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Giuseppina Rando. “La casa madre” di Letizia Muratori
30 Aprile 2021
 

Letizia Muratori

La casa madre

Adelphi, 2008, pp. 114, € 16,00

 

Tra le voci più originali della letteratura italiana del nostro tempo, un posto di rilievo, ritengo spetti a Letizia Muratori, scrittrice discreta e riservata, sempre lontana da riflettori.

È nata a Roma, dove vive e lavora. Nel 1995 si è laureata in Storia del teatro.

Nel giugno del 2004 esordisce con il racconto Saro e Sara. Nel 2005 pubblica il suo primo romanzo, Tu non c’entri. Collabora con vari giornali e riviste.

Ha pubblicato: La vita in comune (2007), La casa madre (2008), Il giorno dell’indipendenza (2009), Sole senza nessuno (2010), Come se niente fosse (2012) e Animali domestici (2016).

Una scrittura caratterizzata da uno stile chiaro, scorrevole, lieve ed ironico e da contenuti quanto mai attuali che animano le sue narrazioni da dove affiora la realtà quotidiana delle relazioni borghesi, dei legami famigliari e delle loro difficoltà.

La scrittura della Muratori si arricchisce poi di una luce continua, fatta di parole pazienti, intelligenti e sempre ben ponderate volte a creare un tessuto vivace e nello stesso tempo delicato, pieno di emozioni e frammenti di vita.

In La casa madre – qui preso in considerazione – la scrittrice mette a fuoco uno dei temi a lei cari, il rapporto genitori-figli che, se non vissuto con adeguata responsabilità determina, inconsapevolmente, altra realtà parallela.

Costituito da due lunghi racconti, il libro trasporta nel fantasioso mondo dell'infanzia, intriso di gioco: due storie così intimamente congiunte tra loro e complementari – per affinità strutturali profonde – da rappresentare le due facce diverse, ma inscindibili della stessa medaglia.

L’attività ludica, è risaputo, contribuisce allo sviluppo psicofisico dei bambini e scrive Silvia Vegetti Finzi: “…Non c'è niente di più serio e più coinvolgente del gioco per un bambino. E in questa sua serietà egli è molto simile ad un artista intento al suo lavoro. Come l'artista, anche il bambino giocando trasforma la realtà, la reinventa, la rappresenta in modo simbolico, creando un mondo immaginario che riflette i suoi sogni a occhi aperti le sue fantasie, i suoi desideri.”1

Apologia dell’infanzia e del gioco.

Letizia Muratori, invece, in La casa madre pone attenzione all’altra faccia dell’attività ludica, quella che svela l’ambiguità del gioco quando lo stesso non è regolato e guidato dalla presenza vigile del genitore/educatore.

Lasciato in balia della fantasia dei bambini, il gioco perde spesso la funzione educativa in quanto allontana dalla realtà col rischio di separare i bambini dagli adulti.

Nel primo racconto, che dà titolo al libro (narrazione in prima persona della protagonista Irene) il gioco consiste nel manifestarsi del sentimento di maternità suscitato da una bambola particolare, la cabbage.2

Un gioco comune a molte coetanee, che attraverso quel gioco si scambiano esperienze, punti di vista a confronto, a volte entrando in conflitto con il mondo reale che le circonda. Irene e le sue compagne di scuola giocano con le loro bambole, attribuiscono a queste una vera e propria vita con i suoi bisogni materiali e spirituali, lottano per difenderle dalle contrarietà delle insegnanti e dei genitori. Il loro è un incantesimo del quale sono convinte e che non vogliono sia distrutto.

Significativo l’epilogo:

() Ogni cosa che vedevo era più nitida, come le sagome vuote sull’album da disegno in attesa del colore. Ero finita nella casa nuova di una bambina che non era ancora tornata da scuola e giocava nel tempo dove nessuno le rispondeva. (p. 74)

Nel secondo racconto, Il segreto, il gioco abita decisamente nella fantasia del bambino, Luca: è il mondo della fantasy, popolato da castelli fatati, boschi, cavalieri, draghi e soprattutto fate. Ma nonostante il mutare dei personaggi, delle vicende e delle coordinate spazio-temporali, entrambe le narrazioni propongono uno schema sorprendentemente similare che si fonda sull’esclusività della dimensione ludica e immaginativa, costantemente messa in atto dai giovani protagonisti e vissuta come un altrove felice rispetto alla dimensione frustrante della realtà.

In entrambi i racconti, infatti, l’esperienza centralizzante del gioco comporta la costante adozione di un punto di vista strano, inaffidabile e gravido di continui fraintendimenti: i ragazzini sono protagonisti e voci narranti al tempo stesso e tendono a narrare i fatti ricorrendo al filtro deformante della loro fantasia, una fantasia ancorata ad alcuni ben noti stereotipi edonistici della società dei consumi, come le irresistibili bambole americane, gli ipnotici cartoni giapponesi e la devozione al fantasy.

ure Luca vive una favola popolata da maghi, streghe e fate e crede che quella della fantasia sia l’unica realtà e la vuole proteggere dai pericoli esterni. Tra questi ci sono il mondo, la vita degli adulti che si scontrano con quella dei bambini. Lo si evince anche qui dall’epilogo quando Luca s’incontra, inaspettatamente, con il padre nella pineta delle “fate” per ragioni ben chiare al lettore, ma sfuggono all’ingenuo bambino

Non mi sgridò perché mi ero allontanato da casa armato, con i simboli del drago sugli zigomi. Non volle nemmeno sapere perché conoscevo Flora, non si arrabbiò quando gli raccontai che per stare con lei avevo venduto tutte le merci Winx… (p. 114)

La scrittrice ha smorzato l’effetto drammatico dell’incontro proprio per rendere più netta la divaricazione tra il piano della realtà e quello della finzione.

Dopo un lungo, silenzioso giro in macchina per la città

Davanti a un furgone che vendeva ghiaccio grattato, papà si fermò, e senza scendere disse: “ Quello che ci è successo oggi è il nostro segreto”. (p. 11 )

I due racconti si presentano quindi come il copione di una commedia stramba ed equivoca la cui chiave di lettura, ripeto, vada cercata nel rapporto che si stabilisce fra la mente del bambino, catturata dal gioco, e le esigenze della realtà che, a un certo momento, come avviene nei due finali, entrano prepotentemente nel mondo del gioco e lo sconvolgono, richiamando il bambino a una realtà nuova, quella della vita.

Nel suo singolare percorso letterario Letizia Muratori tratteggia così una più vasta realtà che non è soltanto familiare, una realtà umana “che ferisce e persuade”. Un messaggio denso: oltre la metafora, si coglie la sostanza del tessuto del libro e della psiche sia della scrittrice che del lettore.

Concretezza di un problema destinato a rimanere sospeso.

 

Giuseppina Rando

 

 

1 Cfr. Silvia Vegetti Finzi, A piccoli passi, Mondadori, Milano, 1994.

2 I Cabbage Patch Kids sono una linea di bambole ideata da Debbie Morehead e Xavier Roberts nel 1978.

Le bambole ebbero tanto successo in USA e negli anni Ottanta in Italia divennero uno dei giocattoli più popolari.


 
 
 
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