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Storia e apprensioni di Beritan Gulmez raccolte da Doriana Goracci
28 Gennaio 2009
 

Cosa faranno quei bambini da grandi?” Sono delle domande che si pone Beritan Gulmez, 14enne, in un tema che ha scritto alcuni giorni fa: la traccia era “Un fatto che ti ha colpito negli ultimi tempi”.

Oggi Beritan mi ha autorizzata ad inoltrare le sue riflessioni, teme solo il giudizio sulla forma italiana non correttissima e che io non ho aggiustato di una virgola. Mentre parlavamo accarezzava la kefia e mi ha raccontato che lo scorso anno in terza media un professore la minacciò con una nota se non si fosse tolta “quella” sciarpa dal collo. Lei accusò mal di gola e disse che aveva solo “quella” da indossare. Nel silenzio attonito della classe, la discussione andò avanti e il professore non prese provvedimenti ma concluse che “quella era di parte”. Beritan, la kefia, la toglie difficilmente, solo quando lo vuole lei. Alla fine mi ha chiesto mentre ci salutavamo, come può migliorare la sua sufficienza in Storia, la materia che ama più di ogni altra.

 

“Cosa faranno quei bambini da grandi? Cosa pretendete che facciano questi bambini?”

 


A gennaio sono andata a Roma per partecipare alla Manifestazione contro il crudele comportamento di Israele verso il popolo palestinese. Prima di andarci avevo riflettuto molto su tutto ciò ed è vero che Israele ha sofferto tanto per lo sterminio da parte dei tedeschi ma ciò non giustifica il suo comportamento violento contro la Palestina. C’è anche il fatto che i giovani palestinesi si uccidono con le bombe causando la morte di chi gli è vicino e questo i telegiornali lo dicono. Fanno di tutto per accusarli ma nessuno si chiede il perché lo facciano; credo profondamente che abbiano un motivo valido per tutto ciò. Infatti dopo tante ricerche sono arrivata a questa conclusione: se in quel paese non ci fossero state le guerre e i soldati che girano per le città davanti ai bambini, se solo ci fosse stato l’opposto, cioè una vita normale anche con qualche difficoltà, come c’è sempre stata chiaramente, sarebbe stato meglio.

Poi mi sono chiesta e vorrei domandarlo ad altre persone che conoscono la situazione e che purtroppo sono poche, proprio perché i telegiornali dicono tutto ciò che sentono senza ragionare sul discorso e senza porsi delle domande come in questo caso sarebbero utili a capire il problema dei palestinesi. La domanda posta a me stessa è cosa faranno quei bambini da grandi? Vissuti sempre in mezzo alle guerre, in mezzo alla morte, in mezzo alla violenza, odio e sangue che scorre ormai da anni. Anzi cosa pretendete che facciano questi bambini?

Io non credo che abbiano molte scelte ma solo combattere, suicidarsi ed odiare, questo che già di per sé è brutto.

Se ciò che i buddisti pensano è vero, cioè che dopo la morte esiste un’altra vita spero solo che i bambini palestinesi e tanti altri bambini che a causa dell’ignoranza degli uomini muoiono, possano vivere meglio.

Insomma quella sera è stata molto significativa per me, perché ho conosciuto più da vicino il popolo palestinese che come tanti altri paesi soffre, per esempio come il popolo kurdo, il mio popolo.

Con loro ho sofferto e ricordato la situazione kurda e gridato NO alle guerre e alle violenze in corso in ogni parte del mondo.

 

Beritan Gulmez

   

  

Qualche nota su Beritan Gulmez. È nata a Mersin in Turchia nel 1994. L’auto su cui viaggiava con il padre a Dyarbakir fu bloccata dalla polizia turca: li divisero e finì in carcere come lui. Aveva cinque anni, per tre giorni la famiglia non seppe nulla di lei. Poi trascorse quasi un mese in una specie di casa per bambini orfani. Il padre riuscì ad arrivare in Italia nel 2001 come rifugiato politico e oggi è un mediatore culturale in strutture di accoglienza a Roma, dove attualmente vive. Beritan insieme ad una sorella e due fratelli più piccoli di lei e la loro  mamma sono vissute come richiedenti asilo in Norvegia per poco meno di un anno, poi quasi due in Germania. Vivono oggi a Capranica in provincia di Viterbo dal 2004.


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