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La Punta di Scais (m 3039). 2ª parte 
Diario della nostra ultima autunnale salita
28 Novembre 2006
 


La Punta di Scais e i canali di salita per il versante SO visti dalla valle principale che sale dalla vedretta di Scais. La prima ascensione fu portata a termine dalla guida Antonio Baroni per la via Baroni: 3 luglio 1881. Assieme al Baroni v'erano tre clienti bergamaschi. Il 12 luglio 1894, ci fu la storica ascesa di Giovanni Bonomi con Bruno Galli-Valerio lungo il canale da allora denominato canale Bonomi.

  
 
15 OTTOBRE 2006
 
È la metà di ottobre, ma l'autunno tarda ad arrivare. Fa ancora caldo e gli alberi sono tutti verdi. Solo in alta quota si intravede qualche prato bruciato dal breve gelo di settimana scorsa. La neve è oltre i 2500. Questo inaspettato strascico di estate sembra l'ultima chiamata per salire quest'anno la Punta di Scais, così decidiamo di partire nonostante nuvoloni minacciosi avvolgano l'intera zona.
Il corridoio preferibile per le vette del gruppo Scais-Redorta è la Val Caronno, la ramificazione più orientale della Val Venina. Per accedervi bisogna salire in macchina fino al paesino di Agneda (m 1223).
Parcheggiamo nella piana oltre l'abitato, sono le 8:30. Nebbia e silenzio tutt'intorno, atmosfera tetra. La TV Svizzera ha messo bello, ma, dopo la bufera di neve presa settimana scorsa sulla Punta Adami, nessuno di noi due si fida più delle previsioni meteo.
Siamo in fondo al vallone, dove inizia la strada cementata che sale al muraglione della diga di Scais (E). Sentiamo, senza vedere, l'acqua che scroscia sulle rocce alla nostra destra. L'umidità alle stelle trasforma i 6°C in un caldo insopportabile. Ci mettiamo a dorso nudo. Lontano nel bosco rintocca il verso di qualche animale.
«Dall'odore dev'essere un caprone o uno stambecco in calore!»
«Se hai l'ascella importante non dare la colpa alle bestie!», scherza il Tarabini. Poi aggiunge incuriosito: «Ma qui non vive quel serpente temutissimo? Il basilico?»
«Il basilisco...» ribatto io. «Certo, i pastori dicevano avesse gli occhi rotanti nelle orbite, la cresta rossa come il fuoco e terribili poteri sovrannaturali. Chi imprudentemente lo aveva guardato negli occhi, oppure ne aveva ascoltato per tre volte il fischio era morto stecchito, sul colpo. Per cui oggi ti conviene stare attento!»
«D'accordo...», aggiunge lui ironico, «ma con questa nebbia non corriamo certo il pericolo di incrociarne lo sguardo, a meno che non salti giù da un albero e ci si appenda al naso!»
Duecento metri più in alto di Agneda, c'è un bivio. Abbandoniamo la carrozzabile a favore del sentiero sulla sx con indicazioni per la Mambretti. Attraversiamo lo sgangherato Ponte della Padella (m 1400 ca., ore 0:30).
Serpeggiamo nel bosco per ritrovarci a breve dinnanzi a un bizzarro cartello: «CANI AL GUINZAGLIO, GALLINE AL PASCOLO». Ehh?? Poi, giunti nei pressi della casa del guardiano della diga di Scais, una ventina di splendidi esemplari di pennuti ci circondano. Ecco spiegato.
Il gallo più robusto fa il gradasso e comincia a cantare a squarciagola. Poi fa una pausa per prender fiato e s'accorge che i nostri stomaci brontolano. Immaginandosi già sullo spiedo sceglie d'allontanarsi prima di finire nei nostri zaini. Ridiamo.
Costeggiamo tutta la diga per il suo versante settentrionale. Passiamo vicino alla ex-capanna Guicciardi, inaugurata come rifugio alpino il 17 settembre 1898 e dismessa qualche anno dopo perché ritenuta in posizione poco strategica. Oltrepassato un bosco di abeti, usciamo sul pratone dell'alpe Caronno. Vicino al ponte sul torrente ci sono due malghe in disuso, tutto ciò che rimane delle baite di Caronno (m 1612, ore 0:45).
Le irregolarità della nebbia ci regalano fotogrammi dell'imponente testata della Val Caronno con la maestosa Cresta Corti, spartiacque fra i bacini di Scais e di Porola.
Superata l'alpe il sentiero si fa più ripido fino al limite della vegetazione accompagnato dal solito scherzoso cartello che chiede di portare legna al rifugio. Un tronco di larice su una spalla, un abete sull'altra, muscoli allo spasimo. Arranchiamo per un centinaio di metri e ci troviamo davanti la Mambretti (m 2003, ore 1).
Ci ripariamo dalla pioggerellina dentro il locale invernale, siamo tutti bagnati. Attendiamo mezz'ora nella speranza che il tempo cambi, ma nulla da fare, dobbiamo accontentarci ed essere audaci. Pianeggiamo verso E su sentiero segnalato, dopodiché, al confluire del torrente di Porola con quello di Scais ci portiamo sulla morena centrale, quella che costituisce il naturale prolungamento occidentale della Cresta Corti. In epoca tardiglaciale costituiva la linea di divisione fra le lingue delle vedrette di Scais e Porola, che quindi, più in basso dove si esaurisce la morena, confluivano in un fronte unico.
Risalito lo spartiacque petroso per oltre 500 metri, pieghiamo a dx e c'introduciamo nel vallone di Scais, incassato fra la costiera O del Brunone e la Cresta Corti. Dopo aver più volte assaltato il costone settentrionale della valle, esserci incengiati e aver così intuito che la Punta di Scais doveva essere molto più avanti, ci riportiamo nel centro della gola e risaliamo quel poco che rimane del bacino ablatore di Scais.
Per gande, neve e ghiaccio raggiungiamo la cosidetta “schiena del mulo”. Fino a pochi anni fa (4 o 5) era la zona più ripida e crepacciata dell'intera vedretta e per superarla bisognava assolutamente mettere i ramponi. Oggi segna invece, con un ampio risalto roccioso, il confine fra i due lobi del ghiacciaio di Scais (m 2600 ca., ore 2).
Alle 16, finalmente, la nebbia si dissolve. Individuiamo la vetta e un possibile tracciato lungo il versante SSO. Una ripida rampa di sfasciumi e rocce sale il fianco meridionale della valle fino alla fortezza rocciosa dominata dalla poco evidente Punta di Scais a sx e dallo slanciato Torrione Curò a dx. La fortezza è rossiccia e solcata verticalmente da tre canali: il più occidentale, scopriremo, è il Bonomi, quello intermedio è anonimo, mentre quello che s'insinua a sx del Torrione Curò è il Baroni, percorso scelto dai primi salitori e da molti considerato la via Normale alla Punta di Scais. A E della fortezza si stacca una tozza anticima, ironicamente battezzata “Fetta di Polenta” .
È tardi, ma la fortuna ripaga gli audaci. Lottiamo contro gli sfasciumi e risaliamo centralmente la rampa fino ai piedi del canale intermedio, quindi, al cospetto delle bastionate rocciose della fortezza, tagliamo a sx fino all'imbocco del canale Bonomi (m 2900 ca., ore 1:10, abbiamo costruito un ometto fichissimo come riferimento... se non è già crollato!).
L'angusto colatoio ha rocce talvolta friabilissime, oggi per di più bagnate. Esitare troppo sugli appigli significa attendere che questi si sbriciolino, quindi ci muoviamo molto rapidamente. Dopo 50 metri d'arrampicata (passi di III con provvidenziali terrazzini), nell'ultimo tratto del canale dobbiamo infilarci in un camino (10 metri, IV). Cola acqua ma, seppur con qualche difficoltà, guadagniamo la cresta. Paesaggio stupendo, indescrivibile. Soffia vento gelido dalla vedretta di Porola, mentre le croci sul Redorta e sul Pizzo di Porola luccicano freneticamente. Tutte le cime sono spruzzate di neve fresca, l'aria è frizzante. Ma, nonostante le bellezze della natura, io non riesco a distendermi. Superati pochi metri di cresta verso E ci troviamo su un poggio di fronte ad un'erta e liscia piodessa, alta più di 10 metri. È l'ultimo ostacolo verso la vetta. Tutti i racconti che abbiamo letto concordano nel definire questa parete la maggiore difficoltà dell'intera ascensione. Abbiamo gli scarponi bagnati e la roccia è scivolosa.
Tento inizialmente lo spigolo che guarda l'O, le due croci di vetta sono appena lì sopra. Quattro appigli e volo giù. Non ce la faccio, gli scarponi non tengono, di lì non posso passare. Torno vicino al Tarabini che mi osserva perplesso. Mi fermo e rifletto. Noto una sottile cengia che sale trasversalmente verso E, tutta esposta all'orrido del canale intermedio. Non ne ho mai sentito parlare, ma la provo lo stesso, il mio intuito mi dice che è la scelta giusta. L'affronto come se stessi camminando sul cornicione di un palazzo, busto aderente alle rocce. L'idea del vuoto prende il mio zaino e lo trascina verso l'abisso. Mi convinco che è solo un'illusione e proseguo.
Pochi passi e i miei piedi in cerca di una passatoia scalzano alcuni sassi. Guardando nella feritoia fra il mio corpo e la piodessa, vedo le pietre precipitare per poi frantumarsi quasi cento metri più in basso, laggiù dove prima stavamo mangiando pane e salame. Un nodo in gola. Se sbagliassi anche solo un appoggio finirei laggiù pure io. Romperei la macchina fotografica, devo stare attento!
Vedendomi esitare, il Tarabini urla: «Se vuoi torniamo indietro, intanto è come se fossimo arrivati in cima, questi dieci metri non fanno di certo la differenza! Non lo diciamo a nessuno. Torna indietro!» Ma così facendo risveglia il mio orgoglio (o forse la mia consapevolezza che indietro è meglio non tornare). Un rigurgito di grinta, pochi strappi con le mani, e sono in vetta. La Punta di Scais, il paradiso (m 3039, ore 1)!
Lì a fianco c'è il Redorta, tutto sporco di neve ventata, sembra un temibile ottomila. Poi quante cime! Gira quasi la testa. La vista è chiusa solo a SSO dall'anticima occidentale della Punta di Scais, pochi metri più bassa. Ah, mi dimenticavo, il Tarabini.
Fisso la corda a un masso e, mentre mi guardo in giro, mangio una banana e scatto foto, fingo di fargli sicurezza.
Sono le 17:30, entrambi siamo in vetta.
«Prenderemo notte».
«Non ho il frontalino. Pirla!»
«Sei un pirla! Abbiamo solo un frontalino!», esclama il Tarabini.
Provo a giustificarmi: «Oggi pensavo di tornare che era ancora giorno, invece la nebbia ci ha fatto sprecare molte ore a vagare invano. I soliti imprevisti».
La Val Morta è completamente in ombra, il Brunone sta oscurando la valle di Scais, il vento gela le orecchie, il pizzo del Diavolo e il Diavoletto s'incendiano al tramonto e le preoccupazioni per l'ora tarda svaniscono dinnanzi a uno stupore immenso!
Per la discesa ce la caviamo con 4 tiri in corda doppia (20 m) e una ventina di imprecazioni per le cadute nell'oscurità di boschi di Caronno.
Ore 21, siamo alla macchina, grazie alla nebbia ci abbiamo messo il doppio del necessario, ma ce l'abbiamo fatta! Non era poi così difficile...
 
Enrico Benedetti
 
(2 - segue)

Foto allegate

Il canale Bonomi
L
Il pizzo Redorta visto dalla Punta di Scais
h 18. Ultimo sole su Pizzo del Diavolo di Tenda e Diavoletto; una nuvoletta accarezza Pizzo dell
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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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