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Gianfranco Cercone. “Cinquanta sfumature di nero” di James Foley
18 Febbraio 2017
 

È un principio risaputo, ma poiché si tende a dimenticarlo, vale la pena ribadirlo: un film, come ogni opera d'arte, non è mai bello o brutto per il tema che tratta. Ciò che conta è se quel tema è trattato con la profondità, con il senso di verità, che sono propri dell'arte.

Così se Cinquanta sfumature di nero, diretto da James Foley – secondo capitolo di una saga avviata da Cinquanta sfumature di grigio, tratta dai romanzi popolari di Erika L. James – se è un film poco riuscito, non lo è certo per l'argomento che tratta. Racconta, come è noto, dell'amore di una ragazza per un giovane bello e ricchissimo, che ha l'inconveniente (o, a seconda dei punti vista, il pregio) di essere un sadico.

Ora, il sadomasochismo è stato raccontato anche in film molto belli. Un titolo per tutti, ormai un classico: Portiere di notte di Liliana Cavani.

Il limite di Cinquanta sfumature di nero è nel modo incerto, confuso, contraddittorio, con cui quel tema è affrontato.

Si tratta in effetti, a ben guardare, di due film in uno.

Nel primo – di genere “rosa” – la ragazza tenta di convertire all'amore il giovane sadico. Considera il suo sadismo come una malattia (dovuta, secondo la psicologia molto alla buona degli autori del film, all'odio per la madre tossicodipendente che lo ha trascurato da piccolo). E ama il malato, nonostante la perversione da cui è affetto. Così la tenerezza per l'uomo è unita alla fermezza con cui contrasta le espressioni del suo speciale erotismo.

Il secondo film è l'opposto del primo, quasi il suo negativo. E se non rientrasse in un prodotto hollywoodiano pieno di cautele e di censure, potrebbe sfociare in un film pornografico dei più brutali.

Qui la ragazza è attratta, affascinata, proprio dal sadismo del giovane. Visita incuriosita la stanza delle torture nel suo appartamento, prova su un dito uno strumento che serve a strizzare i capezzoli, si fa applicare un divaricatore alle gambe, si lascia sculacciare violentemente e poi sodomizzare.

Viene da chiedersi: non si rende conto che così facendo incoraggia l'aspetto “mostruoso” della personalità dell'amato? Oppure: se lei è una masochista, perché risulta tanto limpida, tanto convincente, quando dichiara di non volere essere in alcun modo usata e sottomessa?

I due film, insomma, si alternano l'uno all'altro, a più riprese, con scarsa coerenza logica e psicologica, creando nello spettatore un effetto di disorientamento simile a quello di un sogno. Un po' più di originalità e di audacia, e Cinquanta sfumature di nero sarebbe potuto somigliare un film surrealista, alla maniera dei film di Buñuel: come Bella di giorno, dove una donna sposata, apparentemente irreprensibile, di notte, guidata dai suoi istinti, come una sonnambula, si prostituiva in un bordello.

Ma l'effetto onirico in Cinquanta sfumature di nero è probabilmente involontario, è la conseguenza di un calcolo commerciale. Gli autori hanno voluto far sperimentare alle spettatrici e agli spettatori il brivido del sadomasochismo, ma mitigandolo subito nel contesto di un romanzo rosa alquanto dolciastro.

Va detto che Dakota Johnson nel ruolo della protagonista, è così brava, così espressiva, da trovare qualche nota di verità in un personaggio nel complesso mal costruito.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 18 febbraio 2017
»» QUI la scheda audio)


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