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In libreria/ Silvia Comoglio. “Ho tante albe da nascere” di Lucetta Frisa
23 Marzo 2022
 

Canta l’alba, meglio le albe, Lucetta Frisa nella sua ultima raccolta Ho tante albe da nascere edita da puntoacapo. Albe. Alter ego e presa d’atto che non esiste, non può esistere, una sola luce, un solo sorgere, un solo tempo. L’alba, dunque, come forza di gravità in cui disegnare e ridisegnare la propria soggettività. Disegnarla/disegnarsi e ridisegnarla/ridisegnarsi dopo il sonno e quanto lì, nel sonno, è rimasto come sogno o come io. Identità che si ridefinisce. Estaticamente ed esteticamente. In tempi e paesaggi nuovi. In un germogliare continuo di un tu da te: E tu/ vai germinando in te un altro/ da te/ che dal grembo si stacca per vedere/ senza ciglia/ gli infiniti spettri del sole. Tu e te. Mai in dissociazione o collisione ma radici che si intrecciano, mescolando piani lessicali ore e balconi (Alle sei del mattino sul balcone… A mezzogiorno se resto sul balcone… Alle nove di sera sul balcone…).

E chi scrive si osserva e osserva. E lo fa con una lente di ingrandimento il cui tocco è leggero ma concettualmente definito. Un osservare intimamente correlato con ciò che la vita è. Embrione cellula bambino infanzia. Così si fiorisce, così tu e te, contemporaneamente, sono nella scrittura. E contemporaneamente assorbono con e nella scrittura zampe di volpi, strade nella neve, bambini che entrano nel mare. Un multifocale orologio del tempo che Lucetta Frisa dilata e rovescia con una parola che si potrebbe definire estesa.

Estesa perché è e scandisce tempo natura e mondo nella sua piena fisicità. E perché è tonalità ampia e robusta. Ma anche estesa perché Lucetta Frisa la innerva, è vero, del suo io ma non ne comprime mai luce e pienezza. Ossia: Lucetta Frisa e la parola si animano e si infiammano in un’unione in cui ciascuno dei due soggetti sa mantenere la propria riserva di autonomia e, quindi, di libertà. E questo è il punto. Il non comprimersi e/o comprimere. Il mantenere la propria originaria unitarietà. Perché è solo così che si può nascere in tante albe. Che si possono avere tante albe da nascere.

La volpe posò le zampe un’altra volta e inaugurò una strada nella neve/ altre volpi posero le loro sulle sue impronte l’uccello/ proseguì il suo arioso disegno il bambino/ entrò nel mare e scoppiò a ridere un’altra volta. Ecco, zampe che si posano ancora. Che inaugurano strade. Che lasciano impronte su cui si posano poi altre/tante, chissà quante?, zampe per altre/tante, chissà quante?, volte.

Ed ecco, in questo altre/tante, siano esse zampe volte albe, il fondamento/le fondamenta di Ho tante albe da nascere. L’esplicitarsi di una visione poetica che è consapevolezza della complessità e della pluralità dell’esistenza e dell’esistente. Che vi aderisce emotivamente e razionalmente. E che, soprattutto, le restituisce con coerenza e limpidezza di linguaggio in una dinamica che declina l’esistenza e l’esistente in tutti i loro possibili gradi di luce e ombra. Quei gradi di luce e ombra che Lucetta Frisa sapientemente fonde con la fluidità, e anche, eccola ancora, con la pluralità di quei nostri tempi (nascita infanzia vita morte, passato presente avvenire) che ci costituiscono come memoria ma anche come amnesia.

All’alba/ gli uccelli cantano/ note smemorate/ all’aria/consegnano una luce/ tenuta stretta in gola nella notte./ Dal chiaroscuro/ cominciano a interrogarsi:/ sempre saranno i soli/ a trovare risposte.// Ora nella sera/ con tutte le parole accumulate/ lei resta muta/ disegnando/ cancellando/ disegnando/ cancellando/ i contorni della bocca.

 

Silvia Comoglio

 

 

Lucetta Frisa, Ho tante albe da nascere

puntoacapo, Pasturana, 2022, € 12,00


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