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Gino Songini. Diario della vendemmia 
Dove si racconta di un giorno lietamente trascorso, di fatiche fatte in allegria, di polenta, vino buono e amici da non dimenticare
06 Novembre 2007
 

Fare vendemmia tra Sondrio e Sant'Anna vuol dire immergersi nella storia e nella geografia della Valtellina. Vuol dire sentire l'eco che è ancora presente (fino a quando?) nelle voci e nelle espressioni delle contadine che mi lavorano a fianco, nel sudore degli uomini che salgono con le brente ricolme di grappoli, curvi sotto il peso di cinquanta chili. Vuol dire ricordare chi ha costruito nel tempo questi capolavori di terra e di pietre che sono i vigneti della “Sassella”.

Lunedì 1° ottobre 2007. La giornata è mite e arieggiata, ideale per vendemmiare. Da est, sopra le cime delle Orobie, già arrivano vividi raggi di sole che rischiarano i terrazzamenti di questa parte della Valtellina che da sempre è riconosciuta come il top per la produzione del vino. Si lavora e intanto si parla di tante cose, del presente e del passato, delle vendemmie di una volta, dell'uva che quest'anno è di straordinaria bellezza e lascia immaginare un vino da favola... Si ricorda quando ancora non c'erano le strade che tagliano i vigneti alle diverse altezze e l'uva veniva portata nelle brente e nelle gerle fino alle contrade più lontane, con una marcia lunga e faticosa. Quando dai paesi della Valmalenco scendevano le donne per aiutare i vignaioli di Sant'Anna, di Mossini e di Sondrio e nascevano nell'occasione amicizie e amori. Sono stato invitato anch'io a unirmi alla comitiva impegnata nella vendemmia (una quindicina di amici, tra uomini e donne) e sono contento di avere accettato l'invito. È pur vero che, nonostante le strade e i trattori, è ancora necessario inerpicarsi per le vigne con le pesanti brente sulle spalle. Il cammino è ripido, brevi scalette di pietra portano da un terrazzamento all'altro, su, e ancora su, fino alla strada dove i tini posti su motocarri e trattori attendono di essere riempiti. Da tempo non portavo carichi tanto pesanti ma, nonostante l'età non più verde, devo dire che me la cavo ancora bene. Anche nei vigneti circostanti è tutto un brulicare di gente che lavora. Dopo alcuni giorni di pioggia tutti approfittano di questa bella giornata per raccogliere il frutto di un paziente lavoro.

Sondrio è giù, sotto i nostri piedi: i capannoni, i palazzi e le case disegnano una vasta scacchiera nella luce piena del giorno. Lungo la ferrovia scorre ogni tanto un treno che da quassù sembra un frettoloso bruco verde, il Mallero e l'Adda scintillano come specchi e di lontano la prima neve splende sulle cime orobiche e sull'Adamello. È magnifica la nostra Valtellina. Ed è bello vedere come l'opera dell'uomo, nel corso dei secoli, abbia ulteriormente contribuito ad abbellirla e ad arricchirla. [Per un giorno voglio dimenticare i più recenti obbrobri e pensare invece che è stato chiesto – oh quanto giustamente! – che questi terrazzamenti della Sassella vengano dichiarati patrimonio dell'umanità]. E poi le chiese e i campanili che sfilano, uno dopo l'altro, sulle fiancate dei monti, i paesi costruiti a mezza montagna sui dossi o nelle radure dei boschi, più luminosi e colorati quelli della sponda retica, più sobri e vorrei dire più quieti quelli della sponda orobica. Peccato che il ritmo intenso del lavoro non mi consenta di soffermarmi troppo a lungo ad ammirare il paesaggio. La vendemmia deve andare avanti. Le donne staccano i grappoli e li depongono in grandi secchi che gli uomini svuotano poi nelle brente da portare su per il ripido sentiero, fino alla strada.

A mezzogiorno finalmente ci ritroviamo tutti, stanchi e affamati, intorno alla tavola in casa dell'amico proprietario della grande vigna. Polenta, salame di testa, salame “con la goccia”, salsiccia cotta, verdure, formaggi assortiti. E naturalmente diversi bottiglioni di quello buono, invecchiato di un paio di anni. Sono sempre più convinto che, in quanto a formaggi e salumi, la Valtellina non abbia niente da invidiare a nessuno e, ovviamente, che nessun altro vino come il nostro si adatti altrettanto bene a questi prodotti. Con la polenta, il pane di segale e relativo companatico non c'è nulla di meglio di un buon “Sassella” prodotto su queste terrazze di sassi e di terra costruite dai nostri antenati con un secolare lavoro di pazienza e di fatica. Dopo un breve riposo si riprende. Rimettersi al lavoro dopo un pasto abbondante non è proprio il massimo ma lo facciamo di buon grado anche perché vediamo che le cose procedono speditamente, con soddisfazione di tutti. L'uva è bellissima, l'amico vignaiolo è felice e noi siamo felici con lui. Adesso il sole ha più forza, i volti sono sudati e la stanchezza si fa sentire. A metà pomeriggio facciamo una breve sosta intorno a una grande fontana per rinfrescarci con l'acqua di sorgente e poi riprendiamo con rinnovato vigore il nostro lavoro.

All'imbrunire tutto è finito. Il mosto già bolle nei grandi tini posti nella cantina dell'amico. Sì, questa sarà un'annata davvero buona. A cena la signora mette in tavola gustosi ravioli fatti in casa e intorno alla tavola è un susseguirsi di battute e di allegre conversazioni, mentre i bottiglioni si svuotano, uno dopo l'altro. Poi usciamo nel giardino sopraelevato a guardare la notte. Sondrio, in basso, arde come un braciere ai nostri piedi. La Valle si stende scura e ampia sotto il cielo stellato, punteggiata qua e là dalle luci dei tanti paesi. È stata una giornata particolare, certamente faticosa ma anche molto bella. So che l'affermazione è banale ma così è. Mi sento in sintonia con gli uomini e con le donne che oggi hanno lavorato con me. Mi sento più che mai in sintonia con la mia Valle e i suoi abitanti semplici e generosi. In macchina, tornando nella notte verso casa, mi trovo ancora una volta a ripetere un vecchio pensiero: “Come si può non amare questa terra e questa gente?”

 

Gino Songini

(da 'l Gazetin, ottobre 2007)


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