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La notte apre i fiori del mondo gay cubano 
Un discutibile documentario messicano sul mondo gay cubano
08 Luglio 2006
 

Il regista indipendente messicano Victor Jaramillo ha realizzato La noche abre su flor (La notte apre i suoi fiori), un documentario che fa conoscere l’altra faccia del paradiso tropicale, rivelando molti fatti nuovi sulle tendenze sessuali cubane. La Cuba gay viene alla luce con grande evidenza in questo documentario clandestino, proiettato nella Cineteca Nazionale del Messico, che ha subito scatenato grandi polemiche per la tematica affrontata. Secondo il regista la festa del sesso avanero comincia il venerdì o il sabato, verso le dieci di sera, sull’autobus che percorre la linea 23, quella che va dal Capitolio al Vedado. A bordo tutti ballano e cantano e chi non si esibisce nelle danze tradizionali marca il tempo con le dita, ma la cosa sconvolgente è che quasi tutti i passeggeri sono omosessuali. I gay non hanno spazi associativi riconosciuti e allora, secondo il regista messicano, di notte si riversano per le strade dell’Avana ed esercitano il loro diritto alla libera scelta sessuale. Victor Jaramillo riprende le scene di vita avanera per mezzo di una camera a mano professionale e di una piccola macchina da presa semiprofessionale che permette maggiore libertà di movimento. I gay vengono filmati e intervistati lungo il Malecón, nelle caffetterie e all’interno delle case per svelare al pubblico una Cuba sommersa e inaspettata che fa cadere il mito machista.

Jaramillo è andato a Cuba tre o quattro volte all’anno, dal 2001 fino a oggi, per filmare clandestinamente questo documentario verità, seconda parte di una trilogia cominciata nel 2001 con Amor chacal (Amore sciacallo), che racconta la prostituzione maschile a Vera Cruz. La terza parte avrà come scenario la città di Cartagena in Colombia e il regista inizierà le riprese a settembre. Jaramillo si definisce un uomo libero di sinistra, non ha chiesto nessun permesso per girare il filmato, e adesso sa bene che l’Ambasciata di Cuba gli toglierà il visto di ingresso nel paese. Jaramillo non ha avuto nessun finanziamento e i centomila pesos che servivano sono usciti dagli incassi del suo ristorante, che rappresenta la sua attività principale. Il regista ha montato il documentario con un personal computer e dopo lo ha proiettato nei festival del cinema underground e nelle riunioni tra amici. La piccola camera a mano gli ha permesso di registrare anche scene piccanti all’interno dei bagni dove i gay facevano sesso. Victor Jaramillo sostiene che i ragazzini cubani di 13 o 14 anni accettano con naturalezza la loro omosessualità e che molti di loro esercitano la prostituzione. Nel filmato ci sono anche testimonianze, come quella di Cristal, una ragazzina di 14 anni che è già una piccola jinetera e ammette di aver avuto almeno cinque amanti messicani. Jaramillo raccoglie confessioni di uomini e donne dediti alla prostituzione per turisti e di alcuni travestiti come La Urona.

Il tema della omosessualità a Cuba è stato già ben affrontato dalla pellicola Fresa y chocolate di Juan Carlos Tabio, su sceneggiatura di Senel Paz, però il lavoro di Jaramillo è diverso. Il regista messicano non vuole fare letteratura ma solo scandalizzare. Per questo afferma che l’omosessualità nell’isola non è clandestina e che il novanta per cento della popolazione cubana è dedito a rapporti omosessuali. Non mi pare di poter condividere questa valutazione e credo che quasi tutti i ragazzi cubani pratichino senza problemi l’omosessualità. Jaramillo sostiene che ci sono zone dell’Avana dove i gay si esibiscono senza ritegno. Per dar corpo alla sua tesi cita i casi degli scrittori Severo Sarduy e Reynaldo Arenas che furono omosessuali, ma non dice che entrambi passarono guai per la loro condizione e che Arenas subì persecuzioni e carcere duro, fino all’esilio.

«La vita cubana è complicata. La popolazione vede ristrette tutte le libertà civili. Nessuno può muoversi liberamente all’interno dell’isola. Per questo il governo non può limitare l’esercizio della sessualità, se non vuole che la situazione diventi esplosiva», dice il regista. E ribadisce che «la vita gay a Cuba è molto più intensa e più divertente che nella stessa Città del Messico». Il documentario registra anche la repressione nei confronti dei gay, ma l’autore afferma che «il sistema cubano ha bisogno delle risorse che provengono dal turismo e siccome gran parte dei turisti sono gay, ci deve essere tolleranza da parte del governo». Sono considerazioni del tutto personali che non mi sento di condividere, soprattutto perché nella vigente legislazione gli omosessuali non esistono. La tolleranza del governo è tutta da dimostrare, così come la pretesa maggioranza di gay tra i turisti mi sembra una valutazione molto opinabile. Felix Luis Viera, scrittore cubano nato a Santa Clara nel 1945, noto in Italia per aver pubblicato Il lavoro vi farà uomini (L’Ancora del Mediterraneo, 2006), una sorta di romanzo verità sui gulag castristi per omosessuali e antisociali, contesta le cifre riportate da Victor Jaramillo. «Non si può dire che il novanta per cento della popolazione cubana pratica l’omosessualità. Jaramillo capovolge le percentuali solo per fare scandalo e la sua statistica non è credibile. A Cuba tutte le statistiche sono in mano al regime e quindi di per sé risultano poco attendibili, ma è fantascientifico dire che il novanta per cento dei cubani pratica l’omosessualità. Il film di Jaramillo è girato interamente all’Avana e soprattutto in certi quartieri ad alta concentrazione omosessuale. Non si può prendere una città come specchio di un’intera nazione. Per fare una statistica obiettiva, il cineasta avrebbe dovuto viaggiare per tutta Cuba e intervistare persone di ogni ceto e cultura. Invece pare che Jaramillo abbia la sfera di cristallo o un potere speciale sconosciuto che gli consente di scoprire i gusti sessuali degli abitanti di Cuba». Mi sento di condividere la critica di Felix Luis Viera, un cubano esule in Messico che conosce a fondo il problema omosessuale a Cuba.

 

 

Telenovela gay su Cubavision, leggi su travestiti e unioni gay


A Cuba però qualcosa si sta muovendo nel mondo gay ed è proprio Mariela Castro, nipote del lider maximo, che sta lottando per una rivoluzione a favore della tolleranza sessuale all’interno di una società storicamente machista. Mariela Castro ha promosso dalla direzione del Centro Nazionale di Educazione Sessuale una telenovela sulla bisessualità che è stata trasmessa da Cubavision scandalizzando molti cubani. Ma non si è fermata qui, perché sta portando avanti anche un progetto di legge per riconoscere i diritti dei transessuali.

«Voglio portare sul terreno della sessualità la rivoluzione che mio zio e mio padre Raúl Castro fecero quarantasette anni fa con il fucile in mano», ha detto in una recente intervista.

Mariela Castro ha 43 anni, di professione fa la sessuologa e si è resa conto che è giunta l’ora di superare pregiudizi storici che per molto tempo hanno condizionato la rivoluzione. Il suo obiettivo è quello di convincere la vecchia guardia del regime a realizzare una società più tollerante che non commetta gli errori del passato.

«Il nostro paese non è più quello che discriminava gli omosessuali e nessuno adesso si sogna di internare i gay nei campi di lavoro forzato e di considerare le inclinazioni sessuali come una devianza ideologica che impedisce determinati impieghi», ha detto Mariela Castro.

Mi sembra un bel passo in avanti verso la strada della tolleranza e anche una decisa ammissione di vecchi errori che non devono essere più ripetuti. Nell’isola sono state superate le ingiustizie sociali ai danni degli omosessuali, ma permane un’omofobia di fondo. Le parole di Mariela Castro sono importanti, perché il lider maximo non ha mai ammesso le persecuzioni ai danni di omosessuali, religiosi e persone comuni, spedite ai campi di lavoro forzato solo perché non simpatizzavano con il governo. Nessuno ha mai parlato di indennizzare le vittime di ingiuste carcerazioni, maltrattamenti e impossibilità a esercitare professioni e studio. Nel 1979 il regime si è limitato a eliminare il delitto di “sodomia” dal Codice Penale, ma ha mantenuto alcune sanzioni sotto la fattispecie del “pubblico scandalo”. Dal 1987 la legge punisce solo coloro che infastidiscono altre persone non consenzienti con “richieste omosessuali” o che offendono il buon costume con “esibizioni scandalose”. Resta il fatto che ancora oggi sia gli omosessuali che i religiosi non possono esercitare certe professioni importanti e non sono ben visti nelle posizioni chiave del regime.

Mariela Castro è un’attivista nel campo della salute sessuale e vuole cambiare la mentalità cubana partendo dagli uomini più importanti del regime. In questa difficile impresa conta nell’appoggio di suo padre Raúl, Ministro della Difesa, Vicepresidente del Consiglio di Stato, numero due del Partito Comunista ed erede di Fidel. Secondo lei anche il Comandante è sensibile a certi problemi, pure se la sua età avanzata non facilita i cambiamenti di idea in senso progressista.

Cuba è una società complessa, dove l’aborto viene considerato un diritto costituzionale e il divorzio è una pratica molto semplice, al punto che il numero dei divorzi è tra i più alti al mondo. Molti cubani contestano l’uso dell’aborto come metodo contraccettivo e ci sono stati episodi di medici che si sono incatenati per protestare contro certe pratiche irresponsabili. Cuba è anche uno dei paesi al mondo con il maggior numero di suicidi e pure questo non è un buon segnale. Il dramma dell’Aids è un’altra cosa che va affrontata senza ricorrere alle attuali leggi repressive, magari eliminando i famosi lazzaretti dove vengono rinchiusi gli appestati. L’ospedale per malati di Aids che si trova nella zona del santuario del Rincón è una delle vergogne da debellare. Forse per questo motivo la televisione cubana ha recentemente trasmesso La cara oculta de la luna (La faccia nascosta della luna), una telenovela che ha scandalizzato molte persone per il coraggio con cui affronta il tema dell’Aids e della omosessualità. La trama racconta la storia di un operaio che abbandona moglie e figli per andare a vivere con un vicino di cui si innamora. Yasel è un cubano come tanti che a un certo punto della sua vita scopre la sua attrazione per Mario ed è un personaggio semplice che serve ad alimentare il dibattito sulla diversità sessuale. La telenovela è un prodotto popolare ed è stilisticamente meno buona di un film d’autore come Fresa y chocolate, ma è entrata in tutte le case e ha fatto discutere. La telenovela della sera è il programma più seguito della televisione cubana ed è argomento di discussione quotidiana sia in famiglia che per strada. La storia è stata pensata in funzione educativa perché racconta le vicissitudini di un gruppo di persone che contraggono l’Aids. Yasel è uno di loro e questa cosa non è piaciuta alla comunità gay cubana che ha visto la rappresentazione della malattia come una sorta di castigo. L’omosessualità viene vissuta in maniera infelice e la triste storia raccontata non pare dalla parte dei gay. In ogni caso questa telenovela rappresenta un grande passo in avanti per la società cubana che mai aveva dato tanto spazio alle tematiche omosessuali. Sembrano lontani anni luce i tempi delle UMAP che rinchiudevano gay, Testimoni di Geova, hippyes e dissidenti. Adesso gay e travestiti possono cominciare a sentirsi parte di una società che presenta molti aspetti controversi, ma che in questa materia si sta modernizzando.

«La discriminazione nei confronti degli omosessuali è un problema superato», ha detto Fidel Castro in un’intervista, aggiungendo in modo ipocrita che «la rivoluzione non ha mai perseguitato i gay, anche se non è sfuggita ai pregiudizi del periodo storico». Non è vero. Certe affermazioni vanno bene solo per la disciplinata televisione cubana che non si sogna neppure di contraddire il verbo del Comandante.

Mariela Castro sta lavorando a un progetto di legge per riconoscere il cambio di identità per i transessuali e per offrire l’operazione gratuita di cambio di sesso. Si parla di votare la legge a dicembre, perché la bozza di proposta è stata ben accolta dai membri del Parlamento. Si discute anche sulla opportunità di legalizzare i matrimoni omosessuali, pure se il matrimonio non è così importante come nei paesi di religione cattolica. A Cuba servirebbe legalizzare le unioni consensuali, perché secondo la mentalità dell’isola ciò che conta è solo l’amore. Forse in questo campo è prossima una normativa.

In ogni caso a Cuba manca la cosa fondamentale che travalica il problema omosessuale: la libertà. Per i gay – come per ogni altra persona che vive sull’isola – non esiste la libertà di associazione e di riunirsi in spazi propri. Le feste gay sono tollerate all’interno di case private semiclandestine, che spesso presentano spettacoli di travestiti ancora classificati come illegali. Il governo castrista non vede di buon occhio un’associazione gay perché sa che non potrebbe controllarla.


Gordiano Lupi


 
 
 
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