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Gianfranco Cercone. “Gli indifferenti” di Leonardo Guerra Seràgnoli
08 Dicembre 2020
 

Una premessa di metodo.

C’è un principio che spesso si enuncia, ma che spesso poi di fatto si dimentica quando si emette un giudizio su un film. Un film tratto da un romanzo è un’opera autonoma dal romanzo, e andrebbe interpretata e giudicata in se stessa.

L’autore di un film può prelevare da un romanzo fatti e personaggi, ma poi infondere nel racconto un suo proprio sentimento, esprimere una sua visione della realtà, e dunque un modo di considerare quei fatti e quei personaggi che può essere del tutto diverso da quello dell’autore del romanzo.

Questa premessa per dire che si dovrebbe vedere il film Gli indifferenti, diretto da un Leonardo Guerra Seràgnoli, dimenticandosi per quanto possibile il celebre romanzo omonimo di Moravia del ’29 a cui il film è liberamente ispirato, e magari anche le precedenti versioni cinematografiche del romanzo, realizzate da Francesco Maselli e da Mauro Bolognini.

Il film di Seràgnoli racconta di una famiglia romana dei giorni d’oggi. L’indifferenza a cui si riferisce il titolo, è nei confronti del mondo esterno alla famiglia, a cui nessuno dei suoi componenti sembra mai rivolgere nemmeno un pensiero; ma riguarda anche le relazioni tra i familiari.

Ognuno di loro, in effetti, è assorbito da un interesse, da una preoccupazione del tutto egoistica, e nel perseguirla non si fa scrupolo di danneggiare i propri parenti più stretti.

La madre, per esempio, vedova, dilapida il patrimonio familiare (appartiene infatti a una famiglia benestante decaduta). Angosciata dall’avanzare dell’età, tutta presa dal timore di non poter essere più amata, spende i pochi soldi di cui dispone per comprarsi degli abiti, senza poi pagare la sua domestica di colore e mangiandosi anche l’eredità che il marito aveva lasciato ai due figli. È disposta anche a lasciarsi sfruttare dal suo amante pur di prolungare una patetica relazione con lui, che sta con lei soltanto per potersi impadronire dell’attico in cui la donna vive.

Quanto alla figlia, si lascia sedurre – forse più per calcolo economico, che per sensualità o per amore – dal facoltoso amante della madre.

E il figlio – il personaggio meno “indifferente” della vicenda – disgustato dal cinismo che vede dilagare dentro casa, individuando nell’amante della madre la forza oscura che corrompe, distrugge la sua famiglia, non trova altra forma di rivolta che tentare di uccidere quell’uomo. Un gesto che però si dimostra fatuo e melodrammatico, perché allo scopo si serve di una pistola senza cartucce. Del resto il morbo del cinismo è anche in lui, e si trasforma presto in rassegnazione.

Soltanto la sorella, in extremis, assumerà una decisione discutibile, ma che forse salverà la famiglia.

Così descritti i personaggi sembrano fatti di una sola tinta, di un solo gigantesco difetto – l’indifferenza, appunto; e dunque soltanto negativi.

Ma il film aggiunge a ognuno di loro – eccetto forse l’amante della madre – un risvolto ulteriore: il dolore di sentirsi corrotti; anche se poi faticano a trovare la forza, un modo, per riscattarsi.

Come si vede è un film che descrive una situazione familiare complessa; statica, perché i personaggi sono perlopiù incapaci di agire, impotenti; ma indagata in tante, sottili sfumature emotive.

Tra gli attori, tutti bravi e indovinati, spicca la madre interpretata da Valeria Bruni Tedeschi.

Da vedere.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 5 dicembre 2020
»»
QUI la scheda audio)


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