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Una visita a quella Banca Nazionale dell’Agricoltura dove il 12 dicembre 1969 è passata la storia 
di Mauro Raimondi
15 Maggio 2014
   

Incredibilmente, fino a qualche giorno fa non ero mai entrato nel luogo dove è avvenuta la strage di Piazza Fontana. E da appassionato divulgatore di storia cittadina da più di un decennio, mi viene davvero da chiedermi il motivo: probabilmente, un’inconscia paura di quello che era accaduto lì dentro, dello strazio, del sangue che era stato sparso. Della morte.

Adesso, però, grazie ai miei alunni dei Civici Corsi di Idoneità che il 9 maggio ho accompagnato insieme ad altri docenti alla manifestazione “Giorno della Memoria”, organizzata dal Comune di Milano insieme all’Associazione Familiari Vittime della Strage di Piazza Fontana e all’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo, ho finalmente colmato quel vuoto ingiustificato.

Terminato l’incontro a Palazzo Marino, infatti, ho pensato che fosse opportuno portare i ragazzi dove era successo ciò che avevano appena sentito e che gli avevo mostrato in classe. E durante il tragitto attraverso la Galleria e Piazza del Duomo, lo ammetto, l’atmosfera era da gita scolastica: un gruppo di simpatici minorenni con in testa tutto fuorché la tragedia, in compagnia dei loro insegnanti.

Poi, quando siamo giunti in Piazza Fontana, già vedere l’insegna della Banca Nazionale dell’Agricoltura ha assunto un significato diverso dal solito, in modo particolare per quegli studenti che proprio lì davanti prendono regolarmente il tram per tornare a casa e che l’avevano osservata sovrappensiero chissà quante volte.

Tuttavia, il vero shock è stato entrare nella banca. Quando ci siamo avvicinati non eravamo sicuri di poterlo fare, anzi pensavamo che ci avrebbero negato l’ingresso, considerato che la filiale del Monte dei Paschi di Siena era aperta e quindi in attività. Invece, l’agente di sicurezza ci ha permesso di accedere alla sala, preceduta da un piccolo spazio dove si trovava una foto che ricordava l’eccidio.

Ebbene, è stato un trauma. Innanzitutto, perché la stanza è piuttosto piccola, o perlomeno molto più piccola di quella che avevo sempre dedotto dalle fotografie (che evidentemente, prese dall’altro, la ampliavano). E poi perché tutto o quasi è rimasto come nelle immagini che solo la settimana prima avevo presentato agli alunni. Il bancone semicircolare con dietro gli impiegati sembrava lo stesso, così come la struttura superiore, che però adesso è chiusa da pannelli. E a un metro da me si trovava un tavolo-monumento che ricordava il luogo dove i fascisti avevano messo la borsa contenente la bomba.

Solo, mancavano le carte sparse, le sedie per terra, l’orologio fermo alle 16:37.

Il buco provocato dall’ordigno.

I lenzuoli bianchi a coprire i cadaveri, stesi proprio dove adesso stavo appoggiando i piedi.

Ed è stata un’emozione incredibile, perché un conto è raccontare la Storia, un altro toccarla, in qualche modo vederla.

Ascoltarla, perché anche il silenzio ci parla.

Per questa ragione, invito tutti i milanesi (e non) ad andarci, alla filiale del Monte dei Paschi di Piazza Fontana, e di sostare qualche minuto in quel salone dove la Storia è tragicamente passata, sovrapponendo quello che hanno nella loro mente a quello che ora c’è davanti ai loro occhi.

Svuotandosi, per un attimo, dei loro pensieri quotidiani, per immergersi nel passato.

Così, ancor più che con le parole, riusciremo a mantenere viva la memoria.

Saludi.


 
 
 
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