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La nuova narrazione del PD
29 Aprile 2008
 

L'altro giorno ho dimenticato le chiavi di casa all'interno.

Mentre la porta sbatteva, con un rumore sordo, realizzavo in un attimo durato anni che era ormai avvenuto l'irrimediabile. Vivo sempre crisi metaforiche, per definizione. E questa non si sottrae. Sono due settimane in cui, se dovessi descrivere il mio rapporto con l'Italia, direi così: essere rimasto fuori da casa con una buona responsabilità propria.

E la chiave di tutto è lì dentro.

Per cui, se vuoi rientrare in possesso dei tuoi averi, ma anche del tuo essere, devi ingegnarti: o rientrare dalla finestra, ma è al terzo piano e volare costa (soprattutto senza aiuti di Stato, ché in Europa non vale).

Oppure scassinare la serratura. Entrare di forza.

E possibilmente cambiarla, questa chiave. Una volta per tutte.

Piove da matti, a Parigi. Fa freddo dopo un weekend quasi estivo. Dopo un pranzo veloce, smaltisco le tossine della mia frustrazione leggendo dell'entusiastica elezione di Renato Schifani a presidente del Senato. Marco Follini reclama per contro una svolta centrista del PD, scatenando in me la domanda: e quando è stata quella a sinistra?

Transfugo politropo multimoderato.

Che, tradotto in linguaggio salutare e più sobrio, diventa: che incredibile faccia di culo.

Mentre attendo la resa dei conti, rinuncio a quella dei baroni: non è il momento di rifugiarsi sugli alberi perché non si ha voglia di mangiare le lumache.

È piuttosto l'ora di muoversi, invece, e di proporsi e di proporre. Nuove persone, nuovo vivere civile.

Non avere paura di utilizzare le parole CULTURA, SINISTRA, UMANISMO.

Che non possediamo i mezzi di informazione, lo abbiamo capito.

Che i sopraddetti mezzi costituiscano un grimaldello feroce, un cavatappi efficacissimo nel trasformare in sughero i cervelli cloroformizzati di milioni di persone, pure.

Ora che la verità è stappata, però, facciamo decantare i neuroni. Denunciare gli errori nel modello di questa destra, ma smantellare pure quel substrato di cultura clientelare e familo-ignorante che ha pervaso e pervade molta sinistra.

Fatta di persone incompetenti che, da anni, non si capisce bene che cosa facciano nella vita se non cercare il proprio nome sul giornale a furia di congressi autoreferenziali ed elezioni plebiscitarie. Tanto da sentire spesso la domanda: “Ma che lavoro fa, quello lì? Non l'ho mai capito”.

Da qui all'efficacia dell'orribile argomento berlusconiano del “i politici non hanno mai lavorato un giorno”, è un attimo. Il ragionamento è chiaramente fallace e privo di logica. Eppure sarebbe ora di togliere questo benedetto velo di Maja che abbiamo colpevolmente protetto a più livelli.

Persone che, detto fuori dai denti, non conoscono la storia del nostro Paese, né la sua Costituzione. E che si candidano a posizioni di spicco all'interno degli organi di partito.

Che vivono di quello.

E la cosa non è affatto banale. Sono piuttosto stanco di prendermi dello snob da persone di dubbio spessore.

Che la politica debba essere semplice, non significa che si debba usare un linguaggio da sempliciotti.

Ancorate ad una visione tolemaica della politica, restie ad accettare che il Sole non giri attorno a loro, queste persone si sono perfettamente calate nel modello da loro stessi criticato: clientelismo, familismo amicale. Autoreferenzialità barocca.

Io fo un favore a te

tu fai un favore a me

e il giro tonto è chiuso

da qui al 6003.

Basta.

Arriveranno anche nomi e cognomi, statene pur certi. È che la lista è lunga e mi presenterò al momento giusto con una proposta. Trovo che sia giunto il sano momento di attaccare.

Le categorie sociali rappresentate sono svariate: segretari di sindacati dall'incompetenza confederale, manager in dismissione di municipalizzate lilliputziane, pluri-trombati elettoralmente travolti da slavine glaciali.

Se vogliamo ricostruire una classe politica degna di questo nome, facciamolo. Ne abbiamo la possibilità e le capacità.

Ma non nascondiamoci dietro ad un dito.

L'indice delle cose da fare parte appunto dalla prima pagina. E non si può ricominciare con protagonisti già uccisi nei precedenti romanzi.

 

Luciano Canova


 
 
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