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Gerardo Ferrara. L’assassino di mio fratello
26 Dicembre 2014
 

Gerardo Ferrara

L’assassino di mio fratello

Giovane Holden Edizioni, 2014, pp. 416, € 16

 

Galilea, inizio dell’era cristiana. Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta"... (Luca 15,11-32). Abbiamo sempre ascoltato e letto la parabola del figliol prodigo, rimanendo positivamente colpiti dalla immensa capacità d’amare di quel padre che vede ritornare il figlio ritenuto perso – del resto è la capacità di ogni genitore di riaccogliere un figlio anche dopo i suoi più grandi errori – e siamo rimasti stupiti dalle reazioni del figlio maggiore, sempre ligio al proprio dovere, che niente aveva sperperato del patrimonio familiare, per cui, tuttavia, il padre non aveva mai ucciso il vitello grasso. Probabilmente lo abbiamo ritenuto un po’ invidioso e incapace di perdono e di amore fino in fondo. E lo abbiamo lasciato al suo destino sedendoci a tavola col gruppo che festeggiava. Ma che fine avrà fatto, come si sarà comportato dopo quel ritorno nessuno se lo è chiesto, o almeno non lo ha messo per scritto come invece fa Gerardo Ferrara, che ne immagina e ne segue i contorcimenti dell’anima.

Shimon è il fratello maggiore che ha seguito David nella sua crescita e nella sua educazione, lo ha protetto, David è la sua gioia ed il suo orgoglio. Si è fatto da parte per lasciare a lui l’amore di Rut. La famiglia è unita da consuetudini e riti, la vita scorre serena sullo splendido sfondo della Galilea. Ma David è inquieto, lo riconosce anche la vecchia nutrice Deborah, lui vuol superare i confini della Galilea, non sopporta il ripetersi monotono delle giornate passate nel lavoro e nei soliti incontri, non tollera le feste religiose, né tantomeno di dover rendere conto al padre di ogni cosa che fa. Vuole conoscere donne, spassarsela come fanno parecchi amici che frequenta, non regge più un mondo di regole e di responsabilità.

La sua partenza segna una frattura profonda col fratello Shimon che non lo capisce e non accetta la separazione, offeso. Per lui è un fratello morto di cui vuol cancellare anche il ricordo. Per David il comportamento di Shimon è un’offesa alla sua libertà di scelta.

A niente vale la saggezza del padre che gli ricorda che David è cresciuto e ormai libero di vivere la sua vita: “Terrò sempre la porta aperta e spererò sempre che l’Onnipotente lo riconduca, un giorno, a casa sano e salvo”.

Tre anni dopo torna a casa Rafael, lacero e affamato, il fedele servitore che il padre aveva mandato con David perché ne avesse cura. Purtroppo porta cattive notizie: la morte di David e la presenza di una figlia avuta da una giovane schiava del tempio di Astarte. Il padre vuole che il corpo del figlio torni a casa. Inizia così il viaggio di Shimon, recalcitrante ma costretto a partire insieme a Rafael, pieno di imprevisti drammatici, di esperienze estreme e di aperture inattese. David è morto davvero?

Come ogni viaggio è formazione e crescita. E ci farà conoscere, a fatica, uno Shimon nuovo.

Interessante questo romanzo, per l’ambientazione e la capacità di rendere lo stile di vita, le differenze paesaggistiche, il contesto storico; per il ritmo lento, il fraseggio lineare e talora volutamente ripetitivo fino a sembrare ridondante, che invece ci cattura perché porta con sé lo stesso ritmo e la stessa musicalità dei testi sacri.

 

Marisa Cecchetti


 
 
 
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