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Carlo Forin. Allah e la Mezzaluna nell’esplorazione del neolitico. 2
14 Ottobre 2015
   

L’analisi di Klaus Schmidt, Costruirono i primi templi. 7000 anni prima delle piramidi, Genova, Oltre Edizioni, luglio 2011 (Monaco 2007) è complessa perché richiede per me un ribaltamento della modalità – archeologia e linguaggio – per adottare – il linguaggio nell’archeologia – e riconoscere la nostra abitudine naturale a comunicare per trasmettere ciò che troviamo di importante.

L’ottimo lavoro fatto da Klaus Schmidt (foto) è malato di un finto oggettivismo. Ha messo tra parentesi quasi tutta la cultura trascorsa in 10.000 anni per proporre dei megaliti portati alla luce dalla sua equipe in Gobekli Tepe, nella gobba mesopotamica fin dal 1994, da interpretare ‘liberamente’ ripescando qualcosina alla fine per apporla come sovrapposizione; per fortuna ha riconosciuto nel arabico tell, collina, il tempio, anche se ignora che l’Aldilà dei Zumeri fu proprio l’interno della montagna (la dea Ninhursanga – che cita a pag. 189, come madre di tutti gli dèi, ma senza localizzarla. Ninkursag è il nome in La saga di Ghilgamesh di G. Pettinato, incapace di riferirci l’etnico Bilgamesh, del re sumero che cercò l’immortalità) e dunque possiamo ipotizzare che la credenza fosse generale e perdurasse, perché le divinità durarono millenni. Ad es., la latina tellus compone la sillaba tell + us, ‘fine’ in sumero; tell pare te+ill = till, ‘completare, vita’ (a.ki.till fu il capodanno accado).

Si è mosso dentro la cultura di Allah e della Mezzaluna -fingendo di metterla in parentesi-, ovvero ignorandola, ha offerto il riscontro fisico di un’orografia orientale della mezzaluna segnata dalla Mesopotamia, con i monti Zagros – paleonimo che, a parer mio, perdura dai Zumeri (zag, confini, rus, rimpiazzo), che si prolunga nella catena turca dei monti Tauri e ci dice: -Io vi do i fatti, voi interpretateli come volete. Io abbozzo solo qualcosa-. Il paleonimo Zagros non è un fatto? Abbiamo già visto i Tauri.

Sono impegnato, dunque, a fare il contrario.

Allah. Nome arabo di Dio, formato, come generalmente si crede, dall’articolo al e la parola ilah, che vale “Dio, divinità”, ed è ancora oggi conservata nell’uso arabo (occorrono ambedue le parole nella formula di fede musulmana la ilah illa allah “non vi è altra divinità al di fuori di Dio”) e corrisponde all’ebraico ‘eloah, all’aramaico elah, al siriaco allaha, al sudarabico ilah. Nelle iscrizioni safaitiche appare, con uguale formazione (cioè l’articolo, che in safaitico è ha e ilah), la forma hallah.

A. era venerato nell’Arabia preislamica e aveva anzi assunto una posizione preminente tra le divinità dei pagani; la parola era ed è adoperata per indicare Dio da parte degli ebrei e dei cristiani [copti, nda], e fu poi adottata dai musulmani. [Enc. Cattolica]

Noi viviamo nella dimensione del XXI sec. d.C., col fenomeno del Califfato, che ammazza chi non è con l’Isis. Qui, Allah è adorato com’era visto, forse (come prova il Corano < KUR ANU ‘montagna cielo’), ai tempi di Maometto, al di fuori della storia, negata e distrutta nei resti. Culturalmente, questa dimensione -chi è con noi esiste, chi non è con noi deve morire- abbozza, forse, la visione sumero-accada di Is (-tar), dea della vita (per noi) e della morte, (nam-)tar, di chi sta contro di noi.

La forma safaitica di Allah, hallah, è perfettamente circolare; chiarisce quel che intendo con l’espressione lineare biunivoca il circolo antico: Zag-ros-gaz sarebbe l’equivalente dei grafi Zagros. Il capodanno ebraico, a memoria Ros Anshanà, espone il ‘capo’ all’inizio, Ras Shamra, in arabo [in particolare, Ugarit].1 Gaz è ‘rottura’, rush-rash-resh-rish-rosh, capo (unione di sole, ra, e luna, sh), ‘totalità’ (unione di luna, sh, e sole, ra), rash, rush, rish, resh, rosh, zag è ‘confine’; stiamo parlando della Galassia, via al centro del cielo notturno, rimasta ‘uguale’ nei millenni, che noi vediamo come gli antichi. È una striscia sfrangiata di stelle.

L’uso specifico in Allah dell’articolo ha e ilah agevola il riconoscimento della dimensione circolare della lingua sumera, priva di articoli. Il grafo hal si leggeva hal-lah. Re.:

hal

n., crotch [posizione di chi si accuatta], upper thigh [parte alta della coscia]; secret; divination expert; portion, share (cf., gi-hal, ha-la and pap-hal -la-) (loans from Akkadian hallu I and pahallu; cf. Orel & Stolbova #1928, * pahal- “leg, thigh” and #1929, *pahal- “break through, split”) [HAL archaic frequency].

v., to stream, run; to drain a reservoir (in order to irrigate land); to divide, separate; to deal out, distribute, allot, assign, allocate (hal-ha in maru).

(gis) shim HAL

(c.f. (gis)shim buluh).

hal-hal

to roll along; designation of the Tigris as the ‘rolling river’ (although one text from Ras Shamra equatesi t to the Euphrates) [da intendere come fiumi divini e, specificamente, da precisare che anche i grafi devono esser fatti girare secondo eme ghir -lingua sumera-]; description of a plant [anche stereo, nda] (Akkadian ammu II, ‘a name of the Tigris’ [lat. amnicola, che sta sul fiume, amnensis, vicino al fiume, amnis, fiume. Sum. am3-nis, con am ventitivo (che rende attore il secondo elementi) –nis = 20, il sole (ed il sole è la massima divinità accadica -dei lungo il Tigri-)], qararu(m), ‘to writhe [torcersi, nda], grovel [strisciare per terra], roll around’.2

Se la Lettura Circolare del Zumero non vi portasse subito, con tutto questo torcersi del Tigri a leggere hal-lah su hal, allora vogliate leggere Ti-gir su Tigri, ‘vita (ti) giro (gir/gri)’. Oltre a ciò, la parola araba ilah, dio/divinità, compone sumera il, dio (chiaro in Bab-il, ‘porta di Dio’ ed antico nome di Babilonia),3 ah, ‘sputo’. Lo sputo di Dio dal cielo sarebbe il mondo, e la pratica dello sputo attuata dal dio che si ritira e lascia il posto al dio nuovo subentrante al comando in Terra è in diversi miti.

Dunque, il fondamento base dell’archeologia del linguaggio, che sta nel perdurar millenni dei nomi degli dèi, trova conferma colossale nel nome di Allah! Se vogliamo limitarci ad un prudentissimo dal 2000 a.C., se osiamo arriveremmo ad Uruk, 5.500 a.C.!

I millenni sono percorribili nella lingua con i nomi degli dèi.

 

Quanto alla mezzaluna, simbolo dell’Islam contrapposto alla Croce nel II millennio d.C., abbiamo già visto: In sintesi: «Fu rito della scrittura sumerica incidere Enzu e leggere all’inverso Zuen (semplificato Sin = Luna) […]».4 Da ciò il sin-tag-ma, ‘pezzo (tag) generante/generato (ma) dalla Luna (sin)’, uguale nel senso al sintagma moderno, ‘gruppo minimo di elementi significativi che forma l’unità base della struttura sintattica di un frase’ (lo Zingarelli).

Anche l’esatto nome ‘luna’ sta nel dizionario Halloran, benché non riconosciuto esplicitamente dal compilatore:

lu2-na-me’

someone, anyone (‘person’ + indefinite pronoum).5

Questo lemma coniuga il nome specifico ‘luna’, massima divinità sumera, e la sua parola creatrice ‘me’. Perciò resta identificata una persona, creata dalla dea luna.

A cavar tutti i dubbi abbiamo anche il plurale ‘lune’.

LU2 x NE; LU2-NE

(cf. du14).

du14 [LU2 x NE or LU2.NE]; du17 [NE]

quarrel, struggle, fight.6

Le lune sono buone e cattive, come nel senso popolare, favorevoli e sfavorevoli, da combattere per e contro, divine e diaboliche.

Così, ‘modo’, lat. modu, è dal sumero mudu letto L.C.Z.7 su:

du14…mu2 di

to start a quarrel (‘quarrel’ + ‘to ignite’).8

Voglio concludere questo articolo ‘linguistico’ riferendo sulla chiusa di Costruirono i primi templi (: 245):

La regione compresa tra gli alti corsi del fiume Tigri ed Eufrate si presenta, detto per immagini, come la pancia della mezzaluna fertile o, come altri dicono, come “il triangolo d’oro”. Gigantesco, e archeologicamente non indagato. Ma proprio qui si trovano Urfa e Gobekli Tepe, col loro mondo finora sconosciuto di sculture e bassorilievi. Dove, accanto a guardiani minacciosi, raffigurazioni complicate e in parte surreali sembrano appartenere ad un linguaggio per immagini ancora sconosciuto per repertorio e contenuti. Quasi come nei dipinti allegorici di un Hieronymus Bosch, si dispiega qui uno scenario di immagini notevoli, la lettura delle quali era ben possibile all’iniziato, ma non all’ignaro visitatore che di tutto ciò coglieva solo approssimativamente i contenuti: pericolo, minaccia, spavento ovvero pacifico. Che qui agissero entità di un altro mondo o almeno creature animali in rappresentanza di quelle, era chiaro anche all’osservatore non iniziato.

Il carattere di muta pietra che le nostre fonti possiedono ci impedirà per sempre di sapere se a Gobekli Tepe il numen si fosse già trasformato in nomen, se cioè vi avessero fatto la loro comparsa esclusivamente spiriti, demoni e altre potenze trascendi, o se già si mescolassero a questi anche veri e propri dei e dee [è un ‘per sempre’ di uno che confonde il suo metodo di sovrapporre interpretazioni con la realtà delle pietre trovate, nda]. Ma anche se ci rimarrà celato il vero carattere di ciò che si venerava qui, mi pare che il termine tempio definisca in modo esatto gli edifici particolari di Gobekli Tepe. Non conosciamo il “pantheon” dell’età della pietra e probabilmente non lo conosceremo mai, ma l’idea che progressivamente si consolida fino a diventare certezza, cresciuta in noi durante la ricerca su Gobekli Tepe, e cioè che culto e religione come essi si manifestarono in questi templi furono la molla principale dello sviluppo cui si assiste durante il Neolitico nel Vicino Oriente, promette nuovi punti di vista sulla storia dell’umanità e sulla natura dei nostri predecessori. Continuare le ricerche sulla montagna sacra dei cacciatori dell’età della pietra è una fatica che in ogni caso merita di essere affrontata.

 

Carlo Forin

 

 

1 Râs ash-shamrah, “collina del finocchio”, secondo l’Enciclopedia Treccani. Nel lat. parlato finocchio è fenoculu. In sumero: he(2)- en –uh2-ulu ‘via attesa (dello) sputo nel vento’ [re.: John Alan Halloran, Sumerian lexicon, Los Angeles, Logogram Publishing, 2006].

2 John Alan Halloran, op. cit.: 109.

3 L’ipotesi del sumero il = nome di dio è sollevata a pag. 235-242, “The element il”, da Robert A. Di Vito, Studies in third millennium sumerian and akkadian personal names, Editrice Pontificio Istituto Biblico, Roma, 1993.

4 Licinio Glori, La pace di Cesare, Milano, Dimara, 1956: 28.

5 John Alan Halloran, op. cit.: 161.

6 Ivi: 47.

7 Lettura Circolare del Zumero.

8 John Alan Halloran, op. cit.: 47.


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