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Giuseppina Rando. L’etica della cura
07 Gennaio 2015
   

La nostra società, con i suoi intrecci globalizzanti, da un lato affascina sociologi e politici, ma dall’altro li rende perplessi di fronte agli aspetti delle relazioni sociali.

La logica del rapporto individuo-società sembra infatti sgretolarsi in un pulviscolo di frammenti intangibili e sfuggenti, che disperdono il proprio nucleo teoretico nell’oceanica estensione assunta dalle relazioni nelle quali, spesso, l’etica del sentimento viene sommersa dalle contraddizioni della dinamica dello stesso rapporto e l’afonia rischia di prevalere sulla comunicazione.

Tra una cultura arroccata sul giustificazionismo a-storico e una cultura aperta alla comprensione del nostro tempo, alla complessità dei suoi problemi, alle sfide della scienza e del sapere filosofico, soprattutto ai mutamenti che le trasformazioni sociali impongono ai codici etico-morali, si muove la ricerca dell’etica della cura della pensatrice americana Joan Tronto (foto), docente di Political Science e Women’s Studies all’Università di New York.

La posizione della Tronto, espressa nel volume Confini morali,* appare molto originale e si oppone alla tesi per cui l’etica della cura sia espressione di una moralità essenzialmente femminile, in opposizione alla moralità maschile, indirizzata verso “il diritto” e “la giustizia”.

Cresciuta durante la guerra in Vietnam, in una società razzista e sessista dominata dalla borghesia medio-alta, la giovane Joan si impegnò nel femminismo, attratta dall’interesse di questo movimento per la giustizia e per le vite comuni di donne, bambini e lavoratori di ogni razza, religione ed etnia. Affascinata dai temi più caldi del dibattito contemporaneo sulla teoria politica, la Tronto non risparmia però critiche ad alcuni limiti del femminismo, e con le sue argomentazioni si distingue per l’acutezza delle riflessioni sulla dialettica dei diritti/doveri e per l’originalità del suo punto di vista sul mondo dei bisogni delle donne e degli uomini di oggi. Uomini e donne che ancora devono lottare per abbattere quel muro di pregiudizi che una millenaria tradizione storica e anche religiosa ha eretto fino ai nostri giorni.

La studiosa americana si pone sulla stessa lunghezza d’onda di Lidia Ravera, che a tal proposito, e in tempi precedenti, ha osservato: La donna non diventerà libera se non quando l’uomo sarà libero. Entrambe le intellettuali vogliono così ricordare che la vera civiltà si esprime solo con la totale realizzazione del valore della libertà e dell’individualismo, inteso quest’ultimo non, come si vuol far credere, quale posizione egoistica che esclude l’altra o l’altro, ma come rispetto della singola identità umana, della persona, portatrice delle sue idee, della sua differenza e della sua pari dignità. La nostra concezione della vita morale dovrebbe fornirci un modo di rispettare e trattare giustamente gli altri. Per farlo, dobbiamo attribuire valore a ciò che la maggior parte delle persone fa nel corso della propria vita: si occupa della cura di sé, degli altri e del mondo.

Ora, poiché ogni persona può trovarsi in stato di bisogno e avere necessità di cura e assistenza da parte dell’altro, la Tronto propone di liberare l’etica della cura dalla sua tradizionale connessione con la moralità femminile.

Che cosa significa esattamente “cura”? Per la brillante intellettuale americana è fondamentale ri-definire il concetto di “cura” e con esso tutte le strategie di assistenza e di soddisfazione dei bisogni, senza più ricorrere ad argomenti insostenibili come il genere, la classe o la razza.

Nella nostra società – scrive – l’attività di cura non funziona in modo egualitario. La distribuzione del lavoro di cura e la selezione dei suoi destinatari servono a conservare e rafforzare le strutture di subordinazione. Coloro che si occupano della cura sono resi ancora meno importanti perché i loro bisogni non sono tanto importanti quanto i bisogni di coloro che sono abbastanza privilegiati da poter pagare affinché si occupino della loro cura…

Attraverso un’analisi storico-filosofica la Tronto dimostra come non si debba in alcun modo rinunciare alla tradizione liberale per aderire a un’etica della cura, la quale non richiede, di necessità, di venire associata alla famiglia per diventare un ideale politico. Viceversa, è possibile accorpare quello della cura agli altri valori liberali (come i diritti), mostrandone la piena compatibilità. Ma per far questo occorre innanzitutto superare la divisione, introdotta da alcune teoriche femministe, tra etica dei diritti ed etica della cura.

È questa la difficoltà più grave: …Dovremmo rassegnarci a considerarle due etiche in conflitto, espressioni di mondi diversi, o non dovremmo cercare, al contrario, di andare oltre la logica di un’astratta separazione per elaborare un nuovo modello di giustizia che comprenda, come sua parte integrante, la nozione di cura?

Alla base della separazione risiede l’assunto che cura e giustizia provengano da due diverse fonti: la prima dalla compassione, la seconda dalla razionalità. Si tratta, tuttavia, di una visione inadeguata giacché, a ben riflettere, al di là dell’astratta separazione tra sfera dei sentimenti e sfera della ragione nel dominio morale, una teoria della cura è incompleta se non viene incorporata in una teoria della giustizia e, a sua volta, una teoria della giustizia è insufficiente se non integra in sé elementi di cura. E quali potrebbero essere le condizioni perché la cura venga incorporata nella nostra visione politica? Innanzitutto, ripensare profondamente i nostri discorsi sulla natura umana, riflettendo, in particolare, su due concetti cruciali: dipendenza e autonomia.

Bisogna ri-pensare la cura e considerarla come un aspetto fondamentale della vita umana; in altri termini, bisogna guardare le persone non come esseri pienamente autonomi, bensì come esseri sempre situati in una condizione di interdipendenza.

Il titolo dell’opera, Confini morali, allude ai tre steccati o frontiere (boundaries) individuati dall’Autrice fra morale e politica, fra teoria morale e vita concreta, fra pubblico e privato. Sono muri eretti da un percorso storico e culturale che ha negato piena cittadinanza civile e politica ai soggetti deboli, dalle donne alle minoranze, instaurando un circolo vizioso di esclusione e scarsa attenzione politica, funzionale al capitalismo. Se si vogliono assicurare a tutti i soggetti i diritti fondamentali (vita, libertà di espressione, sessuale, di culto e così via), la Tronto sostiene che si deve partire, anzi ri-partire dalla sfera dei bisogni inalienabili di ciascuna persona. E prima d’ogni cosa tali bisogni vanno conosciuti e riconosciuti per essere poi rispettati e soddisfatti.

Si rende indispensabile soprattutto la consapevolezza che ognuno di noi, indistintamente, ha bisogno degli altri perché non esiste una umanità che possa essere divisa con l’accetta in due tronconi: da una parte coloro che godono del privilegio di essere e sentirsi autosufficienti e dall’altra coloro che inevitabilmente sono condannati a una dipendenza continua. In realtà si deve riflettere sul concetto di bisogni e, in particolare, sul fatto che essi sono culturalmente determinati e variano non solo da una persona all’altra, ma, nel corso stesso della vita personale, dall’infanzia alla vecchiaia. Se si comprenderà che ciascuno di noi ha avuto, ha e avrà bisogni durante la propria vita, si potrà, per esempio, affrontare con maggiore consapevolezza e serietà il problema dell’allocazione delle risorse nei diversi ambiti di etica pubblica e individuare quali problemi di eguaglianza e ineguaglianza siano implicati in tale decisione; analogamente, si potrà ripensare criticamente la distribuzione dei compiti e dei ruoli nella società in cui viviamo. Non c’è assolutamente nulla nella nostra natura che proibisca agli uomini di partecipare in pari misura all’allevamento dei figli e, d’altra parte, niente nella natura del lavoro rende impossibile adattarlo alla circostanza che le persone siano, insieme, genitori e lavoratori.

In sostanza, la Tronto sostiene che non si debbono creare steccati, confini appunto, o rimarcare delle differenze di genere da trasferire in ambito etico. Al contrario, la donna deve vivere fino in fondo la corresponsabilità con l’uomo nella gestione ottimale delle strategie di cooperazione e di solidarietà internazionale e applicare una rinnovata etica della cura, sensibile alle trasformazioni sociali di un mondo globalizzato come il nostro.

È questo un modo nuovo di considerare la politica che, come lo studio dell’altra singolare filosofa americana Martha Nussbaum, richiama un nome del pensiero filosofico classico: Aristotele. La “politica” diventa così l’arte del vivere associati, in quanto dipendenti gli uni dagli altri. Per questo motivo l’etica della cura non può che affermarsi come etica pratica, in contrasto con la ragione sempre pronta a farsi pura, astratta o assoluta se non addirittura totalitaria. Un’etica applicata alla politica la si può costruire, però, in virtù dei singoli casi concreti della vita sociale e la si può conquistare dopo aver compiuto tre mosse fondamentali per superare tre confini.

a) Il confine tra la morale e la politica (la morale e la politica dovrebbero essere considerate non separabili, come voleva Aristotele nell’Etica nicomachea: Sostengo che la cura possa servire sia come valore morale sia come base per la realizzazione politica di una buona società).

b) Il confine del punto di vista morale (il “punto di vista morale” è la prospettiva kantiana che vuole gli attori morali non coinvolti e disinteressati e la morale come universale quanto la ragione umana; a parere della Tronto, questo confine morale va ripensato in quanto non include una moralità basata sulle emozioni, sulla vita quotidiana e sulle circostanze politiche. L’altro tipo di teoria morale è chiamato morale contestuale, in quanto richiede un senso dei fini della vita umana e un’educazione alla virtù).

c) Il confine tra vita pubblica e vita privata (il pensiero occidentale è indubbiamente caratterizzato da una divisione tra vita pubblica e vita privata).

La denuncia di tali limiti dovrà portare alla luce l’enorme sommerso del lavoro di cura rimosso dal liberalismo classico e dai suoi derivati.

Dalla nostra capacità di superare detti limiti dipende la fine dell’abitudine mentale di confinare la donna nel recinto angusto dell’ambito privato, familiare: …La cura non è una preoccupazione particolaristica delle donne, un tipo di questione morale secondaria o il lavoro delle persone socialmente più svantaggiate. La cura è una preoccupazione centrale della vita umana. È tempo di iniziare a cambiare le nostre istituzioni politiche e sociali per riflettere su questa verità.

 

Giuseppina Rando

 

 

* Joan C. Tronto, Confini morali, un argomento politico per l’etica della cura, a cura di Alessandra Facchi, trad. di Nicola Riva, Diabasis, Reggio Emilia 2006.

 

 

(Questo saggio è contenuto nel volume: Giuseppina Rando, Le belle parole, Scrittura Creativa Edizioni, Borgomanero 2013, pp. 216, € 15,00)


 
 
 
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