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Gianfranco Cercone. “Lady Macbeth” di William Oldroyd
25 Giugno 2017
 

A proposito del cinema inglese, Elsa Morante, in una della sue recensioni cinematografiche raccolte recentemente in un libro molto bello, intitolato La vita nel suo movimento, edito da Einaudi e curato da Goffredo Fofi – la Morante, al termine di una lode del cinema inglese, scrive: «Nel cinema inglese non si nota quell'assenza di esigenze culturali, anzi quel dannoso, e (a lungo termine) disastroso distacco dalla cultura che si nota spesso nel cinema di altri paesi (per esempio del nostro). Al contrario, nella struttura dei film inglesi si avverte che i loro autori sono essi stessi (com'è giusto e logico che sia, e come dovrebbe essere dovunque) uomini di cultura; e che hanno interesse in tutti i campi della cultura del loro paese». E cita il caso di Laurence Olivier.

Una delle possibili riprove che queste parole di Elsa Morante, che risalgono agli anni Cinquanta, sono tuttora vere, è il film che un distributore indipendente – la Teodora Film – porta in questi giorni nelle sale: Lady Macbeth, diretto da un regista prima di questo film soltanto teatrale, William Oldroyd.

Il personaggio a cui si riferisce il titolo non è quello del Macbeth di Shakespeare. Il film è tratto da un romanzo breve di uno scrittore russo dell'Ottocento, Nikolaj Leskov.

Ma certo, la protagonista qualche tratto dell'eroina negativa della tragedia di Shakespeare, ce l'ha. In effetti, se nel Macbeth lei incoraggiava e collaborava con il marito senza battere ciglio in tutti quei delitti orrendi che dovevano servirgli a conquistare la corona di Scozia (e più per dedizione amorosa al marito, che per personale sete di potere), la Lady Macbeth del film di Oldroyd, andata in sposa a un benestante di campagna che da subito la trascura e la maltratta, e la imprigiona nella sua residenza, è del tutto al di fuori delle trame della politica, così come non prova, non può provare, il benché minimo amore coniugale.

Eppure si attiva in lei la stessa miscela di passionalità smodata e di freddezza quasi disumana di fronte alla prova dell'omicidio, quando incontra lo stalliere della sua tenuta che le fa scoprire il piacere sessuale; e a tal punto le appaga i sensi (o le annebbia i sensi), da renderla disposta ad uccidere chiunque si frapponga alla loro relazione.

Così la la lady Macbeth del film richiama inevitabilmente alla memoria un'altra celebre lady della letteratura inglese, la lady Chatterley del romanzo di Lawrence, la quale, come è noto, scopriva la potenza del sesso e della passione attraverso un guardiacaccia, piuttosto che attraverso il suo nobile ma esangue marito.

E il valore dell'erotismo è forse nel film ancora più esaltato che nel romanzo di Lawrence, perché qui il marito e il suocero della donna sono resi a tal punto odiosi, gretti e crudeli, che, in un primo tempo, si è indotti a simpatizzare con la protagonista perfino quando, in nome della propria libertà sessuale, li uccide.

Da Leskov, a Shakespeare a Lawrence, il film di Oldroyd, sembra, come anticipavo, una riprova di quel legame con la cultura, che per la Morante è una caratteristica del cinema inglese.

Ma il film è tutt'altro che un freddo collage di citazioni.

Se il racconto è secco, privo di tanti sviluppi romanzeschi, forse fin troppo semplice, basterebbe considerare il personaggio della protagonista – che vediamo trascorrere dalla rassegnazione alla rabbia repressa, dalla sensualità alla spietatezza – per accorgerci che dietro la sua figura impassibile, gli autori del film e la bravissima attrice - Florence Pugh - hanno riversato un aspetto della loro vita interiore.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 24 giugno 2017
»» QUI la scheda audio)


 
 
 
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