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Una significativa lettera sul “Sole 24 Ore”, la riflessione clandestina di Marco Pannella
12 Novembre 2008
 

Nella rubrica “Lettere” che Aldo Carboni cura per Il Sole 24 Ore, è stata pubblicata una lettera che dovrebbe essere segnalata al Ministro della Giustizia, a tutti i parlamentari, all’Associazione Nazionale dei Magistrati, ai vertici di Confindustria e del sindacato. Una lettera che non rivela nulla di inedito e che non si sappia, ma esemplare nella sua essenzialità; un caso specifico che fotografa una situazione grave e “antica”. Dice la lettera: «Ho cercato di recuperare un credito nei confronti di un’azienda inadempiente (da anni) e il mio avvocato ha iniziato nell’ottobre del 2006 l’azione legale: ingiunzione, precetto, pignoramento dei macchinari. Il tribunale di un comune della cintura di Torino ha fissato l’incanto per la vendita il 15 novembre 2009, tre anni dopo l’inizio della procedura. Saranno molti i motivi, ma la lentezza della giustizia è senza parola. Una delle cause che allontanano dall’Italia molte aziende straniere è l’assoluta inaffidabilità del sistema giudiziario, che non tutela (salvo il debitore)».

 

Questa la lettera: pacata, civilissima, essenziale, che Carboni non commenta; per l’ottima ragione, evidentemente, che descrive una desolazione che da sola si commenta: un’azione giudiziaria che comincia due anni fa, e l’incanto che viene fissato fra un anno. Si può star certi che qualcuno obietterà che – pur essendo intollerabile la lentezza – è pure andata bene; che senza troppi sforzi si possono trovare altre simili vicende, ma più gravi per durata e lentezza.

Ecco: si individua una peculiarità della crisi italiana che non può essere addebitata se non alla nostra cronica incapacità di “governare” la situazione. Non ci si può, in questi casi, nascondere dietro la crisi petrolifera, lo tsunami che ha travolto Wall Street e le altre borse del mondo, la guerra in Irak… No, nel caso denunciato dalla lettera al Sole 24 Ore, come in tanti altri simili, la responsabilità e la colpa non possono essere scaricate su altri e su altro.

Sarebbe a questo punto necessario e opportuno quantificare. A quanto ammonta il danno patito da questo imprenditore per una giustizia che non funziona? Quanti sono gli imprenditori che si vengono a trovare in questa situazione? E ancora: non è solo, come giustamente si osserva, il danno derivante dal fatto che questa situazione spinge molte imprese ed aziende straniere a non investire in Italia; c’è anche il fatto che questa situazione contribuisce a indurre molte aziende italiane a “delocalizzare” e investire altrove…

 

È dunque chiaro cosa si intenda – anche – quando si parla di “caso Italia”, preda di quella “peste” che si può anche dire “fascismo dolce”? È chiaro quando si individua nello sfascio della giustizia l’emergenza più grave di questo paese?

Questa lettera al Sole 24 Ore non è – anche – un campanello di allarme per Confindustria e sindacato? Che cosa aspettano, dunque, i “padroni” e le organizzazioni nate per tutelare gli interessi dei lavoratori, per scatenare una mobilitazione su questo tema? Non è l’ora? Non è cosa che li riguardi?

 

Il rapporto SVIMEZ diffuso in queste ore segnala che nel 2009 (fra qualche mese) il PIL segnerà nelle regioni meridionali un meno 0,8-0,9 per cento; e nelle altre regioni, uno 0,6 per cento in meno. Il sistema imprenditoriale italiano nel 2007 aveva chiuso con un saldo positivo (+ 10.000) tra aziende nate e aziende chiuse; nei primi mesi di quest’anno – segnala la Cgia di Mestre che ha elaborato dati di Unioncamere – il saldo è passato in negativo con un meno 13.184. Da gennaio a settembre hanno chiuso quasi 337mila imprese. Cassa integrazione a valanga: l’INPS ha registrato un’impennata di quasi il 70 per cento. Secondo la Cgia almeno 100mila posti di lavoro vanno in fumo.

 

In questo quadro a tinte fosche e necessariamente sommario, vanno inquadrate le affermazioni che Marco Pannella ha fatto in più occasioni: al congresso dei radicali italiani di Chianciano; al congresso della Destra di Francesco Storace; in numerosi interventi a Radio Radicale. Una “riflessione” clandestina: le non molte cronache giornalistiche che in queste settimane si sono occupate dei radicali, l’hanno completamente ignorata, e si sono occupate di dettagli, marginalità. Non a caso, probabilmente.

Pannella – si riassume in modo molto pedestre un ragionamento molto più articolato – parte dalla constatazione che esiste una sorta di continuità tra regime fascista e regime “fascista”-sfascista degli antifascisti. Una continuità fatta di leggi illiberali che contrastano con la Costituzione, e che tuttavia sono state lasciate in vita perché tornavano comunque utili contro l’avversario; di altre leggi “post-fasciste”, ma non meno illiberali e autoritarie delle fasciste; del non rispetto della legalità, della sistematica e programmatica violazione della Costituzione e della “parola data”. Un regime – e qui la novità rispetto a un’analisi che Pannella propone da anni – è destinato molto probabilmente ad “implodere” con conseguenze non prevedibili e certamente non facilmente controllabili. Dunque, dice Pannella, occorre prepararsi, attrezzarsi per candidarsi come alternativa riformatrice a questo regime. Il riformatore prefigura l’alternativa all’esistente, la prepara e si candida a un “governo” altro rispetto all’attuale.

 

Ora si può benissimo liquidare il ragionamento e l’analisi di Pannella come un qualcosa di bislacco, il delirio di un visionario. L’esperienza del passato tuttavia consiglia prudenza. È accaduto altre volte che le “follie” pannelliane si siano poi rivelate la cosa più saggia e più giusta. Non è la prima volta che Pannella, con la sua rabdomantica capacità di cogliere in anticipo scricchiolii e segnali che da più parti arrivano, ne ricava in anticipo quel “giusto senso” che poi tutti colgono e riconoscono. Il rapporto SVIMEZ, per esempio, è solo una delle tante, preoccupanti “spie” premonitrici di questa possibile, probabile implosione.

Poi, certo, ci si può dedicare alle note di colore che tanto sembrano piacere ai giornali italiani, così pieni di glamour, così vuoti di notizie e di analisi politiche.

«Se ci fosse un’opposizione riformista», sospirava l’altro giorno Il Foglio. Quello che Giuliano Ferrara non vede (solo perché ha deciso di non vederla) è che esiste una forza politica capace di un’azione di governo riformatrice, che ha già dimostrato di saper “governare” e ha “governato”. Sarà per questo che non si tralascia occasione e sforzo perché questa forza – i radicali, beninteso – sia mortificata, sfregiata, annullata? Se ne riparlerà.

 

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 11 novembre 2008)


 
 
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