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Manuel Cofiño e il futuro di Cuba
19 Agosto 2006
 

Nel giorno in cui si dissipano le ombre sulla salute di Fidel Castro e compare la sua foto in ospedale accanto a Hugo Chavez e al fratello Raúl, termino la lettura di un grande romanzo cubano: La ultima mujer y el próximo combate (L’ultima donna e la prossima battaglia) edito da Erre Emme nel 1990 e scritto da Manuel Cofiño. I due fatti sembrano non avere niente in comune ma non è così vero, perché al termine della lettura mi viene da pensare a quanto sarebbe necessario che il socialismo cubano ritornasse alle origini e non rinnegasse le antiche promesse.

Manuel Cofiño Lopez è uno scrittore rivoluzionario, uno di quelli che piacciono a Fidel Castro, uno scrittore che ha scelto di servire la Rivoluzione e di stare all’interno del solco senza la minima deviazione. Nonostante tutto è un grande narratore, dotato di tecnica sopraffina, di uno stile barocco e descrittivo, ma al tempo stesso evocativo e ricco di trama. Ha scritto molto dal 1936 al 1987 (anno della sua morte prematura), ha ricoperto incarichi di insegnamento universitario e come membro della direzione dell’unione nazionale degli scrittori cubani. L’ultima donna e la prossima battaglia è stato pubblicato a Cuba nel 1971 dove ha vinto il premio Casa de las Americas, che di per sé non è garanzia di qualità visto che la caratteristica fondamentale del romanzo premiato è la vicinanza ai principi rivoluzionari. Questo romanzo però è stato tradotto in russo, inglese, tedesco, portoghese, polacco, italiano e chi più ne ha più ne metta ed è un romanzo che merita di essere letto. Cofiño è un grande scrittore che va al di là della trama, perché gli elementi principali della narrazione sono le parole ricercate, le descrizioni, gli stati d’animo, i personaggi, l’ambientazione tropicale tra campagna e città, la costruzione di un uomo nuovo cubano e di una società tutta da inventare. Ricordo parti commoventi e molto letterarie che descrivono L’Avana come una città piena di sole, bellissima, che sembra di cristallo, col suo colore azzurro, un posto dove di notte ci sono tante stelle come in campagna, ma non importa perché le stelle lì stanno da tutte le parti: nelle vetrine, nelle case, per le vie, e persino per le scale dei palazzi. Povero Cofiño, se vedesse L’Avana cadente di oggi, chissà se scriverebbe le stesse cose, chissà se potrebbe dire che L’Avana sembra di cristallo, chissà se sarebbe così stupefatto da scrivere che là tutto è pieno di colori, le auto brillano come vetrini colorati e sembra che la gente non dorma mai.

Sono troppe le cose cambiate dalla Cuba descritta da Cofiño che racconta il 1964, cinque anni dopo il trionfo della Rivoluzione, con i barbudos che cercano di far capire ai contadini che la terra non è la sola cosa importante, ma che è fondamentale liberarsi dalla schiavitù del bisogno. Quando Cofiño scrive questo splendido romanzo rivoluzionario c’è ancora tanta gente che crede al messaggio per cui tanti giovani sono morti sulla Sierra e si sforza di propagandarlo. Nascono le scuole nei punti più sperduti di Cuba, si riesce a dare assistenza sanitaria a tutti e a ogni cittadino viene concesso l’occorrente per mangiare e per vestirsi. «Io ho fiducia nella gente. Se non avessi fiducia non sarei qui», fa dire Cofiño a un suo personaggio che si reca in campagna per attuare i micropiani della riforma agraria. Per poi concludere: «Essere fedeli alla Rivoluzione non vuol dire tradire l’individuo. Al contrario, solo preoccupandoci di lui potremo costruire il vero socialismo, quello che non sta negli schemi o nei manuali. C’è chi non vede la pineta per guardare i pini e chi tesse gli elogi della pineta, mentre i pini marciscono. Noi qui dobbiamo curare la pineta e i pini. Perché senza i pini non esiste pineta». Questa era la Rivoluzione Cubana e questi erano i principi per cui tanta parte del popolo cubano ha lottato e per cui gran parte del popolo cubano sarebbe ancora disposta a lottare. Peccato che la Rivoluzione di cui parla Cofiño ne L’ultima donna e la prossima battaglia abbia lasciato il posto a una dittatura che si regge su uno Stato di polizia e non si preoccupa né dei pini e né della pineta. L’intero bosco sta andando in malora e quelle che sono le esigenze individuali e la formazione dell’uomo nuovo non interessano più a nessuno. Conta solo il potere, purtroppo.

Sono contento di aver scoperto proprio adesso il romanzo di Cofiño, perché forse il segreto per un futuro migliore a Cuba sta proprio nella riscoperta del passato e dei vecchi valori rivoluzionari. I nuovi governanti cubani devono rileggere L’ultima donna e la prossima battaglia e fare autocritica per verificare se hanno ancora fiducia nella gente. Forse non è troppo tardi per completare il sogno di Fidel Castro e mettere davvero l’uomo al centro del sistema.

 

Gordiano Lupi


 
 
 
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