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Marisa Cecchetti. “Il farmacista di Ilhéus” di Vincenzo Celano
23 Settembre 2016
 

Vincenzo Celano

Il farmacista di Ilhéus

Giovane Holden, 2016, pp. 88, € 15,00

 

In una zona sperduta del Brasile, in prossimità di un lago, agli occhi di pittore che va cercando immagini per le sue tele, si materializza una figura che da lontano sembra un volatile inconsueto e macilento, forse un grosso airone ferito. Parla una lingua strana, con echi di un dialetto ben noto al nuovo venuto, quello della Lucania, da cui, scoprono, sono arrivati entrambi in tempi diversi Lucano è lo scrittore Celano, già vincitore del premio “Carlo Levi” con il romanzo L’animale a sei zampe uscito per Epigrafema nel 2013.

Lo strano personaggio che ha scelto quell’isolamento da tanto tempo per scomparire al mondo, Rogerio, ha avuto una vita intensa, dove la tragedia ha fatto la sua parte. Tutto dipende da una sua malformazione, o per meglio dire una sovrabbondanza nel suo organo riproduttore. Il pene, o meglio il peru, come viene indicato nel romanzo, è il fulcro su cui ruotano le avventure e le disgrazie di Rogerio, perché è enorme.

Rogerio non è stato sempre il suo nome, l’ha ereditato da un farmacista che lo ha ospitato, lo ha fatto studiare, gli ha fatto fare pratica e, alla sua morte, gli ha lasciato la farmacia. Da farmacista rispettato ad Ilhéus, fino a questo luogo sperduto dove finalmente ha trovato la pace, il percorso è stato obbligato.

Il fallo infatti è la sua pena, la sua vergogna quando si sente scoperto, la sua paura durante gli atti sessuali perché lui sa che, insieme all’enorme piacere che può dare, può diventare per la donna anche strumento di morte.

La storia che racconta Rogerio è la sua convivenza e la gestione della sessualità, attraverso una serie di incontri femminili intensi. L’istintualità prevale sulla ragione, gli odori inebriano, il richiamo della carne è forte, la curiosità e il desiderio femminile incontrollabili.

Nel mondo greco le falloforie erano feste in onore di Dioniso, in cui si portavano in processione grossi falli, come augurio di abbondanza dei raccolti. L’organo detentore del seme è anche il simbolo del potere maschile. Rogerio, suo malgrado, ha questo enorme potere. Ma nel romanzo eros e tanatos si intrecciano, la morte cavalca insieme al sesso.

L’immagine di una piantagione sterminata di canne da zucchero con i loro rizomi che esplodono, rimane, a lettura terminata, un rimando forte alla potenza della natura in sé, entro la quale Rogerio si è nascosto, ed alla forza naturale che lui cela. E, come la Natura, questa sua caratteristica può causare disgrazie improvvise e non volute, e portare ai livelli più bassi di degrado umano.

Le storie sono così sconvolgenti che il pittore, divenuto interlocutore ed amico, vede appannarsi i colori scintillanti che rubava intorno a sé, e le sue figure sono una sintesi di dolore.

 

Marisa Cecchetti


 
 
 
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