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Gianfranco Cercone. “L'ultima corvé” di Hal Ashby
10 Aprile 2020
 

La piattaforma digitale Chili Tv ha preso una lodevole iniziativa. Per ogni noleggio o acquisto in streaming di un film da una sezione del suo catalogo intitolata #iocisonoconunfilm, devolverà 1 euro all’ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo.

Tale sezione del catalogo - molto ricca - comprende film recenti - commerciali ma anche d'autore - e “classici” dei decenni passati. Così, per esempio, una sottosezione del catalogo è dedicata a film degli anni Sessanta e Settanta.

Anche per rendere omaggio a tale iniziativa, vi parlerò di un film compreso in tale sottosezione, il cui titolo italiano è L'ultima corvé, un film americano del 1973, diretto da Hal Ashby, il regista che fu anche autore di due film forse più noti come Harold e Maude e Oltre il giardino con Peter Sellers.

L'ultima corvé - che è interpretato, fra gli altri, da un divo all’epoca giovane, Jack Nicholson, che per questa interpretazione vinse a Cannes il premio per la migliore interpretazione maschile e una nomination agli Oscar - ci permette di misurare la distanza tra la Hollywood di quegli anni e la Hollywood odierna, nel senso che si fa fatica a immaginare che uno dei grandi studi americani sarebbe oggi disponibile a produrre un film che, come L'ultima corvé, sia basato sul dialogo e sulle relazioni tra i personaggi, piuttosto che sull'azione e sugli effetti speciali; e che soprattutto esprima una profonda insofferenza, perfino una contestazione, nei confronti delle maggiori istituzioni vigenti.

La corvé a cui si riferisce il titolo italiano è l'incarico che viene affibbiato a due soldati del corpo dei marines, che dovranno scortare un loro commilitone più giovane dalla loro caserma al carcere militare di Portsmouth, dove il giovane soldato dovrà scontare otto anni di reclusione.

Il giovane, che soffre di disturbi psichici, è in effetti dedito a piccoli furti, e in particolare è stato ritenuto colpevole di avere sottratto dei soldi a un fondo di beneficenza che stava particolarmente a cuore alla moglie di un colonnello.

Ma colpevole o innocente che egli sia (lui afferma di non essere davvero riuscito a impadronirsi di quei soldi), ai due soldati che lo scortano quella pena di otto anni di carcere militare per un ragazzo di soli diciotto anni, sembra spropositata. Tanto più che il ragazzo è timido, educato, non è un tipo rude come loro; e loro temono che il carcere possa schiacciarlo, annientarlo psicologicamente. D’altra parte, non possono esimersi di obbedire agli ordini. Ma almeno allungano il viaggio, che si snoda per un tratto della East Coast degli Stati Uniti; fanno sosta in alcune città, e ne approfittano per risvegliare, per rivitalizzare quel soldato che a loro appare troppo chiuso in se stesso. Certo, a loro modo: secondo una mentalità da caserma, come è da caserma il loro linguaggio, per cui essere vitali significa fare a botte, ubriacarsi in un pub, o andare a puttane in un bordello.

Fatto sta che tale brusca terapia ha davvero l’effetto di riscuotere il ragazzo, che fra l’altro prima di allora era ancora vergine. Ma con un contraccolpo psicologico in lui molto doloroso, devastante: se prima del viaggio egli era in fondo rassegnato al carcere, che era come il proseguimento della sua vita repressa, ora che ha assaporato per la prima volta il gusto della libertà, la prospettiva di passare otto anni in galera gli risulta improvvisamente insopportabile.

E allora dovrebbe forse fuggire, espatriare in Canada, come durante il viaggio gli ha suggerito una donna, tradendo la fiducia dei suoi due nuovi amici? E quei due uomini della scorta dovrebbero favorire la sua fuga? Non vi svelerò come il racconto svilupperà questo dilemma. Certo, però, la morale sottesa al film è che l’obbedienza non è sempre una virtù. E che quando non si ha il coraggio di disobbedire a regole ingiuste, si può finire per disprezzare se stessi.

Ma morale a parte, la bellezza dell’Ultima corvé è nella delicatezza del disegno delle psicologie dei personaggi, dell’evoluzione dei rapporti tra loro; e poi nella resa efficace della desolazione, dell’angustia materiale e culturale, di tanti luoghi d’America: che acuisce il desiderio di rivolta e di libertà.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 4 aprile 2020
»»
QUI la scheda audio)


 
 
 
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