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11 settembre 2001. Manhattan ‒ 21 anni dopo 
(a cura di Maria Lanciotti)
14 Settembre 2022
 

Reazioni e riflessioni a caldo di Guido Di Vito (1938-2014) figura di spicco del giornalismo castellano, all’epoca Direttore del settimanale il Cittadino di Velletri (Roma)

Un titolo secco per un editoriale che è un pugno al petto, e suscita considerazioni e interrogativi oggi validi quanto e più di allora: perché?

 

 

PERCHÉ?

 

«Ho passato tutta la notte, come tanti, davanti alla TV, con lo “sparacanale” in mano, passando da un telegiornale all’altro, seguendo allibito quella immane tragedia. Sembrava di assistere ad un remake di “Independence Day”, si sapeva invece che non erano extraterrestri a bordo dell’immensa astronave che devastava la “Grande Mela” uccidendo migliaia dei suoi abitanti. No, non era un film, anche se la mente si rifiutava di credere ad una tragedia del genere.

Con qualche difficoltà di carattere psicologico, cercavo di convincermi che quelle scene apocalittiche erano una triste e inquietante realtà. Vedere quegli aerei infilarsi come una lama nel burro nelle famose torri gemelle di “rockefelliana” memoria costruite negli anni ‘70 e divenute il simbolo del potere economico e politico americano, mi ha lasciato sgomento. Mi addormentavo nel cuore della notte con la convinzione che qualcosa, non so cosa, era cambiato. In peggio naturalmente. Una strana inquietudine mi faceva pensare che di lì in avanti il mondo non sarebbe stato più lo stesso, il modo di vivere, di pensare e di agire sarebbe cambiato. L’inconscio mi diceva che la sicurezza, già precaria, della democrazia e della libertà sarebbe venuta meno, insomma quelle torri crollate come fossero di cartone, quelle migliaia di persone scomparse così repentinamente e orribilmente, hanno portato con sé anche una porzione di vita dei sopravvissuti del mondo occidentale. La mattina, quando sono uscito di casa, vedere i trattori trainare i cassoni carichi d’uva della vendemmia, il solito traffico cittadino, la gente che andava al lavoro, il mercato pullulare di persone indaffarate, andare al bar a fare colazione, in edicola a prendere il giornale, a fare insomma la vita di tutti i giorni ma certo con una strana angoscia in petto, mi è sembrato quasi una dissacrazione. In tutti gli incontri quotidiani di routine si è parlato e si continua a parlare della tragedia, quasi con timore, non approfondendo il fatto, stranamente non mettendoci di mezzo la politica, e schierandosi soltanto da una parte. Gli ideali politici che di solito separano gli uomini, questa volta non hanno fatto presa, tutti d’accordo nella condanna. Si cerca di dare per scontato la gravità dell’evento e quindi puntare il dito accusatore contro i terroristi ed i loro mandanti.

Queste testimonianze provinciali sono state poi confermate nei giorni seguenti dai media di tutto il mondo occidentale. Hai voglia a minimizzare, a cercare di parlare d’altro, il pensiero torna a quelle catastrofiche scene, a quegli impatti aerei, a quelle fiamme, a quel fumo nero, a quelle persone che si gettavano dal 70° piano, a quelle rovinosa implosione, a quella scomparsa delle Twin Towers di Manhattan, a quelle scene che (non sono parole mie) cambieranno il modo di vivere del mondo.

Perché questo smarrimento? Perché questa angoscia? Perché trepidiamo particolarmente per la tragedia umana che ha colpito gli amici americani? Perché sono odiati sino a questo punto? Perché uguale smarrimento e trepidazione non ci hanno assalito con la stessa intensità per le altre, forse più grandi tragedie nel mondo? Mi viene di pensare alla smisurata ed interminabile rovina del continente africano, dove milioni di persone muoiono per fame, sete, pestilenza, AIDS e guerre fratricide. Orribili le visioni di quei bambini inermi, solo pelle e ossa con le orbite dilatate attaccati al seno asciutto delle madri. Orribili quei massacri fra le tribù ruandesi dei tutsi e degli hutu. Le stragi degli innocenti fatte dagli integralisti islamici algerini. Orribili le scene della guerra in Vietnam, in Afghanistan, in Somalia, di piazza Tienanmen (tanto per ricordare il paese di un miliardo e duecento milioni di abitanti a regime comunista), in Iraq, dove gente innocente continua a morire per la pazzia degli uomini, in Cecenia, una nazione che vuole liberarsi dall’orso russo e massacrata dalle cannonate, nella vicina Jugoslavia, dove città intere (Sarajevo) sono state rase al suolo e migliaia di abitanti hanno sofferto e soffrono per la follia di pochi, la guerra tra serbi e albanesi per il Kossovo, le fosse comuni e le migliaia di crimini, e in ultimo l’intervento di tutti noi (i popoli occidentali, quelli che stanno dalla parte dei giusti) a portare la pace a suon di missili “intelligenti”, per non parlare degli oltre cinquant’anni di spargimento di sangue fra israeliani e palestinesi nella terra di Gesù.

Ecco, perché questa globale immane tragedia umana che coinvolge tutto il pianeta non ci ha mai fatto palpitare, non ci ha mai tenuto con il fiato sospeso, mai gettato nel “panico”, mai fatto temere per il futuro come il disastro di martedì 11 settembre 2001 nella “Grande Mela” e al Pentagono? Perché?»


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