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Carl Schmitt, un giurista a Norimberga: “criminale di guerra o esperto?”
24 Febbraio 2006
 
 

Il 26 settembre 1945 Carl Schmitt venne arrestato una prima volta e condotto nel centro interrogatori di Wannsee. «Per dodici mesi, fino al 10 ottobre 1946, rimase prigioniero degli americani». Cinque mesi dopo, il 19 marzo 1947, Schmitt fu arrestato per la seconda volta «nella sua abitazione di Berlino, interrogato, e condotto il 29 marzo nel penitenziario di Norimberga». Schmitt «lasciò Norimberga solo il 19 o il 20 maggio». Nei tre mesi in cui ebbe lo status di «”testimone volontario” con obbligo di residenza a Norimberga», Carl Schmitt subì tre interrogatori e scrisse quattro «pareri» (tre su esplicita richiesta di Robert M. W. Kempner – «rappresentante della pubbblica accusa della giurisdizione militare americana» – ed uno di sua iniziativa). Tali interrogatori e «pareri» sono stati raccolti, ora, in questo (Risposte a Norimberga, Laterza, 2006) a cura di Helmut Quaritsch. Il volume si compone di quattro parti («Carl Schmitt nel penitenziario di Norimberga», «Carl Schmitt: criminale di guerra o esperto?», «Giustificazione e competenza» ed il capitolo conclusivo dedicato alla «Trasmissione dei testi»).

Quaritsch afferma che «nelle sue prese di posizione e nei suoi pareri Schmitt giudica dal punto di vista del 1947». La guerra è finita e persa; Schmitt, a questo punto, non avrà nessuna difficoltà a definire la questione ebraica «una grande sciagura» ed il totalitarismo di Hitler la « vergogna che abbiamo allora sofferto ». Schmitt, nel rispondere alle domande che gli vengono poste da Kempner, assume un modo suo proprio e particolare. Egli dice: «L’unico desiderio che ho è di essere in chiaro con me stesso». Ed aggiunge: «ogni amplificazione del suono è una modificazione del senso e nella maggior parte dei casi una falsificazione del senso. Questo è l’autentico stato delle cose che nel mio caso deve essere sottoposto a giudizio». Puntualmente Schmitt nega ogni addebito («Non ho compiuto ciò che mi viene addebitato») che gli viene mosso da Kempner e mostra di rendersi pienamente conto dello stato in cui si è trova («Io prendo molto sul serio, sotto ogni punto di vista, la questione delle mia responsabilità») a causa della sua compromissione col nazismo. Ma ci tiene, però a precisare che: «Dal punto di vista oggettivo è decisiva la differenza fra una teoria (da prendere scientificamente sul serio) e uno slogan (utilizzato a fini di propaganda); dal punto di vista soggettivo è decisiva la differenza dell’intenzione, che permette di tenere separati l’interesse di osservazione e di ricerca per conseguire una conoscenza dall’interesse operativo per obiettivi e risultati pratici».

In sostanza, a Norimberga, Schmitt è un «giurista tedesco» che sta rispondendo al suo accusatore da «giurista tedesco». La chiarezza che egli ricerca, la ottiene con lo scavo razionale fatto dentro di se. Nella certezza di riuscire a veder rimosso ogni ostacolo alla riconquista di quella libertà che i vincitori di una guerra atroce e sanguinosa gli hanno, per il momento, tolto. Kempner, ad un certo punto, rivolgendosi a Schmitt osserva: «Se si leggono i suoi scritti si ricava un impressione molto diversa da quella che lei ora vuole dare». Schmitt risponde: «Se li si leggono per intero hanno ben poco a che fare con la questione degli ebrei». Schmitt, riuscendo a far chiaro dentro di sé, riesce a consegnare ai suoi accusatori, per così dire, il «re nudo» del suo coinvolgimento col nazionalsocialismo: quello che egli ha scritto, quello che egli ha detto e quello che egli ha fatto veramente durante gli anni del regime di Hitler. Così che, alla fine, egli potrà anche dichiarare esplicitamente: «Tutto ciò che ho detto… è da intendersi, per motivazioni e intenzioni, in senso scientifico, come tesi scientifica che potrei sostenere dinanzi a qualsiasi consesso scientifico del mondo».


Gianfranco Cordì


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