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Notte di Halloween con Enzo G. Castellari
23 Settembre 2006
 

Mi trovo ospite al “Joe D’Amato Horror Festival” di Livorno dove mi hanno invitato a presentare Cannibal – il cinema selvaggio di Ruggero Deodato ed Erotismo, orrore e pornografia secondo Joe D’Amato. Ho visto film per due giorni, mi sono immerso per l’ennesima volta negli orrori di Cannibal Holocaust e nella feroce vendetta de L’ultimo treno della notte di Aldo Lado. Ho provato a digerire pure Andrea e Mario Bianchi con Massacre e La bimba di Satana, ma come sempre non ce l’ho fatta. Ho ascoltato Corrado Farina, il geniale autore di Hanno cambiato faccia e Baba Yaga, Umberto Lenzi, Ruggero Deodato, Daniele Massaccesi e molti altri personaggi che hanno fatto il cinema italiano degli anni Settanta. Poi, durante la notte di Halloween, come un fantasma che viene dal passato, è arrivato lui, Enzo Girolami, a tutti noto come Enzo G. Castellari.

Il regista di Quel maledetto treno blindato è un distinto e simpatico signore che porta molto bene le sue sessantacinque primavere. Non si dà arie da divo, parla volentieri con i fans, risponde alle tante domande, si concede, sorride spesso e si sminuisce di fronte ai complimenti. Io lo avvicino un po’ intimidito dalla grandezza del personaggio, ma lui è molto affabile, mi dice che ha lasciato New York e che ormai vive a Roma. «A New York dopo l’undici settembre la paura si tocca con mano, solo camminando per strada», confessa. Però i suoi figli vivono ancora negli States, come suo nipote Andrea che sta cominciando a prendere confidenza con la regia e ha da poco realizzato un corto intitolato Orme rosse, che è un omaggio al cinema western all’italiana. Parlo con Castellari del progetto mio e di Fabio Zanello di scrivere un libro su di lui, su un tipo di cinema che andrebbe studiato nelle scuole vista la grande capacità tecnica del suo autore. Castellari sorride, pare che la cosa gli vada a genio, dice che per ogni cosa che ci serve è disponibile, basta chiamarlo che ci concede un’intervista. Alla fine mi autorizza pure a trascrivere le cose che racconta sul palco del KinoDessè dove lo intervistano Paolo Ruffini, Antonio Tentori e Filippo Mazzarella. E io contento come un ragazzino mi armo di carta e penna e scrivo, ché il registratore me lo sono dimenticato a casa e meno male che sono sempre stato rapido a prendere appunti sin dai tempi del liceo.

Prima della chiacchierata con Enzo G. Castellari sullo schermo proiettano il corto Orme rosse di Andrea Girolami, un film in lizza per l’Oscar dedicato al cinema del nonno, una breve storia tutta giocata sui particolari, inquadrature di speroni, proiettili in volo, primi piani di occhi e di volti. Protagonisti del corto sono un paio di speroni che un ladro tenta di rubare a un pistolero dopo un breve conflitto a fuoco, però gli speroni cadono a terra e vengono recuperati da un bambino che li rivende per una manciata di caramelle allo zucchero. Il corto è girato con tecnica magistrale, soprattutto con rapidità, a ritmi serrati e presenta intuizioni geniali che denotano classe d’autore.

Enzo Girolami pare contento del nipote, confida nella sua capacità di ripercorrere le sue orme e che possa contribuire a una rinascita del genere western. Subito però il discorso cade sul cinema horror, d’altra parte siamo al “Joe D’Amato Horror Festival” e di quello soprattutto si deve parlare. Al KinoDessè subito dopo l’intervento del regista proietteranno Sensitiva (1979), l’unico horror diretto da Castellari, un film che lui non ama per niente.

«Si tratta di una boiata pazzesca» dice ridendo «è un film che ho fatto soltanto per andarmene a fare una vacanza in Costa Brava, non sapevo nemmeno che genere di storia fosse e che tipo di film avrei girato. José Sachez scrisse una sceneggiatura per una produzione spagnola e mi chiamò per lavorare, fu subito chiaro che il mio nome non sarebbe mai apparso e allora lo girai giocando, divertendomi, recitai persino una piccola parte. Purtroppo accadde che finirono i soldi e non si sapeva come fare per portare a termine il film, così mi convinsero che l’unico modo per salvare la produzione era che firmassi il lavoro. E allora lo feci. Fu un caso di coscienza. Non potevo tirarmi indietro. Resta il fatto che non è un mio film, non l’ho mai visto, forse lo vedrò stasera se ce la faccio ad arrivare alla fine. Tra l’altro questa pellicola ha almeno tre titoli: Sensitiva (che è il più corretto), Sensività (cosa vuol dire in italiano?) e Kyra, la signora del lago. Pure questo dimostra il caos che c’era intorno al set».

Inevitabile che si parli di Quentin Tarantino e del remake di Bastardi senza gloria (The Inglorious Bastards), il vero titolo di Quel maledetto treno blindato, il titolo con cui è uscito in tutto il mondo a parte l’Italia per volere della produzione.

«Il titolo che metterà Quentin sarà di sicuro Bastardi senza gloria. Ho passato con lui quattro giorni a Venezia e abbiamo parlato di tanti progetti, ma questa cosa del remake lo prende davvero e pare che subito dopo Kill Bill vol. 3 comincerà le riprese. Certo che fatto da Tarantino verrà fuori un film davvero macabro e spietato, immagino già come sarà la scena dei marines di origine sioux che scotennano un gruppo di SS. E poi ci sarà un cast di attori internazionale, si parla di Antonio Banderas, George Clooney, Samuel Jackson…»

Quando gli chiedono di parlare di Tarantino a Castellari brillano gli occhi per la felicità. Si vede che lo ammira e che prova per lui una grande simpatia umana.

«Tarantino è di una simpatia devastante. A Venezia aveva attorno a sé gli autori che preferiva e si è fermato tutta la notte al cinema a vedere i film italiani, i nostri film che la critica non ha mai apprezzato. Il mio oscar è stato l’onore di assistere alla proiezione del mio film accanto a Quentin Tarantino che alla fine della proiezione mi ha indicato ai presenti in sala come il suo maestro».

Enzo Girolami lo sappiamo tutti che è figlio di Marino Girolami (Roma, 1914 - 1994), capostipite di una dinastia di gente di cinema attivo sin dal 1940 come assistente di Bonnard e poi in proprio dal 1951 con Milano miliardaria. Un regista che ha fatto oltre settanta film di vario genere, in gran parte commedie costruite attorno ai comici dell’avanspettacolo e della televisione. Marino Girolami lo ricordiamo anche per alcuni film con Franco e Ciccio, alcuni erotici all’italiana con le starlet del periodo, un paio di Pierini, Zombie Horror (1979) e per Roma violenta (1976). Suo figlio lo ricorda come un maestro.

«Sono nato nel cinema, mio padre ha diretto centosessantadue film (forse esagera perché la Garzantina Cinema gliene attribuisce oltre settanta e il Poppi un’ottantina - nda) e io andavo sul set a vederlo girare che ero ancora un bambino. Sono cresciuto in sala montaggio tra l’odore di acetone e i pezzetti di pellicola, sentivo le voci di chi costruiva il film, quel avanti… indietro che mi affascinava, guardavo tutto come un sogno che ho vissuto a fondo dal suo interno. La mia fortuna più grande è stata quella di poter frequentare sin da bambino una scuola di cinema così vera e così grande. Ho fatto l’artistico, poi l’Accademia di Belle Arti, infine mi sono laureato in architettura, ma non ho mai pensato davvero di fare l’architetto. Ho cominciato a fare l’assistente di mio padre, poi l’aiuto e infine il montatore. Per fare cinema va conosciuto il montaggio, la ragione per cui tu dai direttive e indicazioni di scena, un regista deve avere il suo montaggio in testa. Scrivere è facile ma passare dal racconto scritto al racconto visivo è un altro mondo e i tempi che servono per il tuo montaggio sono i tempi del tuo cinema. Non servono le scuole di cinema, l’unica vera scuola è la pratica e il giovane apprende soltanto da un autore di talento che sa trasmettere la sua passione. Certo ci sono dei meeting molto costruttivi che è importante frequentare, ma diffidate degli pseudo insegnanti che magari fanno le inquadrature con la stadycamera e non hanno nessuna tecnica. Serve a poco girare a vuoto un’infinità di scene per poi aggiustare tutto in sala montaggio. Mio nipote Andrea fa l’assistente e va sul set, soltanto così sa che può imparare a fare il regista. Certo che oggi è difficile trovare chi sa fare cinema e chi lo sa insegnare perché mancano gli autori».

Quando a Castellari parlano di film d’autore perde la pazienza, ma solo per finta, lui non si scompone mai, è un vero signore del cinema.

«Se a vedere un film ti rompi un po’ le palle quello è un film d’autore. Io ho fatto cinquantadue film (il Poppi gliene attribuisce trentadue, mi sa che pure qui esagera - nda) e molti me li sono scritti e sceneggiati da solo, su tutti ho lasciato la mia impronta di autore. Per me questo è il film d’autore. Tutto il resto mi interessa poco».

Un’altra cosa che lo fa incazzare è parlare di cinema di genere.

«Cosa sarebbe il cinema di genere? A Venezia mi hanno definito il re del cinema di serie B, ma B come Beatifull … È una vecchia storia quella del cinema di serie A e di serie B e non mi va di tornarci sopra…»

Vecchia storia come quella della distinzione tra artista e artigiano che la sera prima ha paralizzato il Festival per oltre mezz’ora quando tutti i presenti (me compreso) si sono affannati a dire la loro su Joe D’Amato. Corrado Farina sosteneva che Joe D’Amato era solo un artigiano, Antonio Tentori e Paolo Ruffini affermavano che si doveva parlare di un artista. Secondo me c’è poca differenza, soprattutto perché artigiano mica è un’offesa e come ha ben chiosato Manetti «pure Michelangelo era un artigiano e la Cappella Sistina l’ha fatta su commissione». Basta intenderci sul significato dei termini.

Castellari ha poi parlato del ritorno al western e del suo vecchio progetto Gli implacabili. Sono nove anni che ci sta dietro, però non ci sono i soldi e oggi come oggi si può fare cinema solo con sovvenzioni ministeriali o con progetti approvati da Mediaset o da Rai.

«Gli implacabili nel mio progetto originale voleva riportare sulla scena i grandi attori italiani dello spaghetti western e visto che i protagonisti sono sessantenni andava bene riproporre i volti di quella irripetibile stagione cinematografica. Adesso il progetto ha subito qualche variante e pare che il cast si stia evolvendo verso una partecipazione di attori internazionali. Molti attori americani hanno letto il copione e l’hanno proposto ad altri colleghi, così che diversi nomi importanti sono interessati a partecipare. Ma è inutile dire che c’è un cast straordinario se prima non si sblocca l’aspetto economico, poi magari il film non si fa e allora si crea solo un’inutile attesa. Il progetto è fermo da tempo al Ministero per ottenere i fondi, non si sa come ma i soldi sono spariti. Pure Ruggero Deodato ha un film su Anita Garibaldi approvato dal Ministero, ma per il momento non ci sono i soldi».

Siamo alle solite. Il problema è quello di sempre, come mi pare di capire da quanto dice Castellari.

«Il cinema è stato modificato dalla televisione e non è più il cinema di una volta, non esistono i produttori che rischiano e non si vende più niente sui mercati esteri. Oltre a questo c’è la piaga non da poco del nepotismo per i soldi statali, certi metodi poco chiari ci sono sempre stati ma il brutto è che adesso sono alla luce del sole. Di fatto la possibilità di fare un film non la si nega a nessuno, ma il difficile è fare cinema davvero, perché quando il giovane autore ha realizzato il film poi il problema vero è distribuirlo nelle sale».

Castellari torna sulle scuole di cinema e le critica di brutto.

«Non mi pare che siano usciti dei geni dal Centro Sperimentale. Chi è che insegna in queste scuole? Ora, io non dico che per insegnare bisogna essere stati per forza dei grandi registi, capita spesso che un mediocre autore possa essere un ottimo insegnante, vedi l’esempio sportivo di calcio e pugilato dove gli allenatori non sempre sono dei campioni del passato. Però devi saper insegnare, devi conoscere la tecnica in modo approfondito».

Castellari torna a parlare di suo padre e delle cose che gli ha insegnato. Marino Girolami è stata la sua vera e unica scuola.

«Tanto per dire mio padre è stato campione d’Europa di pugilato e si è ritirato imbattuto a vent’anni, ma lo sport gli ha insegnato molto per il suo mestiere, soprattutto gli ha trasmesso il rispetto per l’avversario e verso gli altri. Un avversario lo puoi sconfiggere ma non lo devi mai umiliare, questa è una regola del pugilato. Se ci fate caso i tempi dei miei film sono serrati come i tempi dello sport».

Si torna a parlare di fantastico e di horror e Castellari ci spiega perché rifiutò di dirigere Zombi 2.

«Tucci e De Angelis me lo offrirono ma a me già il due me fa’ gira’… e che devo fa er due?» dice ridendo. «A parte gli scherzi ho detto di no perché non mi sentivo all’altezza di dirigerlo, non era un film nelle mie corde. A me i vermi mi fanno schifo e poi non ho la passione per il cinema horror, mi dispiace dirlo proprio qui ma è così, spero che apprezzerete la sincerità. E poi i soldi erano davvero pochi… Per fortuna che mi chiamò il mio amico Franco Nero dai Caraibi per fare Il cacciatore di squali. Tra l’altro sono contento che sia finita così perché quel film l’ha girato molto bene Lucio Fulci, io non lo avrei mai saputo fare come lui. Per Fulci è stata una seconda giovinezza, dopo Zombi 2 ha ripreso a lavorare alla grande».

Colpi di luce è un altro film che a Castellari non piace ricordare.

«Il fantastico puro non è nelle mie corde, sono più per il cinema western, avventuroso, di azione, per il poliziesco. Sensitiva è il mio unico vero horror e vi ho già detto che non è mio, ho fatto anche dei postatomici ma con il taglio del film d’avventura, di azione, una trilogia di pellicole che ricordo con piacere. L’ultimo squalo è un altro film che contiene elementi fantastici ma non è certo un horror, genere che non mi è congeniale. Di Colpi di luce ricordo con piacere solo l’incontro con Erik Estrada, un simpatico portoricano di New York. E poi lo girammo a San Francisco, una città stupenda che ha catturato il mio cuore».

Quando gli chiedono se ha apprezzato Terra di confine di Kevin Costner non pare molto entusiasta, dice che nel primo tempo s’è annoiato, certe parti però erano molto realistiche e c’era anche un ottimo attore. La seconda parte del film gli è piaciuta di più, pure se non crede che quello sia il film definitivo sul genere western.

«Il western se c’è qualcuno che lo chiude quello so’ io» dice con un sorriso. Ma non scherza, ve lo assicuro. Ne è davvero convinto.

Castellari sfata pure la leggenda che una volta sul set avrebbe fatto a botte con un giovane attore.

«Questa storia l’ha messa in giro Lucio Fulci che era un buontempone, si divertiva a inventare di tutto e poi la sua tesi di fondo era che agli attori bisognava menagli. Siccome il suo fisico, minato da una grave malattia, non glielo consentiva allora inventava queste cose e diceva che faceva bene Castellari a menare. Lucio Fulci e Sergio Corbucci hanno inventato pure una miriade di soprannomi, voi forse non lo sapete ma Carlo Vanzina lo chiamavano Via col mento…»

Era impossibile che Enzo G. Castellari non lasciasse un ricordo di Aristide Massaccesi.

«Ricordo che una volta proprio a Livorno Ferdinando Di Leo parlò molto male di Massaccesi e questa cosa mi fece incazzare parecchio. Lui sosteneva che esistono registi e filmisti e diceva che Massaccesi imbrattava la pellicola. Come si fa a parlare male di un collega proprio non lo so e poi di uno che ha sempre fatto tutto da solo, uno che faceva bene le cose che sapeva fare e che non ha mai detto di essere un artista, una persona modesta e gentile come Massaccesi…»

Castellari ci racconta pure La polizia incrimina, la legge assolve, uno dei suoi film migliori, un vero poliziesco al di là dei generi.

«Amati mi chiamò per fare questo film ma io dissi subito che non mi interessava realizzare una pellicola di fantapolitica come La polizia ringrazia di Steno, film notevole e vero iniziatore del genere, ma fuori dalle mie corde. Io volevo fare un vero poliziesco, un film d’azione con inseguimenti all’americana, una cosa completamente diversa. Raccontai la sceneggiatura ad Amati, lui non amava leggere copioni, voleva che il regista descrivesse il suo lavoro in poche parole. Io sono sempre stato bravo a raccontare i miei film in cui credevo e fu così che il produttore accettò la mia proposta di girare un poliziesco ispirato al delitto Calabresi, ricco di inseguimenti spettacolari. Remì Julien è stato molto bravo in queste scene di inseguimenti che aprono e chiudono il film, senza di lui non le avremmo mai potute girare. Mia figlia interpreta la figlia di Franco Nero e recita in inglese, siccome studiava là era la sua lingua. Il film lo vietarono ai minori di quattordici anni e io non lo sapevo, quando la portai con me al cinema per vederlo non la fecero entrare e dovetti riaccompagnarla a casa. Mi persi l’inizio ma quando tornai al cinema vidi che c’era una folla di gente a vederlo, la sala era strapiena, gli spettatori erano persino a sedere per terra, molti stavano in piedi. Fu un grande successo. La location della pellicola è Genova, una città che amo molto. Ne Il giorno del cobra ci sono sia Genova che San Francisco, le mie due città ideali».

Si conclude citando Michael Mann che recentemente ha detto: «Il grande racket è uno dei migliori polizieschi mai girati perché il vero protagonista è la malavita più che i personaggi che rappresentano l’ordine. La violenza per la violenza è descritta con precisione e senza concessioni al romantico, ci sono scene di azione realizzate con grande perizia tecnica, soprattutto quella dove Fabio Testi precipita da una collina a bordo della sua auto». Castellari non dice niente. Sorride e apprezza l’intervento di chi ha citato il parere di Mann, fa finta di non sapere che il regista americano ha detto queste cose, ma si capisce che lo fa solo per modestia. Conclude con una battuta.

«Quando girai Il cittadino si ribella mi tacciarono di estremista di destra perché detti vita a questo personaggio che si faceva giustizia da solo. Ma provate a vedervi sterminare la famiglia, distruggere il lavoro, rovinare la vita da una banda di delinquenti. Se la reazione del mio personaggio voleva dire essere di destra va bene, allora vuol dire che sono di destra anch’io».

Enzo Girolami lascia il palco del KinoDessè e il “Joe D’Amato Horror Festival” tra gli applausi. Ci assicura che per cena mangerà cacciucco. A Livorno è d’obbligo. Chissà se il lungomare dell’Ardenza sarà capace di ispirare al grande regista un nuovo poliziesco. Lui che ama tanto Genova forse si lascerà stregare anche dal fascino delle scogliere del Romito che degradano a picco sul mare. Forse il prossimo commissario di polizia lo vedremo sfrecciare nella zona del porto e tra i mercati del pesce, per le stradine della Venezia dei fossi e della Fortezza Medicea. Sono soltanto sogni, purtroppo. Sogni d’una stagione irripetibile che non può tornare.

 

Gordiano Lupi

 

Questa intervista a Enzo G. Castellari è contenuta nel libro:

Gordiano Lupi e Fabio Zanello (a cura di), Il cittadino si ribella: il cinema di Enzo G. Castellari, Profondo Rosso Editore, Roma 2006, pagg. 319, € 25,00


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