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La mia banda suona il rock… e tutto quanto all’occorrenza… 
Intervista con Gabriele Tonelli
The Leaders
The Leaders 
30 Aprile 2012
 

Dopo Chiavenna e Sondrio, la mostra fotografica relativa ai gruppi rock della Valtellina degli anni Sessanta pubblicati sul volume Scossa elettrica ha fatto tappa a Morbegno, in uno dei chiostri del Convento di Sant’Antonio, nel periodo delle cantine (1-2 e 7-8-9 ottobre). L’inaugurazione si è tenuta sabato primo ottobre 2011 alle ore 18:00 e, a partire dalle ore 20:00, si sono esibiti in un concerto alcuni dei complessi della nostra provincia di quegl’anni presenti nel libro. È stata una bella occasione di ritrovo per tutti i musicisti e cantanti dell’epoca che, con qualche anno in più e con storie di vita diverse, hanno potuto rivivere, ricordando insieme, momenti speciali di gioventù.

Continuiamo la rassegna di interviste rivolgendo alcune domande a Gabriele Tonelli, uno dei personaggi più presenti nel libro in quanto protagonista in tre gruppi musicali (Le Anime, i Leaders e Gli Immortali). Il suo contributo contribuisce a far conoscere, soprattutto alle nuove generazioni che non hanno vissuto quel periodo, com’erano gli usi e i costumi in campo musicale della società di quel tempo.

 

Com’è nata la tua passione per la musica?

Nei primi anni ’60 esplose nel mondo qualcosa di nuovo che accompagnò la trasformazione dell’Italia da un paese agricolo a un paese industriale e interessò quasi tutti i campi culturali.

Avvenne anche una vera e propria rivoluzione musicale. Le radio trasmettevano musica inglese e d’oltre oceano, riviste raccontavano dei gruppi più seguiti. In America era il periodo dei “figli dei fiori” (Beat Generation). Seguivo come molti altri tutte queste “novità” con la passione tipica degli adolescenti e con l’idea di formare un complesso che suonasse quella musica. Da qui, la prima chitarra, i primi accordi e interminabili ore a provare e riprovare. Non avendo avuto una formazione musicale preesistente e non essendoci comunque le partiture dei pezzi che interessavano, si imparava soprattutto attraverso l’ascolto dei dischi e lo scambio con altri ragazzi di quello che uno sapeva fare. A volte si trovavano gli spartiti con gli accordi, ma era cosa abbastanza rara. Le prime chitarre elettriche, gli impianti voce… una tecnologia mai vista prima nei nostri paesi costituirono le basi per le prime formazioni musicali.

Quali erano le tendenze musicali degli anni Sessanta e Settanta?

Negli ambienti giovanili, valzer e tanghi erano banditi. C’erano i Juke-box, ma non le discoteche. I complessi erano quasi tutti di formazioni molto giovani. Alcuni suonavano solo in occasione di raduni, concorsi o concerti, non avendo un repertorio sufficiente a tenere una serata. I pezzi che andavano per la maggiore erano quelli dei Creedence Clearwater Revival, dei Beatles, dei Bee Gee, ecc. e degli italiani: Equipe 84, Dik Dik, Camaleonti, Rokes, Pooh, ecc., ma anche ovviamente altri. Ogni gruppo aveva i suoi preferiti.

A quanti anni hai iniziato a cantare e suonare?

La prima chitarra acustica l’ebbi attorno ai 15 anni, ma non fu facile o semplice imparare a suonarla. Non c’erano insegnanti per la musica che mi interessava, pertanto l’unico modo di imparare era attraverso i metodi che spiegavano l’accordatura e gli accordi. Il canto venne dopo, con le prime formazioni. Prima con alcuni pezzi e poi con un discreto repertorio.

Com’è nata l’idea di formare un gruppo musicale e quali difficoltà hai incontrato?

L’idea di formare un complesso è stata la ragione stessa del suonare. Il gruppo era il valore di riferimento di ogni iniziativa. Il bello di quegli anni è anche proprio nell’importanza del gruppo come ambiente in cui dividere e condividere tutto. Le difficoltà erano di ogni tipo: il luogo per le prove, l’acquisto degli strumenti, il mezzo per trasportarli. Con il compimento dei 18 anni ebbi la prima automobile, una Bianchina familiare, che per molto tempo fu l’unico mezzo di trasporto di strumenti e persone essendo io il più vecchio del gruppo e dovendo farmi sempre carico di due o tre viaggi per trasportare il tutto.

Racconta in breve il tuo percorso. Quali sono i ricordi più significativi che conservi?

Il percorso inizia col gruppo Le Anime con il quale facemmo le prime uscite il quel di Ardenno al “Pedemonti”. Un compagno mio di lavoro aveva un bar con un ampio locale frequentato la domenica pomeriggio da pochissimi clienti. Grazie a questo rapporto iniziammo lì. Ci occupavamo dei permessi e dell’entrata. La cosa ebbe un riscontro incredibile registrando ogni domenica il locale pieno all’inverosimile. Il secondo gruppo fu quello degli Immortali dove venne rivoluzionata la formazione. Io passai dalla chitarra alle tastiere. Entrarono miei amici d’infanzia: Dionigi Sutti alla batteria e Mario Moiola al sax tenore e tramite amici di famiglia: Siro Venturini alla chitarra ed Enrico Bianchini al basso. Con questa formazione vincemmo nel ‘il “Cantavalgerola”, una manifestazione che vedeva in concorso quasi tutti i gruppi valtellinesi e ben 300 mila lire di premio. Una cifra mai vista prima che consentì di pagare una buona parte degli strumenti.

La terza e ultima formazione fu quella dei The Leaders con la quale facemmo un gran numero di serate e di riviste nei teatri di paese (il moderno karaoke). Fu sicuramente quella musicalmente più preparata e con un repertorio molto ampio grazie all’apporto di Giancarlo Donadelli e di Sandro Guerra alle chitarre.

A che età e per quale motivo hai smesso di dedicarti alla musica?

All’età di 23 anni a causa del servizio militare di alcuni componenti il gruppo si sciolse, ma siamo rimasti legati da una vera e profonda amicizia che ci ha permesso di vivere una stagione speciale, probabilmente irripetibile per altre generazioni.

Come ti è parso questo libro?

Il libro Scossa elettrica riassume un’epoca ed è pertanto un documento molto importante che permette di rivedere o di capire un fenomeno che ha attraversato anche la nostra Valtellina. Basti considerare l’incredibile numero di formazioni raccolte e raccontate, ed alcune importanti che non sono citate.

Vuoi aggiungere qualcosa?

Sì, anche per ricordare come eravamo. Per alcuni mesi con Gli Immortali suonavamo dalle 22 alle 2 di notte il sabato e la domenica alla “Rupe Tarpea” in quel di Sondrio. Non ci accontentavamo del repertorio che avevamo, pertanto la domenica notte si riportavano tutti gli strumenti a Pedemonte di Berbenno, nostro luogo di prove. Ci volevano tre viaggi, un passeggero e parte degli strumenti, sempre con la mitica “Bianchina”. Solitamente l’ultimo che rimaneva in Piazza Garibaldi, fino alle 4 del mattino, era Dionigi Sutti, un carissimo amico con cui ho condiviso tutto il percorso, prima teatrale (con la compagnia dell’oratorio di Regoledo) e poi musicale. Recuperati gli ultimi strumenti, si scaricavano a Pedemonte, si riprendeva Mario Moiola e finalmente si rincasava, alle 5 del mattino, a Regoledo. Spesso mi capitava di arrivare appena in tempo per prendere il pullman che mi portava al lavoro per il turno del mattino al Cotonificio “Fossati”. Il lunedì sera era già tempo di prove, che duravano fino al venerdì.

Vorrei ricordare una cosa speciale. Si partiva da Regoledo per Pedemonte di Berbenno. Durante questo percorso, il batterista, Dionigi Sutti, salutava sempre una ragazza che non mancava mai a vederci passare. Ebbene, oggi quella ragazza è sua moglie e sono felicemente sposati da ben 36 anni. Concludendo, posso dire che mi ritengo molto fortunato di aver potuto vivere un’esperienza straordinaria che ricordo sempre con piacere e anche con un pizzico di nostalgia.

 

Paola Mara De Maestri

(da 'l Gazetin, ottobre 2011)


Foto allegate

Gli Immortali
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