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Robert Musil. La ricerca di una possibile via verso la conoscenza di un adolescente del primo Novecento
17 Dicembre 2006
 

 

Anche se il nome dell’ingegnere Robert Musil (1880-1942) si lega soprattutto a quell’immenso frammento che è il suo romanzo L’uomo senza qualità, l’opera con la quale egli si affermò come scrittore è imperniata sulla figura di un inquieto adolescente che tenta di mettere ordine nella propria confusione interiore. Si tratta del protagonista del breve romanzo I turbamenti dell'allievo Törleß, concluso nel 1906, l’unica opera di questo scrittore austriaco che godette davvero di un certo successo di pubblico. Törleß, mandato a studiare in un severo collegio, si trova per la prima volta da solo con se stesso e si sforza di trovare la propria collocazione in un mondo che all’improvviso gli risulta estraneo e per questo lo sconvolge. Iniziato alla sessualità da due compagni dai tratti animaleschi, Törleß vive con angoscia il divario che separa la sfera delle intime pulsioni da quella delle regole dell’etica borghese; anche perché gli è del tutto estranea l’aggressività di quei due allievi, esponenti di quella parte della gioventù che da adulta avrebbe inneggiato alla guerra.

I due compagni, che in una stanza appartata del convitto abusano del timido Basini, incapace di reagire alla loro violenza, suscitano in Törleß sentimenti contraddittori, insieme di attrazione e di ripulsa; questo gli rende impossibile una decisa presa di posizione: non sa né intervenire in difesa della né opporsi alla smargiassa vigliaccheria dei due molestatori. L’allievo Törleß attraversa così una profonda crisi, vivendo con angoscia la propria intima divisione, che lo paralizza perché non gli permette più di dare della realtà una valutazione univoca. Persino quando spera di aver trovato nei numeri immaginari una via forse in grado di consentirgli un’analisi corretta e definitiva della verità ultima che sta oltre il dato reale apparente, Törleß viene disilluso dal professore di matematica, che gli spiega che questi numeri sono soltanto il frutto di una “necessità del pensiero”, quindi prodotti della pura astrazione e utili per un’indagine meramente virtuale del mondo.

Neanche la filosofia di Kant, cui Törleß si aggrappa nel tentativo di capire se stesso e la realtà, lo porta molto avanti. Solo quando si confida con Basini e intreccia con lui una relazione intima, quando cioè non mette in gioco non soltanto il proprio intelletto ma anche le proprie pulsioni più recondite, Törleß arriva a una svolta; perché le “grandi scoperte” dell’esistenza nascono dal connubio di razionalità e fisicità, dall’intreccio dell’intelletto puro con il “baratro buio” dell’intimità.

Quando Törleß lascia il collegio, ha ormai capito che non esiste una forma di conoscenza assoluta e definitiva, perché affrontando il problema gnoseologico è possibile pervenire soltanto a “soluzioni parziali”. La cosiddetta realtà, infatti, è il prodotto di energie innumerevoli che si combinano di volta in volta in varianti sempre diverse, producendo infinite aggregazioni possibili, per cui sia logica sia emozionalità hanno valore esclusivamente relativo. Testa e cuore, insomma, vanno sempre considerati in un rapporto dinamico di reciproco scambio, consapevoli che quanto comunemente si chiama realtà non è che un magma mobile, inafferrabile in maniera definitiva, sempre passibile di mutazione e quindi sempre soggetto a revisione. L’esperienza di Törleß anticipa cioè quella di Ulrich, de L’Uomo senza qualità.

 

Gabriella Rovagnati


 
 
 
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