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Archeologia editoriale. LIBERARSI DAL REGIME di Aldo Canovari (1994) 
Breviario per il nuovo Parlamento – Parte Terza: Una nuova inquisizione?
01 Agosto 2012
 

Lo statalismo dilaga - Il cittadino è suddito della burocrazia - La legislazione è pletorica e favorisce gli abusi - La tassazione è impari e persecutoria - La magistratura agisce come unico potere insindacabile - Di tutto questo bisogna liberarsi se si vuole uscire dalla nostra pseudodemocrazia.

PARTE TERZA

 

 

 

Una nuova inquisizione?

Prima considerazione. L'esplodere degli scandali ha reso evidente che nel sistema Italia la corruzione è strutturale e congenita all'organismo. Non si tratta di singoli episodi individuali.

La vera causa sta nella metastasi delle funzioni statali; nell'abnorme dilatazione degli interventi dello Stato (banche, industrie, servizi, trasporti, telecomunicazioni, sanità, ecc.), sia come soggetto appaltatore di commesse, cioè come Stato imprenditore, sia come soggetto appaltante di grandi lavori, sia come soggetto erogatore di benefici, provvidenze, agevolazioni, finanziamenti.

L'unica terapia è un restringimento drastico del ruolo dello Stato.

Senza pavidità, pudori ed eufemismi, bisogna tornare allo Stato minimo. Esso dovrà occuparsi direttamente solo di sicurezza, ordine pubblico, giustizia, sanità e previdenza per gli indigenti veri, ambiente e di quanto sia data prova inoppugnabile della "indispensabilità" del suo intervento. Per tutto il resto dovrà solo dettare chiare, eque regole del gioco e vigilare che siano rispettate.

Seconda considerazione. Oggi, le coste stanno così. Il clan dei magistrati penali è assurto a supremo reggitore della vita economica e politica della nazione. La soluzione di ogni problema assume una declinazione penalistica. Le Procure della Repubblica costituiscono i centri di governo della vita associata. I Pubblici Ministeri sono i padroni dei destini privati e pubblici del Paese.

La denuncia penale, la delazione, la diffamazione sono ormai lo strumento di lotta ordinariamente praticato sia a livello individuale che di gruppi politici. Si ha la netta sensazione che, grazie all'astuta e vile demagogia di molta stampa, gli italiani abbiano consegnato se stessi, il loro più prezioso patrimonio di libertà, alla casta dei magistrati, ai quali, (non è azzardato prevedere), fra poco si finirà per affidare anche compiti di direzione e gestione nelle grandi imprese pubbliche e private.

Magistrati, alcuni dei quali, sempre più spesso, legittimano il loro operato, invece che sulla sola legge, sul “consenso popolare”, sull'approvazione della cosiddetta opinione pubblica, cioè sulla piazza. Magistrati che travalicando dalle loro funzioni, esercitano di fatto attività politica, protetti da un'impunità che offende ogni decenza intellettuale, ancor prima che giuridica.

Come è sempre accaduto nella nostra storia, le fasi di più acuto disorientamento ricacciano l'italiano in uno stato minorile. Egli delega la sua responsabilità, i suoi diritti, il suo potere ad una figura paterna. Si spoglia della propria capacità d'agire, si riduce allo status di inabilitato-interdetto. Da cittadino a suddito, affidandosi alla rassicurante, onnipotente patria potestà che protegge, decide, domina, giudica, premia e castiga: l'altro ieri il Papa, ieri il Duce, oggi il giudice-giustiziere.

L'incisiva azione di alcuni magistrati è stata salutata da un vasto plauso e ha suscitato stucchevoli lodi da parte dei grandi comunicatori. Tutto questo è naturale. Ma fino ad un certo punto. L'assurdo – o il paradossale – è altrove.

Per uno strano meccanismo mentale, il tripudio popolare per i magistrati protagonisti dei processi di Tangentopoli ha finito per trasferirsi a tutto l'ordine giudiziario, identificando in esso l'unica parte sana del Paese, ma trascurando il dettaglio che proprio l'improvviso esplodere di questa finora sconosciuta efficienza è la prova stessa della quarantennale collusione dell'ordine giudiziario col sistema. In che senso? Nel senso che una parte dell'ordine giudiziario (non mi riferisco certo alla totalità dei magistrati, poiché fra di essi abbiamo avuto ed abbiamo molti uomini di altissima qualità professionale e morale), nel passato, ha omesso di fare il proprio dovere. Ha operato per un quarantennio in complicità con il sistema, preoccupata di non disturbare quei poteri dai quali traeva i propri ampi privilegi.

Attraverso l'enorme potere di pressione che è stato in grado di esercitare sull'organo legislativo e attraverso un uso a volte spregiudicato della domestica giurisdizione, l'ordine giudiziario si è costruito uno status retributivo-normativo talmente privilegiato da non aver riscontro in altri ordinamenti e da costituire un monstrum unicum anche nel nostro.

Orbene, quel che dovrebbe servire a dare evidenza alle colpe passate dell'ordine giudiziario cioè l'improvvisa eruzione vulcanica di tanta corruttela – per un uso distorto della proprietà transitiva, si è risolto a lode dei magistrati!

Quel che viene presentato come gran titolo di merito della magistratura – cioè l'attuale condotta di magistrati coraggiosi e onesti – dovrebbe, se solo si ragionasse un po', costituire uno schiacciante atto di accusa per le omissioni del passato e suscitare sdegno nei confronti di quei magistrati ancora in servizio e che per decenni sono stati inerti. Inerti o peggio, e quindi conniventi con quella corruzione che oggi con zelo pignolesco perseguono e che con altrettanto scrupolo hanno ignorato.

Il ragionamento è di così palmare evidenza che sorprende assai constatare come esso sfugga alla coscienza popolare.

Altrettanto paradossale risulta la giustificazione che questi stessi magistrati adducono per la loro inerzia passata: “Allora non potevamo, allora ci veniva impedito”.

Qualunque imputato che si difendesse in questo modo, si dichiarerebbe reo confesso e verrebbe condannato immediatamente, se questi magistrati fossero lì a giudicarlo. Eppure essi stessi proprio così si difendono.

Affermare che “allora non potevamo” – dal momento che non si trattava certo di impedimento mediante violenza fisica equivale a dire che per interesse personale o politico, per carriera o per altro si cedeva alle pressioni di... di chi? È chiaro: dei propri superiori (magistrati) o direttamente di quegli stessi corrotti politici, sindacati, imprenditori, cooperative bianche e rosse, mafiosi e camorristi che oggi i magistrati, con tanto sprezzo del pericolo, perseguono.

Se non c'è il minimo dubbio che la vecchia classe politica debba essere spazzata via, è altrettanto giusto che con essa debbano andare a casa tutti quei magistrati che sono stati al comando delle tante capitanerie dei “porti delle nebbie” in cui si sono insabbiate mille inchieste scomode.

Onestà vera vorrebbe che tutti loro facessero pubblico atto di contrizione.

L'autoconsegna degli italiani alle cure del potere giudiziario è dunque paradossale. Essa ha tutti i contorni di un'isteria collettiva ed è leggibile solo nei termini della "sindrome del naufrago": affondata la nave, ci si aggrappa anche ai rottami.

Essa mina alla radice il principio dell'equilibrio fra i poteri dello Stato.

Terza considerazione. Le vicende giudiziarie conseguenti agli scandali – in aggiunta alla folle politica fiscale di cui ho detto sopra – stanno paralizzando e strozzando l'economia italiana. Lo stato di paralisi investe governo, burocrazia, organi di amministrazione e organi di controllo, imprese, consumatori.

Esso è di origine normativa e psicologica. Sospetto, incertezza, paura. Nessuno più firma, nessuno più investe, nessuno fa acquisti che lascino tracce sul redditometro (immobili e mobili registrati). Quindi anche dannosa distorsione sui consumi, che vengono orientati verso l'effimero e il voluttuario.

I riflessi sull'occupazione saranno disastrosi entro breve tempo. Da questo stallo non si può uscire solo per le vie giudiziarie: è indispensabile ed urgente un atto di pacificazione nazionale.

È una situazione straordinaria che impone soluzioni straordinarie: si impone l'anno sabbatico, istituto peraltro collaudatissimo in millenni di storia del mondo giudaico (ogni 49 anni avveniva una sorta di remissione dei debiti, di restituzione, di azzeramento, proprio per disinnescare cariche esplosive sul piano sociale ed economico).

Tale atto – opportunamente dosato – di amnistia, indulto, dovrà essere però accompagnato da un provvedimento di vasta depenalizzazione dei comportamenti illeciti, a proposito di piccoli e medi abusi edilizi; piccole e medie violazioni di norme di polizia, ordine pubblico, circolazione stradale; piccole e medie infrazioni di norme antiinquinamento (ce ne sono di demenziali per barbieri, baristi, meccanici ecc.); e soprattutto di piccole e medie violazioni finanziarie, fiscali e contributive; tutte quelle di natura formale e tutte quelle che non siano palesemente dolose e preordinate all'evasione.

Saranno necessarie: una revisione delle pene legali; dovremo cioè limitare al minimo quelle detentive, riservando queste sanzioni esclusivamente ai casi di pericolosità sociale; una revisione dell'istituto dell'obbligatorietà dell'azione penale, peculiarità solo italiana che tanti guasti e strumentalizzazioni ha provocato; una separazione formale e sostanziale di ruoli e carriere dei magistrati giudicanti da quelli inquirenti; una nuova disciplina del segreto istruttorio, dell'avviso di garanzia e dell'esercizio della libertà di stampa in materia giudiziaria; una restituzione ai cittadini delle garanzie costituzionali delle quali sono stati confiscati dai recenti stravolgimenti legislativi e giurisprudenziali del nuovo Codice Penale; una revisione dei metodi di reclutamento, selezione e carriera dei magistrati, mediante la reintroduzione dei vagli di valutazione; una limitazione dei poteri di ordinanza su misure restrittive della libertà personale ai magistrati con almeno quindici anni di servizio.

Cosi facendo si otterranno questi risultati certi:

1) L'alleggerimento degli uffici giudiziari. L'apparato giudiziario potrà dedicarsi alle cose serie in campo penale e dirottare energie anche in quello civile, con beneficio dell'efficienza della giustizia.

2) Si ridurrà un poco il potere della casta dei magistrati, sottraendole una gran mole di casi, e altrettanto alla polizia, ai finanzieri, eccetera.

3) Si renderà decisamente più civile l'ordinamento, più serena la vita dei cittadini che vedranno un po' meno lo Stato come nemico e lo identificheranno un po' meno con il pennacchio dei Carabinieri, con la fiamma gialla della Finanza, con il tocco dei giudici.

4) Si restituirà al cittadino la voglia e la gioia di operare, di produrre, di accrescere le opportunità di lavoro per sé e per gli altri.

5) La depenalizzazione di una vasta area di comportamenti illeciti – che verranno sanzionati solo con pene pecuniarie in via amministrativa – realizzerà fra l'altro rilevanti entrate a favore del bilancio dello Stato.

6) Si darà il via all'eliminazione di quella vergogna nazionale che è la condizione carceraria, che grida vendetta al cospetto di Dio e per la quale ciascuno di noi cittadini è chiamato a rispondere moralmente.

In conclusione, il nuovo parlamento dovrà muoversi in diverse direttrici, se vorrà riconciliare il cittadino con lo Stato: dovrà ridurre le funzioni dello Stato (“Stato minimo”, ma efficienza nel suo ruolo di garante delle regole del gioco). Dovrà dimostrare continenza al momento di varare nuove leggi e procedere ad una revisione generale delle stesse, con l'obiettivo di deforestare il corpus legislativo e normativo del nostro ordinamento. Dovrà proporsi un ripensamento radicale a proposito del "mostro legislativo" e burocratico europeo. Procedere ad un'ampia depenalizzazione dei comportamenti illeciti, in vista della pacificazione nazionale, e ad una drastica sostituzione delle pene detentive con altre forme di sanzioni.

Dovrà affrontare il ridimensionamento dei poteri (oggi illimitati) della magistratura, con la revisione degli istituti del segreto istruttorio e dell'avviso di garanzia, in modo che quest'ultimo rappresenti un'effettiva garanzia dell'indagato. Dovrà procedere alla separazione dei ruoli, fra magistrato inquirente e giudicante, e promuovere una nuova disciplina per l'esercizio della libertà di stampa.

Si tratta, insomma, di restituire al cittadino i suoi diritti inalienabili e in particolare l'habeas corpus.

Si tratta, se vogliamo compendiare tutto in un'unica sintesi, di restituire all'individuo gli spazi morali, negoziali, economici che lo Stato gli ha sottratto; di arrestare la deriva delle libertà, la regressione verso il medioevo, la nuova inquisizione; di non degradare l'Italia, in nome delle esigenze della moralizzazione, al rango di Stato di polizia.

 

Aldo Canovari

(in Commentari, n. 4 /1994, vol. 6)

 

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