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Barbarah Guglielmana. ‘Apri gli occhi’ (Seconda parte)
Pig Iron - Il ferro dei porci (ARCS)
Pig Iron - Il ferro dei porci (ARCS) 
31 Ottobre 2014
 

Cos’è mai un’immagine? Una strada abitata da un essere, o il suo specchio o la sua ombra.

 

 

Tornare a Lodi questa settimana è stato ritornare nei mondi che ci stiamo costruendo...

Questa volta mi sono intrattenuta al banco dell’organizzazione, l’ho detto che era un peccato che la mostra non avesse avuto la continuità in settimana, e ne ho scoperto il perché: sono tutti volontari. Ho osato chiedere dell’altro: contenti della partecipazione? Certo, alla quinta edizione un numero dieci volte più grande che nelle passate edizioni. Ma sono stati pochi i lodigiani, mentre tanti da tutta Italia e molti venuti apposta dall’estero.

E quindi con la piantina delle varie mostre, offerta all’iscrizione, e con lo stesso braccialetto della volta scorsa, che era previsto come riutilizzabile, ho proseguito verso nuovi obiettivi:

Il Pig Iron – Il ferro dei porci (ARCS), stridente resoconto sulla lavorazione del ferro, sfruttamento dell’uomo e della natura. Eucalipti e il deserto verde. La numerosità delle centrali idroelettriche. Scriveva Piqua De Baiko Let them eat pollution. Non possiamo vivere d’aria?

Il Loro futuro, il nostro sogno (Amici di Serena) (di Irina Yeutuhova e Vuriy Sokolov), il progetto Tizzi nell’impegno nella provincia di Dobrush in Bielorussia, per l’affidamento dei bambini, per quelle famiglie con problemi di dipendenze. Questo nel sentirsi e costruire una società civile: dove tempo, energie e competenze sono messe al servizio dell’altro. Bambini con espressioni già troppo grandi.

In La giusta distanza - Dall’incontro al dialogo: storia di una cooperazione (di Silvia Morara e Paola Codelupi): un piccolo bimbo in una scatola di cartone, nel fine settimana nelle cartelle si mette il riso per la famiglia dell’alunno. MLFM è il progetto lodigiano, ora ONG, che nasce nel 1964 come movimento per la lotta contro la fame nel mondo. Forti motivazioni.

Le Lamiere (L’Africa chiama) (di Gianluca Uda), foto al buio come può essere una vita tra le lamiere, dove l’immagine tornare il tornare in quella casa sembra fatto di note arrugginite. Le discariche con gli avvoltoi. Il bambino per strada inala la colla per avere la pancia piena. Ospitato in un chiostro ramato. Mamma Africa con i suoi tanti figli poveri.

Il Krokodil tears – Lacrime di coccodrillo (di Emanuele Satolli) con l’acido cloridrico, il fosforo rosso dalle scatole di fiammiferi e lo iodio, la desomorfina (di cui il governo russo ne ha vietata la vendita), sottocute, endovena, intra arteriosa? Non sta a me giudicare come uno si spende la vita.

La The Road of Revolution (di Sandro Maddalena) con i moti di Piazza Maidan nella guerra in Ucraina, «ho cercato di raccontare questo evento stando accanto a chi ha preso attivamente parte a questa rivoluzione: semplici cittadini che avevano lasciato il lavoro, studenti che avevano momentaneamente abbandonato i banchi universitari per rimanere sulle barricate, ultras organizzare nell’estrema destra, preti che hanno deciso di celebrare messa in piazza piuttosto che in chiesa». Visioni pazzesche.

 

E insieme il FuoriFestival a cura del Gruppo Fotografico Progetto Immagine, che poi mi ha vista passeggiare fra altre esistenze, come in:

Lodi ai Ciclisti (dell’Abc Ciclofficina), presso la Ciclofficina al Parco di Via Fascetti: diversi modi di vedere la bicicletta, come svago e come mezzo di trasporto, simbolo di libertà e segno di vite diverse. Che voglia di salire in sella.

Apnea (di Paolo Zanoni), presso il Ristorante Gaffurio: azzurri dipinti sulle pareti che sembravano avere la profondità del mare, oltre il muro della nostra testa. Un tuffo che mi manca, ancora.

Cinque Terre: contrasto ed equilibrio (di Roberto Menardo), presso Enorafo della Galleria di Piazza Vittoria: la spiaggia e i suoi abitanti nei colori di altri tempi, non quelli artificiosi delle agenzie. Riavvolgiamo il nastro.

 

PER OGNUNO È UN EVERY DAY

 

Barbarah Guglielmana


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