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Giuseppina Rando. La Didattica (nota a margine)
16 Settembre 2014
 

La didattica, quale parte della metodologia dell’educazione (anche se non ne esaurisce l’ambito) è la conoscenza dei mezzi per spronare gli allievi all’apprendimento suscitando in loro, soprattutto, motivazioni interiori. Essendo il fine della didattica l’istruzione, essa è talmente congiunta con l’atto educativo della libertà da esserne parte integrante e anche se ben distinta l’istruzione dall’educazione, esiste tra loro un nesso esistenziale in quanto entrambe aspetti del medesimo atto.

Sul piano generale la didattica si presenta come scienza sperimentale ed ha come oggetto la sua specificità, la gestione e l’ottimizzazione delle azioni formative, ma al contempo si organizza per mezzo di principi propri e in vista di propri fini, sulla base delle sue fonti.

Quali sono le fonti della didattica?

Giovanni Amos Comenio (1592 – 1670), ritenuto il padre della moderna pedagogia, ricorda con chiarezza come la didattica dipenda strettamente dal tipo di filosofia che si presuppone per spiegare la conoscenza umana: è dalla filosofia – egli sostiene – che la didattica attende la giustificazione della sua stessa esistenza e la direzione essenziale del suo metodo. Una didattica che non voglia fermarsi alla pura tecnica dell’insegnamento, ma che voglia anche considerare la sua materia in relazione all’educazione, dovrà dipendere direttamente da una pedagogia mentre, per gli aspetti più tecnici, si dovrà rifare alla psicologia e all’esperienza.

Il problema della didattica (spesso erroneamente identificato con quello della conoscenza), a mio parere, bisogna focalizzarlo su due (antinomiche?) esigenze: quella della interiorità del sapere e quella della casualità esteriore che in qualche modo dà origine a tale sapere.

Da qui l’interrogativo: l’uomo maestro di se stesso o l’uomo maestro di un altro? Il conoscere, l’apprendere è un atto di crescita totale o acquisizione vitale di qualcosa che trascende l’atto e la persona che la compie?

Per rispondere a queste domande bisognerebbe ripercorrere la storia del problema gnoseologico e tutte le soluzioni che ad esso sono state date per giungere, infine, alla consapevolezza, oggi abbastanza diffusa, che il divenire umano del singolo uomo va rapportato all’altro, che nessun uomo può dirsi “maestro” o padrone del sapere e della conoscenza, in quanto in ogni età e in ogni attimo della vita c’è sempre qualcosa da imparare.

L’insegnamento è sempre un dare e un ricevere.

È sempre l’uomo che governa il fine dell’educazione: e questa è la condizione perché la stessa educazione non si disumanizzi dissolvendosi nella tecnica.

Ma non è soltanto questo quello che si vuole far emergere dalla presenta nota.

Qui si vorrebbe richiamare l’attenzione anche su un problema fondamentale per la società: l’educazione non va distinta dall’istruzione né dalla concezione dell’uomo.

Il conoscere se stesso socratico oggi – come ieri e come sempre – risolve insieme il problema filosofico, morale e educativo, pure se, per una fascia di docenti, certo intellettualismo determina la concezione che l’educazione sia intesa come trasmissione di sapere e la pedagogia come didattica.

Ritengo opportuno, però, ricordare, che nelle diverse epoche della storia della scuola, c’è stato sempre qualcuno che ha dato rilievo epistemologico alla pedagogia; emblematica, ad esempio, la figura del francescano francese Gilberto di Tournai (Parigi, 1240 – 1282) che, già nel lontano medioevo, indicava alcune norme didattiche che non sfigurerebbero in un moderno trattato di pedagogia. Occorre, egli scrive, suscitare nell’allievo un grande desiderio di imparare ed essere cura incessante del maestro quella di repuerescere (tornare fanciullo) adattandosi alle capacità e alla mente dell’allievo, giacché …unicuique ingerendum est secundum propriam virtutem, sicut et cibum secundum corporum capacitatem.*

Problematica dell’individualizzazione, già allora avvertita e ai nostri giorni molto dibattuta, spesso applicata, ma… con quali risultati?

La stragrande maggioranza delle azioni didattiche oggi sono rivolte all’intero gruppo classe, senza prendere in considerazione le differenze individuali dovute all’ambiente culturale di provenienza, al livello di sviluppo, al ritmo di apprendimento, alle motivazioni, alle tendenze personali e alle aspirazioni. Gli interventi collettivi, uguali per tutti, rivolti ad alunni che non sono tutti uguali, rende di solito necessario l’attuazione di interventi integrativi con attività aggiuntive che, però, vengono quasi sempre programmate in orari straordinari.

Si può dire che la scuola, finora, non si è quasi mai impegnata per evitare l’insuccesso dei singoli durante la normale attività, anche se in alcune scuole, più all’avanguardia, c’è stata una certa evoluzione cercando di recuperare – attraverso la programmazione di interventi differenziati – gli alunni che restano indietro. È chiaro, però, che tenere separate le attività di insegnamento rivolte all’intera classe e quelle destinate agli alunni che presentano carenze, comporta un’emarginazione di fatto di questi ultimi. I ragazzi destinatari di tali interventi, inoltre, sono costretti ad un maggiore carico di impegni che impedisce loro di dedicarsi ad altre (pur necessarie) attività ludiche con conseguenze sulla psiche e sull’umore.

Se – di contro – l’insegnamento resta sostanzialmente collettivo (come nella quasi totalità delle scuole) vengono emarginati non solo gli allievi più deboli, ma, per motivi diversi, anche quelli più dotati rispetto alla media, perché essi apprendono subito gli argomenti proposti, ma in seguito devono assistere a numerose ripetizioni della stessa lezione, diventando distratti e sempre più disinteressati. Così mentre si cerca di aiutare alcuni, si danneggiano altri.

Problema questo avvertito da tempo tanto che si discute di percorsi didattici flessibili, diversificati, aggiuntivi. In realtà oggi la scuola si muove – o forse sarebbe meglio dire sta ferma? – tra innovazione e tradizione.

Si parla tanto anche di apprendimento per competenze, di nuovo setting per la didattica laboratoriale e di tantissimi altri metodi innovativi, ma in molte realtà scolastiche, il tutto resta soltanto teoria, smentita dai fatti o soffocata dalle questioni annose, sempre urgenti, di natura strutturale, organizzativa e… soprattutto economica!

E… intorno alla didattica, cuore della scuola, si continua a studiare, a dibattere, a proporre senza conseguire significativi risultati.

È palese a tutti che la scuola oggi non goda buona salute. Il cuore della scuola è malato!

E il cuore (inutile ricordarlo!) è l’organo vitale, di primaria importanza, tanto per l’uomo quanto per la Scuola.

Quando il cuore s’arresta, c’è la morte.

 

Giuseppina Rando

 

 

* Gilberto di Tournai, De modo addiscendi, ed. crit. di E. Bonifacio, Torino, 1951.


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