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Simone Sapienza. Lettera a Marco 
Storia o Dopostoria, Fatti o solo Misfatti. Una proposta
28 Novembre 2007
 

Ciao Marco.

Per decifrare alcune tue considerazioni le prendo, le rigiro. Compito doveroso che condivido insieme a molti altri compagni. Domenica sera in un passaggio con il direttore di Radio Radicale, Massimo Bordin hai detto:

«Un po' il senso della mia vita in questi anni è sempre più coscientemente quello di aumentare la documentazione di un regime che è meritevole di essere giudicato non solo dagli storici, ma di essere giudicato come nella società civile si giudicano le violazioni continuate e patenti delle leggi da parte del potere che le detta ed avrebbe, in qualche misura, il compito di farle applicare».

 

Ti ascoltavo mentre mi ero perso tra i bunker di cemento armato di Mostacciano e Spinaceto... e per un gioco di idee mi è tornato in mente Bruno Zevi e dei versi di Pier Paolo sulla Dopostoria (“Poesia in forma di rosa”).

Finora mi sembrava di non poter condividere qui versi poiché ci ritrovavo il marxismo di Officina e la sua disperazione di quegli anni, così diversa da te. Grazie a questa differenza siete stati progresso in un paese che avrebbe conosciuto altrimenti solo sviluppo, dunque, cattivo sviluppo. «Speranza se tu venissi saresti speranza»... e voi lo siete stati. Ma riprendendo in mano quella poesia (che ti allego alla fine) mi chiedo se la sua analisi estrema del 1963 e quelle parole in parte ci descrivano.

Nella prima parte parla di alcune architetture antiche di cui nessuno più capisce stile e storia e alcune orrende costruzioni moderne che invece tutti capiscono... Del resto, il fascismo di questi 30 anni ha scoperto che il punto più qualificante della vita dell'individuo è il sistema nervoso centrale e ha adeguato la sua violenza. La sua tortura non è stata di olio di ricino e manganellate, ma di censura e disinformazione. Questo è un paese che ha vissuto nel genocidio costante, culturale e politico, della storia socialista, liberale, radicale, del diritto, della memoria e delle speranze di cambiamento. I radicali questo lottano e documentano. E da un po' di tempo tu provi anche a decretare effetti, prospettandone anche interni ai radicali.

Più cerco di decifrare il presente più ho l'impressione che l'Italia viva nella Dopostoria, in un'epoca di misfatti, spoliticizzata, atomizzata, disintegrata. La storia e i “fatti” sembrano già accaduti. Penso, ed è solo un esempio, ai referendum vinti, al dibattito attuale e alle nostre possibilità...

 

Si può avere un giudizio pessimo senza essere pessimisti. E c'è infatti una parte di noi che crede ancora che ci sia la possibilità di essere compresi. Capezzone ha avuto il timore di essere “noi”. Tu, Rita e gli altri, al contrario, non siete poi troppo stanchi di esserlo, di cercare-inventare, come i due signori di Ventotene, una nuova storia e nuovi “fatti” ancora possibili.

Cerco segni. Qualcosa scorgo ad esempio nell'utilizzo da parte delle associazioni e comitati territoriali (che riscontrano sempre maggiore partecipazione), di strumenti di democrazia diretta. Come sapete ci stiamo lavorando. Altro segno è il consenso che ci viene dai carcerati e dai malati. Sei tu del resto che dici di vedere “una primavera in questo inverno”.

Da Rita, coerentemente, è venuta tra l'altro, qualche settimana fa, una proposta che faccio mia.

 

Segno evidente di fatti possibili sarebbe se il Presidente Napolitano, intervenendo nel dibattito attuale, cominciasse a chiedere il rispetto della schiacciante volontà popolare sul sistema elettorale 82,7%, sul finanziamento ai partiti 90,3%, sulla responsabilità dei giudici 80,2%, sulla contrattazione collettiva nel pubblico impiego 64,70%, sulla privatizzazione RAI 54,90%, sulla contribuzione sindacale automatica ai lavoratori 56,20%, sui ministero dell' Agricoltura 70,2%.

Un gesto di discontinuità chiara con i suoi predecessori. Rita offriva alla nostra riflessione, la proposta di aprire questo dialogo con una domanda accompagnata dallo sciopero della fame.

Credo che in tanti saremo pronti ad esserle accanto. Di colpo quel “rombo che sentiamo arrivare”, rischierebbe di essere avvertito dalla società civile e convertito in annuncio, non certo di una vittoria, ma di una battaglia possibile. Di una storia ancora da vivere e da documentare.

 

Un bacio

Simone

 

 

Pier Paolo Pasolini (Poesia in forma di rosa 1964)

 

Io sono una forza del Passato.

Solo nella tradizione è il mio amore.

Vengo dai ruderi, dalle Chiese,

dalle pale d'altare, dai borghi

dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,

dove sono vissuti i fratelli.

Giro per la Tuscolana come un pazzo,

per l'Appia come un cane senza padrone.

O guardo i crepuscoli, le mattine

su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,

come i primi atti della Dopostoria,

cui io sussisto, per privilegio d'anagrafe,

dall'orlo estremo di qualche età

sepolta. Mostruoso è chi è nato

dalle viscere di una donna morta.

E io, feto adulto, mi aggiro

più moderno d'ogni moderno

a cercare i fratelli che non sono più.

 

(da Notizie radicali, 28 novembre 2007)


 
 
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