densa scesa dall'albero della globalizzazione sul suo tronco opportunistico ci ha invischiati tutti: chi ha forza esca ora e tiri a se gli altri, la resina non tarderà a divenire durissima ambra. L'ambiente naturale attorno a noi è saturo di inquinanti e sgonfio di risorse, noi siamo oltre sei miliardi ed è chiaro che pesiamo molto in questi bilanci seppur dovessimo accontentarci di poco più che del sostentamento. Siamo una generazione sfortunata noi, i giovani, quella che sarà in prima persona chiamata a sparecchiare la tavola lasciata sporca e carica d'avanzi dei propri genitori: noi vedremo gli effetti ultimi di tutto ciò e mi pare di immaginare con più facilità una risoluzione del tipo o ci salviamo tutti o non lo farà nessuno. Oggi dipendiamo, seppur con pesanti maglie di sfruttamento anche qui nel nostro moderno Occidente, tutti gli uni dagli altri: nemmeno l'estinzione del piccolo plancton marino possiamo permetterci di considerare irrilevante. O dentro o fuori: scegliamo. E scegliamo noi giovani, i nostri vecchi del resto si stanno congedando. Siamo chiamati a rinunciare a molte delle abitudini con le quali siamo comunque cresciuti, e senza esitare: nella testa dobbiamo renderci conto che tutte le ovvie comodità che finora ci sono state in realtà, ora, diventano pistole cariche su un tavolo di roulette russa.

Non dobbiamo essere indolenti, la realtà è questa: il presunto progresso è davvero presunto se non può garantire la sua continuità nel tempo; se vai a far la spesa e te ne torni a casa anche con dieci carrelli (e perchè no una parte l'hai pure rubata), stai certo che se torni a fare la spesa il giorno dopo con la stessa intenzione quantitativa, gli scaffali non potranno sostenere la tua obesa aspirazione. E gli scaffali che sono se non l'aria, la terra e i suoi frutti, il mare ed i suoi abitanti?! Cinquant'anni di furti al supermarket del mondo che oggi il suo direttore denuncia ai figli degli sprovveduti che li hanno commessi. Non abbiamo colpe: siamo troppo giovani, ma abbiamo una grande responsabilità: raddrizzare questo mondo piegato e tutti insieme. Responsabilità che si trasformerà in colpa ancor peggiore di quella dei nostri predecessori se non adempiamo a questa responsabilità: ben peggiore perché loro hanno un'attenuante quasi incontestabile. Non avevano coscienza di ciò che distruggevano anzi, lo facevano nel presunto bene nostro. Quella distruzione era per loro costruzione. Noi siamo il bivio, la chiave stessa per accedere al futuro: uno definitivamente diverso o uno ancora illuminato a luci e ombre da una lampada ad olio il cui combustibile va esaurendosi. Ci sentiamo traditi, ci sentiamo vittime noi giovani ma non siano queste motivazione di inerzia! Mai devono stare nelle nostre teste sensazioni di abbandono, incapacità, desolazione o con quelle finiremo. Spazio invece alla voce reclamante con diritto d'insistenza un nuovo potere globale e mostriamo a noi stessi e ai nostri genitori che le generazioni tra i ventenni, e i quarantenni non sono buone a nulla che devono vivere alle spalle dei genitori ma che siamo le generazioni che dicono a questi genitori: “Avete camminato troppo e dalla parte sbagliata, certo forse non lo sapevate ma i fatti sono questi. Ora vi dovete sedere; cammino io. Se vorrete, potrete certo venire con me”.

Siamo comunque una generazione che deve votarsi al sacrificio. Sacrificio in termini relativi (attenzione non si parla di cedere sulla garanzia dei servizi pubblici che fanno una società giusta per i quali anzi si deve combattere per preservarli e migliorarli) e riferito in primis a noi del mondo materialmente ricco perché ciò che dobbiamo mollare dalle nostre mani viziate sono molte delle cose che fanno il superfluo.

Quello che indichiamo con il termine “tenore di vita”. Dobbiamo volontariamente abbassarlo per due motivi: il primo è che questa nostra scelta può abituarci ad assorbire meglio un eventuale colpo inflitto da questa crisi se davvero diverrà intima di ogni famiglia e ciò servirà a non perdere la testa sfociando in un caos selvaggio; il secondo è addirittura più fondamentale essendo infatti la garanzia di rinnovare il futuro: solo limitando i nostri sprechi e abusi in generale possiamo continuare a sperare che il giostraio chiamato Mondo possa rimettersi per lo meno in forze, il passo successivo sarà quello di rieducarlo ai suoi movimenti naturali.

Se la giostra tornerà a funzionare, sarà bene eseguirne manutenzione giornalmente e che possa accogliere tutti coloro che sono oggi sparsi nella piazza antistante. Allora sarà progresso!

Qualcuno di voi, specialmente appartenente a quella fascia d'età tra i 50 e i 70 anni, si sentirà chiamato in causa e accusato ingiustamente, dirà che ciò che ho scritto sono righe d'odio nutrito per il mondo. Queste sono righe d'amore per questo mondo perché a 25 anni io ci devo vivere molto più lungamente dei cinquantenni, settantenni attuali e vivere 50 anni in desolazione senza dire una parola atta a cercare il cambiamento di questa situazione sarebbe un atto d'odio verso di noi. E verso i nostri figli. I vostri nipoti e bisnipoti.

 

Niccolò Bulanti

(da 'l Gazetin, novembre 2008)


 
 
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