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Massimo Bevilacqua e Francesco Osti. La linea di ferro
28 Ottobre 2007
 

«...E, per presentare l'edizione di novembre del Gazetin, partiamo allora da questa nuova piccola rubrica, “Itaca – i luoghi e i non luoghi della manutenzione poetica”, che sarà curata con periodicità mensile da Massimo Bevilacqua e Francesco Osti. Gli autori non hanno qui bisogno di altre note di presentazione, essendo già stati ospitati in passato dal giornale, avendo ricevuto il “battesimo” in Tutta la forza della poesia (Labos, 2003) e avendo al loro attivo pubblicazioni e riconoscimenti che li annoverano ormai fra gli emergenti non soltanto a livello locale. Non rinunciando al linguaggio poetico che li caratterizza, intendono questa volta cimentarsi con la “cronaca civile” (genere di cui il periodico è in certo qual senso inventore e sperimentatore) a partire dal territorio, con i suoi luoghi dimenticati o trascurati e i “non luoghi” perché fisicamente non determinabili che, da bravi manutentori, intendono mantenere in efficienza. Restituendoli alla memoria e alla fruizione culturale, se non all'esercizio perché storicamente superati».

Così scrivevo, nel 'lancio stampa' dell'edizione del mensile di novembre 2005. Pochi giorni prima era comparso in rete Tellusfolio, dando avvio alla bella avventura giornalistica che tutti conoscete. Ora che “Itaca” sta per compiere i due anni di vita su carta, ho pensato, d'intesa con gli autori che pure stanno scoprendo le risorse della rete, potesse avere un suo oblò su questa Nave. Con funzione di scrigno-archivio e per consentire una conoscenza e una fruizione più ampie di questo originale lavoro. Lo faremo ripercorrendo i singoli brani nel loro ordine temporale di uscita, con cadenza, qui, di domenica (una sì e due no, per avvicinarci pian piano alla contemporaneità col mensile), nei testi, generalmente corredato delle stesse immagini, pubblicati su carta. (Enea Sansi)

 

 

La linea di ferro

(da 'l Gazetin, novembre 2005)

 

 

Come una linea di demarcazione che lascia un taglio, una scissione masticare i decenni.

Sotto sono gli spazi, le vie solo d’asfalto, il respiro tra le case. Forse una condizione sociale.

Era la scuola media, i ragazzi con la BMX o la bici che saltava i fossi. C’è la vicinanza della terra, le cadute dei bambini sulla terra, le ombre d’estate nelle pozze di fango.

Sotto hanno corso gli idoli e hanno fatto le impennate.

La ferrovia è una linea stanca, fredda. Solo il treno che porta il caldo e qualche passo dei pendolari sulla brina d’inverno. Qualcuno ha deciso di morire con lei parlandole per ultima, le carcasse di animali e qualche uomo si è sdraiato in silenzio. Qui si lasciano plastica e giornali senza dire nient’altro, per caso o perché scivolano via e non esistono più come in un cimitero delle identità.

Sopra la ferrovia ci sono le vie come fiumi di porfido che ricordano i pezzi sparsi di qualcosa che si è sradicato o esploso e vuole rimanere. Sono ancora i negozi, le luci, le auto, le ferite sociali di chi passa con gli occhi simmetrici e la tuta da ginnastica. C’è l’odore delle case con i muri più spessi, la fatica delle luci e di certe parole, di certi vestiti a prendersi un posto.

Arteria aperta che batti una linea sulla terra, sulla geometria di questa città. Forse speri di scomparire, non tornare più fra le smorfie, non solcare, non demarcare. Sapremo ricordarti, ferita di ferite, della tua parte nella storia collettiva. Chi ti ha scelto o ti sceglierà senza addomesticarti,

chi ti porta nei discorsi, come una parola che se ne sta in disparte e seguita e restare.

 

Massimo Bevilacqua

 

 

Sul fondo del binario se si guarda bene, sul trave ci sono i messaggi degli studenti, gli inviti con i botta e risposta. All’opposto, nei crepuscoli autunnali, il pendolare con la borsa e l’ombrello che fissa la mattonella della banchina. Lo scalo merci o quello che resta, puro istinto e immaginazione, compare e scompare nei sogni insieme ai cammelli arrivati col circo, ai vagoni gialli dell’ordinaria manutenzione.

 

Francesco Osti


 
 
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