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Archeologia editoriale. IL GATTO ROBOT di Aldo Zelli (1981) 
Parte prima con nota biobibliografica dell'autore
28 Marzo 2010
 

1

 

Ecco fatto! – esclamò il Professor Oliverius, celebre inventore e scienziato, nel dar l’ultimo tocco al suo capolavoro.

Ecco fatto! – ripeté togliendosi il grembiulone con il quale solitamente lavorava nel vasto scantinato della sua casa – La baronessa Eufemia sarà soddisfatta. Voleva un gatto che non sporcasse in casa, che non perdesse i peli, che non miagolasse stupidamente, che tuttavia acciuffasse i topi più di ogni altro gatto. Ed eccola servita. Questo gatto-robot non sporca, non perde il pelo, non miagola, ma cattura i topi e basta. La baronessa ne sarà felice.

Il capolavoro del Professor Oliverius, il gatto-robot cioè, era lì sul bancone del laboratorio-officina. Era un bell’animale, finto naturalmente, grosso come un gatto e mezzo, di un bel colore azzurro, il cui manto era di uno specialissimo velluto sintetico a pelo lungo irrestringibile, insporcabile (si può dire così?) , insbiadibile (e così si può dire?). Questo velluto specialissimo era un’altra invenzione, una delle tante, del Professor Oliverius. Non si restringeva, non si sbiadiva, non si sporcava, non si distruggeva nemmeno a prenderlo a cannonate.

Il Professor Oliverius era un tipo balzano. Balzanissimo. Viveva solo e faceva tutto da sé. Così quel pomeriggio si spazzolò il vestito buono, si mise una camicia pulita, si lucidò le scarpe e, sistemato il gatto-robot in un cestello ricoperto da un panno, si avviò verso il palazzo della baronessa che sorgeva nella medesima strada. All’ingresso fu accolto dal maggiordomo che lo fece passare nel salottino giallo e lo annunciò alla nobildonna. Questa apparve di lì a qualche istante avanzando con incedere regale e guardando davanti a sé con l’occhialino.

Oh, un carissimo amico, che bella sorpresa! – cinguettò porgendo una mano inanellata perché Oliverius la baciasse. – Davvero una bella sorpresa!

La baronessa Eufemia era una donna di mezza età, grande, ossuta e segaligna e oltremodo facile a incollerirsi. Quando però era di buonumore (il che non accadeva spesso), era leziosa: faceva le smorfiette e cinguettava come un passerotto.

E che cosa mi dice di bello, caro professore? – cinguettò ancora sedendosi sul divano e invitando l’ospite a sedersi. – Mi dica, che cosa c’è in quella cestina?

Oliverius con un sorriso furbesco scoprì il cestino e ne estrasse il gatto.

Ecco qui – disse posando la bestiola sul tappeto davanti alla baronessa.

Un gatto, professore mio? Un gatto? – inorridì la dama. – Io detesto i gatti!

Sì, baronessa – le rispose il professore – è un gatto. Ma un gatto speciale. L’ho fabbricato con le mie mani.

Con le sue mani? È una sua invenzione?

Sì, è un gatto-robot. L’ho costruito pezzo per pezzo e l’ho ricoperto con il mio prezioso e particolarissimo velluto. Questo gatto – riprese dopo una breve pausa – non sporca e non perde il pelo, non miagola e non chiede da mangiare, non si acciambella sulle poltrone del salotto e non fa scorribande notturne. In compenso cattura ogni topo nel raggio di cento metri e inoltre emette certe microonde speciali che vengono percepite soltanto dai topi, blatte, scarafaggi e formiche.

E allora? – domandò incuriosita la baronessa.

E allora questi importuni e indesiderati ospiti del suo palazzo spariranno come per incanto, atterriti dalle microonde che rivelano la presenza del temibile gatto-robot all’interno della casa.

E se qualche topo avventuroso o qualche scarafaggio temerario osassero ritornare?

Non accadrà, glielo garantisco io, sono microonde terribili. Quindi, cara baronessa, accetti il gatto tranquillamente, insieme ai miei più rispettosi e devoti omaggi.

E non si azzufferà con i cani? – chiese la dama non ancora del tutto persuasa. – Talvolta delle mie amiche malgrado sappiano che io detesto i cani al pari dei gatti, si portano dietro orribili bestiole profumate.

Se il gatto dovesse essere assalito da un cane e questo dovesse morderlo, ebbene l’incauto cane si spunterà i denti e in più riceverà una scossa elettrica emessa dal gatto stesso, il quale a sua volta è programmato per non essere il primo ad attaccare un cane, né qualsivoglia altro animale ad eccezione di topi, scarafaggi, blatte, eccetera.

Oh, bene! Benissimo, anzi. Grazie! Accetto il gatto di gran cuore e gliene sono molto riconoscente.

Intanto il gatto-robot se ne stava compostamente seduto e girava lievemente il capo di qua e di là socchiudendo gli occhi e muovendo la coda. Sembrava un gatto vero e la baronessa lo guardava incredula.

Si direbbe un autentico gatto in pelle e ossa, anche se un po’ più grosso del normale. – Esclamò battendo le mani piene di anelli. – E voi, amico mio, siete un vero genio!

Il professore si inchinò con modestia.

Troppo buona, baronessa.

E come funziona? – chiese poi la dama. A benzina? A pile? Come?

Il gatto è dotato di pile particolarissime (un’altra mia invenzione naturalmente) che si ricaricano da sole all’aria aperta. L’importante è che il gatto venga lasciato libero di uscire in giardino o per la via, quando secondo i fonoricetransistori interni e quelli parietali, sente la necessità di ricaricarsi. Nessuna preoccupazione, comunque. Il robot è programmato in modo da essere in grado di fare tutto da solo, purché possa muoversi liberamente a suo piacimento.

Meraviglioso! Assolutamente meraviglioso! – esclamò la baronessa battendo le mani per la centesima volta.

Bisogna sapere che quando la gentildonna era allegra batteva spessissimo le mani; e quando era arrabbiata batteva invece i pugni sulla tavola, o sulle spalle e sulla testa dei domestici. Doveva insomma battere sempre qualche cosa.

 

 

2

 

Per i primi tempi il gatto-robot funzionò alla perfezione. In pochissimi giorni sbaragliò agguerriti e audaci plotoni di topi, che da secoli avevano spadroneggiato nelle cantine e nei solai dell’avito palazzo baronale. Erano così impudenti quei topi, che assai sovente compivano temerarie scorribande persino nelle cucine e talvolta nelle camere da letto e nei salotti. Il gatto distrusse, non si sa come, scarafaggi e blatte che si annidavano un po’ ovunque. In breve tempo il palazzo fu liberato da topi, blatte, scarafaggi, formiche e moscerini. Il palazzo fu liberato persino dalle fastidiose mosche estive. E se per caso qualche mosca appassionata di arte avesse voluto visitare l’interno del grande edificio, doveva avere il benestare del gatto, la cui sola presenza sembrava terrorizzare ogni sorta di parassita, proprio come aveva affermato il suo costruttore, il geniale professor Olivarius.

Restava il problema dei topi del giardino, delle rimesse e delle scuderie, ma il gatto-robot era prodigioso nel catturare quei roditori che sfuggivano alle microonde.

La bestiola meccanica non mangiava niente e meno che mai mangiava i topi che acciuffava. Ma essendoci proprio d fronte al palazzo dei ruderi romani tutti circondati da una cancellata e pullulanti di gatti randagi di ogni dimensione e colore, egli andava a deporre le sue prede in un particolare angolo del recinto, tra la comprensibile gioia di quei tanti felini.

Questi gatti perdigiorno e vagabondi avevano tentato di fare amicizia con quel magnifico micione azzurro, sempre così pulito e lustro, sempre così generoso nel dispensare topi morti: era stata però la loro, tutta fatica inutile. Il bel gattone non fiatava nemmeno, ma rispondeva alle loro profferte di amicizia con un misterioso bagliore dei suoi occhi verdi che sembravano piccole lampadine, e un elettrizzante fremito dei suoi inusitati baffoni.

Certe giovani gatte di bella presenza, corpo flessuoso, avevano invano cercato di attrarlo con dolci miagolii e seducenti fusa. Il prestante gatto le fissava con i suoi luminosi occhi verdi e non rispondeva. Si sarebbe detto un gatto sordomuto e comunque inaccessibile e incorruttibile.

La baronessa Eufemia era più che contenta del suo gatto-robot. Lo aveva chiamato Vespertino, perché la meccanica bestiola cacciava soprattutto di sera, e lo trattava come un gatto vero. Lo accarezzava lisciandogli il bel manto di velluto, gli aveva comprato un collarino tempestato di preziose pietre rosse. E poi, quando il pomeriggio del mercoledì riceveva le amiche, il gatto Vespertino era seduto sul divano accanto a lei (tanto non perdeva il pelo), e tutte le gentili dame gareggiavano nel coccolarlo e nel vezzeggiarlo. Ne avevano tutte le ragioni: un animale così bello e di così insolito colore per un gatto, così pulito e docile, non si era visto mai.

Una volta anzi, la duchessa Boccavizza, una donna oltremodo invidiosa, approfittando del fatto che la baronessa Eufemia era occupata ad accomiatarsi da certe signore che se ne andavano, afferrò il micione per la collottola, lo ficcò nella sua capace borsetta di pelle di coccodrillo e se la svignò senza nemmeno salutare. Ma male gliene incolse: il gatto–robot aveva un dispositivo antifurto sensibilissimo, ed era programmato contro i ladri. Appena chiuso nella borsetta mandò un acutissimo sibilo e nello stesso tempo cominciò a lavorare di denti e di unghioli, riuscendo a sfondare la costosa borsa.

La duchessa Boccavizza fu così colta in flagrante furto di gatto davanti alla inviperita baronessa Eufemia, e a tutte le alte signore scandalizzate da un simile comportamento. Non vi dico il putiferio che ne seguì.

Un’altra volta la giovane contessina Pupabella portò al micione un rarissimo pesce esotico avvolto in un fazzolettino ricamato. Pensando come tutti che Vespertino fosse un gatto vero e fosse come tutti i gatti ghiotto di pesce, immaginava di fargli cosa gradita.

Purtroppo il Professor Oliverius avendo concepito il suo robot come un gatto cacciatore di topi e in sottordine di scarafaggi, non aveva pensato di programmarlo per il pesce. Così Vespertino non soltanto non mangiò il pesce, ma poiché i suoi transistori olfattivi percepivano un odore nuovo, afferrò il pesce in punta di denti e lo depose in grembo alla baronessa Eufemia, vicino all’occhialino. Questa stava chiacchierando fitto fitto con la marchesa Vanessa del Cucco, e in un primo momento non si accorse di nulla. Ma quando fece per prendere l’occhialino e si trovò fra le dita un viscido pesciolino (anche i pesci esotici sono viscidi e lumacosi), lanciò un grido di raccapriccio così potente che si sentì ad almeno un chilometro di distanza. E la contessina Pupabella dovette profondersi in scuse e giustificazioni estremamente imbarazzanti, mentre l’offesa gentildonna la guardava fredda e sostenuta.

La contessina fu poi perdonata perché in fondo, povera cara, aveva voluto usare una gentilezza al gatto Vespertino e non aveva certamente avuto l’intenzione di rubarselo come quella strega della duchessa Boccavizza.

Tuttavia, malgrado qualche contrattempo come quelli che vi ho descritti, la baronessa continuava a essere entusiasta del suo gattone, e tutte le volte che il professore Oliverius andava da lei a renderle visita, non faceva che elogiarlo e parlare del gatto. Speso lo tratteneva a pranzo o a cena, mentre Vespertino seduto su una sedia, immobile come un idolo orientale, pareva inorgoglirsi di essere stato costruito da un uomo così geniale.

Tutto quindi andava per il meglio, quando…

 

(1. – seguirà parte seconda con commento di Gordiano Lupi)

 

 

Aldo Zelli (Arezzo, 1918 – Piombino, 1996) è vissuto per quarant’anni in Libia, dalla prima infanzia fino al 1964 quasi ininterrottamente. La morte prematura del padre, impiegato di banca, e le precarie condizioni economiche della famiglia lo costrinsero a interrompere la scuola con la sola licenza elementare. Nella dura adolescenza, già a contatto con le difficoltà della vita, ha continuato a studiare da solo, interessandosi soprattutto di storia, letteratura e linguistica. A sedici anni fu assunto come scrivano-interprete presso il municipio italiano di Zavia a 43 chilometri da Tripoli, ove la famiglia risiedeva e campava con gli utili di un negozio di merceria. Riprese gli studi durante la leva militare e allo scoppio della II guerra mondiale si trovò a combattere in prima linea, fino al 4 gennaio 1940 quando a Bardia, dopo la ritirata da Sidi el Barrani è preso prigioniero. Durante la prigionia in Egitto, Sudafrica e infine Gran Bretagna imparò l’inglese e lo spagnolo e perfezionò il francese. Rimpatriato nel 1946, lavorò con gli Americani a Camp Derby (Livorno) come interprete per fare ritorno in Libia soltanto nel 1948. A Zavia venne assunto come insegnante di inglese presso le scuole italiane e libiche e l’anno dopo si diplomò maestro. Successivamente si laureò in lingue all’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Ha insegnato lingua inglese per tanti anni in una scuola media di Piombino, divenuta sua città di adozione. Zelli pubblicò il suo primo racconto a tredici anni: “La perla indiana”, sul settimanale per bambini Il cartoccio di Napoli. Durante la prigionia curò il foglio bisettimanale dal patriottico titolo Itala fiamma. Rientrato dalla prigionia cominciò a scrivere testi soprattutto per ragazzi. Tra le tante opere ricordiamo: Kaslan, storia di un dromedario intelligente (L’Ariete, 1966 – ora in catalogo Edizioni Il Foglio), Il marinaio zoppo e altre storie (L’Ariete, 1967), Il magnifico corsaro (Paravia, 1971), Le avventure di Sinforiano, gatto vegetariano (L’Ariete, 1973 – ora in catalogo Edizioni Il Foglio), Lo schiavo di Tunisi (Edizioni Paoline, 1974), Diecimila anni fa (Le Monnier - Salani, 1980), La stirpe di Horo (La Fortezza, 1981), Il gatto robot (Comune di Piombino, 1981), Le storie di Abu Bakr (Editrice Virgilio, 1980), Buffe storie di animali (Ed. La Scuola, 1985), La tartaruga a rotelle (Ed. La Scuola, 1985), La carota ballerina (Ed. La Scuola, 1985), Larthi, principessa etrusca (Ed. La Scuola, 1985), Flaviano il longobardo (Ed. Petrini, 1988), Roma primo secolo (Le Monnier, 1991), Sotto le insegne di Colombo (Le Monnier, 1991), Il primo panda (Lalli, 1992), Schiava in Babilonia (Editrice SEI, 1995), Il sogno di Settimio Severo (Ed. La Scuola, 1994), Avventura nel futuro (Editrice Alberti, 1994), Il tempo all’indietro (Editrice Giacchè, 1994), Cronache della Staggetta (Chegai, 1998), Bartolomeo d’Alviano (Chegai, 1998), La bertuccia malandrina (Ed. Paoline, 1974 - rist. Il Foglio, 2000), Putifarre e Serafino (Edizioni Il Foglio, 2001), Le voci lontane (Edizioni Il Foglio, 2002).

Nonostante questa lunga lista ci sono decine di opere inedite che meriterebbero di essere pubblicate. Per informazioni sulla vita e le opere di Aldo Zelli si consiglia: Gordiano Lupi, Per conoscere Aldo Zelli (Edizioni Il Foglio).

 

 

I LIBRI DI ALDO ZELLI LI TROVI A QUESTO LINK

 


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