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Precarietà, ovvero la caduta dell’impero romano
06 Novembre 2006
 
Si può non parlare della manifestazione del 4 novembre? certo non si può: è stata bellissima gioiosa colorata grande ecc. ecc.: senza battere ciglio ha semplicemente sgombrato la solita sfilata del 4 novembre con la sua truce messa in sena.
Segnala finalmente la ripresa di iniziativa politica da parte della sinistra, in un modo che non è più lo stesso dei tempi precedenti la coalizione e nello stesso tempo non taglia il tramite col passato, come dire che è stata una manifestazione "storica", non nel senso retorico del termine, bensì in un senso più pregnante: la storia si fa appunto tagliando e cucendo il passato e verso il futuro in modo che il presente non sia unidimensionale e povero.
Potrei rappresentare tutto ciò con l'aspetto musicale e danzante e con la corporeità tutta contemporanea, ma non senza rimandi e richiami. Naturalmente chi ha innovato la forma delle manifestazioni, passando dalle quadrate legioni a passeggiate danzanti siamo state noi femministe della metà degli anni '70.
Sarebbe troppo chiedere che qualcuno se ne ricordi e paghi il debito di una citazione? Certo sarebbe troppo, infatti non succede: comunque movenze ritmi balli erano quelli dei giovani e delle ragazze di oggi, senza più nessun imbarazzo nel muoversi, nessuna cesura coi linguaggi musicali e corporei che vengono agiti in altri luoghi, in altri momenti, tuttavia chissà come chissà perché bandiera rossa e bella ciao di continuo e con altri ritmi emergevano.
Come dire che la manifestazione col suo linguaggio negava fortemente il carattere separato della politica dei palazzi, si riprendeva lo spazio pubblico e affermava la politicità del suo esistere.
Tutto bene? Un po' di archeologia politica naturalmente ogni tanto si notava, in alcune movenze più militaresche, in ritmi più tradizionali, ma tutto sopportabile e come bruciato nel tono dominante. Non sopportabile la coloritura neutra del tutto. Ho sentito più d'una compagna dire di aver cercato lungo tutto il percorso uno spezzone di donne senza trovarlo, quello che è successo anche a me, sicché ho accolto con grande gioia la presenza di A-matrix con le loro code che significavano appunto e per contrasto che loro non si accodano. Altrimenti la presenza femminile, molto numerosa, tanto che non si può vedere una qualsiasi foto che non includa volti di donna, è stata contraddetta dalle dichiarazioni e interviste tutte di uomini e dal fatto che le donne che hanno parlato dal palco erano fantasmi di donna, se vogliamo riprendere la bella immagine delle precarie della Sanità del Lazio, "i fantasmi del sant'Andra", tutte donne, a segnalare che la precarietà è donna: ma hanno parlato di sé sempre e solo al maschile, cancellandosi: il maschile non marcato come neutro universale è il nostro futuro? speriamo di no.
Sarebbe una spiegazione del fatto che di sessualità si parla poco e molto in astratto o medicalizzandola, ma di ciò altre volte.
Ora vorrei fare una riflessione sulla precarietà per ciò che significa come esperienza di vita diffusa a milioni e non tutti giovanissimi e giovanissime. L'effetto sociale e culturale che produce è un prolungamento dell'adolescenza (e ciò è bello), ma fino a limiti patologici e un attaccamento e dipendenza dalla famiglia d'origine che si configura sempre più spesso come una difficoltà insuperabile a recidere il cordone ombelicale.
È noto che se non si taglia il cordone ombelicale chi è nato non sopravvive: ciò è vero biologicamente, ma lo è anche psicologicamente e socialmente, una diffusa prolungata precarietà è una scelta di morte, una dichiarazione di fine, qualcosa di simile alla caduta dell'impero romano, uno di quegli eventi che nella storia sono passati circondati da fosco colore tragico. Invero come fossimo sulla tolda di una nave che si inabissa non diamo segno di accorgerci di ciò che avviene, tranne che nella manifestazione che ha perciò un carattere di disvelamento e denuncia e iniziativa deprecatoria.
Peccato che non tutto lo schieramento collocato più verso sinistra nel governo vi si sia collegato. È un segno infausto per loro, per gli assenti, ma anche per tutti, non ci sono vie d'uscita separate, non c'è salvezza singola. Bisognerà lavorare per rendere comune la coscienza di un destino comune che ha ormai tempi visibili di crisi e di risoluzione. Non sempre capita di trovarsi alle svolte della storia: non accorgersene è essere come quello della canzone che era arrivato da Como per niente e non aveva capito un accidente.
 
Lidia Menapace

 
 
 
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