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Evaristo Baschenis. Immaginare la musica
17 Agosto 2017
 

Nel quarto centenario della nascita, Bergamo e l’Accademia Carrara festeggiano Evaristo Baschenis (Bergamo 1617 – 1677), il grande pittore considerato l’“inventore” nonché il massimo interprete a livello europeo della natura morta di soggetto musicale. La mostra ha il titolo Evaristo Baschenis. Immaginare la musica”, a cura di Maria Cristina Rodeschini, direttore della Carrara, aperta fino al 4 settembre 2017. Baschenis fu musicista egli stesso, oltre che sacerdote, collezionista e mercante di quadri, inoltre egli fu tra i più influenti artisti del proprio tempo, come testimonia la presenza di molte sue opere nelle raccolte pubbliche e private di Milano, Venezia, Torino, Firenze e Roma. La fortuna critica e commerciale dei suoi dipinti è attestata altresì dalle numerose copie e imitazioni circolanti in Italia e in Europa, addirittura fino al tardo Settecento ed etichettate dal mercato con la denominazione di “maniera bergamasca”.

Sconosciute sono a tutt’oggi le ragioni per cui, nell’attività di bottega nel 1644 circa, il ventisettenne prete Guarisco (nei documenti d’ora in poi «Prevarisco») scelse di specializzarsi nella natura morta; un genere estraneo nella tradizione locale, ma assai fiorente nella vicina Milano con autori quali Ambrogio Figino, Fedele Galizia, Panfilio Nuvolone. I primi frutti in questa particolare specialità indicano una piena adesione a quella cultura figurativa di matrice bergamasca-bresciana (da Foppa a Moretto a Moroni sino al Cavagna) fedele al dato ottico e alla presa diretta sull’oggettiva realtà delle cose, che verrà celebrata da Roberto Longhi nella storica mostra su “I pittori della realtà in Lombardia” allestita a Milano, in Palazzo reale, nel 1953. Risulta infatti evidente che nel mettere a punto la propria lingua pittorica, fondata sullo studio dal vero e su un realismo asciutto e penetrante, Baschenis fece tesoro della grande lezione di Caravaggio, la cui celebre Canestra di frutta poté senz’altro vedere e meditare a Milano, nella Pinacoteca Ambrosiana dov’era approdata fin dal 1607 per dono del Cardinal Federico Borromeo.

Dalla metà del quinto decennio del Seicento, per una trentina d’anni circa, Baschenis si dedicò in modo pressochè esclusivo, alla produzione di nature morte, nella duplice versione degli interni di cucina e delle composizioni con strumenti musicali.

I suoi calibratissimi allestimenti di strumenti musicali, resi con magistrali scorci prospettici su tavoli impreziositi da tappeti orientali in interni silenziosi avvolti dalla penombra, costituivano una novità assoluta e conquistarono rapidamente i favori di una clientela facoltosa, appassionata di musica, pittura e poesia. Gli strumenti sono adagiati sul piano di posa in una situazione di apparente disordine simulando lo stato di momentaneo abbandono e di «altissimo silenzio» che caratterizza lo studiolo del musicista o la sala da concerto di una dimora privata tra un’esecuzione e l’altra. Di qui la speciale attenzione tributata agli strumenti, che il pittore letteralmente “ritrae” nella loro verità oggettiva, con una maniacale attenzione ai dettagli organologici e alle qualità stereometriche.

Il complesso della sua non vasta produzione – si calcola che l’intero corpus non oltrepassi la cinquantina di tele, scalate nell’arco di trentacinque anni di attività, tra il 1642 e il 1677 – è stato sottoposto al vaglio della critica in un’importante antologica allestita all’Accademia Carrara nel 1996, reiterata quattro anni più tardi, in forma ridotta, al Metropolitan Museum of Art di New York.

In entrambi i casi le tele dell’artista sono state presentate in un suggestivo confronto/dialogo con strumenti musicali reali, provenienti da collezioni pubbliche e private. Le ricerche intraprese in occasione dell’esposizione bergamasca hanno portato alla scoperta di numerosi, importanti documenti, tra cui il testamento olografo dell’artista insieme alla notizia dei suoi frequenti viaggi in varie località d’Italia. Alle nature morte musicali Baschenis ha affiancato nel corso del tempo una non meno importante produzione di “cucine”, ovvero di composizioni di cibarie rappresentative della tradizione gastronomica e culinaria della terra lombarda.

I festeggiamenti del quarto centenario della nascita in onore dell’artista in questa ultima retrospettiva all’Accademia Carrara, vede nella sala XXIII, normalmente dedicata ai generi pittorici, ora totalmente riallestita per ospitare sia conferenze, concerti e laboratori, sia per accogliere due “ospiti” d’eccezione provenienti da collezioni private. In questo nuovo allestimento, infatti, è visibile uno dei capolavori assoluti del pittore, il Ragazzo con canestra di pane e dolciumi (1660 circa), presentato per la prima volta in un contesto pubblico da Roberto Longhi alla celeberrima mostra milanese I pittori della realtà (1953). Nella medesima sala è presente anche la Natura morta con tagliere e pesci e cacciagione (1660 circa) già collezione Secco Suardo, che dopo un secolo e mezzo si ricongiunge al suo pendant, la Natura morta di strumenti musicali con statuetta (1660 circa) della Carrara.

Affascinante è la complementarietà delle due tipologie. Nelle nature morte di strumenti appare il tema della vita contemplativa, dedita al “ristoro” spirituale tramite la pratica musicale che eleva e nutre l’anima, e nelle “cucine” la vita attiva, dedita al “ristoro” del corpo. Un’ipotesi che ha radici in una solida tradizione iconografica, ben esemplata dall’episodio evangelico di Cristo che visita la casa di Marta e Maria in cui l’impegno di Marta (Vita attiva) nel cucinare il pasto per l’illustre ospite è contrapposto alla concentrata attenzione di Maria in ascolto di Gesù (Vita contemplativa).

 

Maria Paola Forlani


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