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Evento: Masada Marathon
10 Novembre 2010
 

Cominciamo dalle cifre: Teatro Manzoni esaurito da settimane, 28 musicisti in scena distribuiti in dodici formazioni per quasi quattro ore di concerto con un piccolo intervallo di 10 minuti. E verso la una di notte, al termine dell'ultimo brano di Electric Masada, tutto il pubblico in piedi a rumoreggiare e a chiedere un bis, impossibile per orario e per intensità fin lì profusa. Ovviamente si è ascoltato di tutto, in perfetto stile Zorn: dall'hard rock alla musica da camera, passando per tappe intermedie costituite dalle infinite variazioni della musica di questo geniale newyorkese. Fondamentalmente la musica di Book of Angels parte dalla tradizione ebraica, svincolandosi però da qualsiasi altro rapporto fatta salva una profonda spiritualità nei contenuti e nelle intenzioni. Da questo nucleo iniziale la scrittura appassionata e colta di Zorn si inerpica per strade alquanto differenti sia nella forma che nell'esecuzione: nelle 12 proposte presentate qualità e progettualità sono apparse differenti, e non poteva che essere così, mantenendo comunque minimi comuni denominatori di altissimo livello. Va detto che una proposta di questo impatto sarebbe stata sufficiente ad organizzare un intero festival a tema programmato nell'arco di più giorni, dando così modo ad ogni formazione di esibire repertorio e talento nella giusta durata. Lo sforzo di Gualberto è comunque stato vincente e ripagato dal sold out e dalla qualità complessiva dell'evento. Un gruppo per il quale il limite dei 20 minuti a testa è sicuramente stato molto penalizzante è la versione acustica di Masada con il quale si è aperta la serata: il quartetto rimane una delle formazioni migliori nella variegata espressività zorniana nonchè la proposta più compatibile con il linguaggio jazzistico. Con il duo Courvoisier/Feldman si è penetrati nel lato cameristico e colto, non per questo statico o noioso, con tre duetti che hanno visto il violino protagonista ed il pianoforte nel ruolo di accompagnamento.

Banquet of the Spirits, gruppo capeggiato dal percussionista Cyro Baptista, ha dato una versione della musica di Zorn tutta giocata sui ritmi ed i colori delle percussioni sud americane. Proposta godibile ma piuttosto superficiale, qui i 20 minuti sono parsi giusti. Autentica sorpresa della serata è stato il quartetto vocale Mycale, una formazione che fa di Meredith Monk e di Bobby McFerrin i parametri della propria avventura. Con un controllo timbrico e tonale di assoluto rispetto hanno proposto i temi di Zorn in spagnolo ed ebraico, conquistando velocemente il pubblico con bravura e simpatia. Solo il cappello da pastore con il quale è entrato in scena Baptista è parso più blasè del look delle quattro ragazze: in una sola parola, terrificante! Per fortuna il talento mostrato sul palco era inversamente proporzionale al gusto nel vestire. Medeski, Martin & Wood hanno proposto il loro tipico groove, pesante e alla lunga statico, ma collaudato e senza rischi. Anche qui il tempo concesso mi è parso bastante. Formazione più stimolante della serata, a mio parere, il Bar Kokhba che vedeva un immenso Marc Ribot dettare trame e prendere sontuosi assolo su temi apertamente klezmer. I 20 minuti più corti della serata.

Dopo un brevissimo intervallo è la volta dei Dreamers, gruppo per il quale ultimamente Zorn ha scritto molto materiale. Formazione equilibrata, impostata sui toni medi e su una ricerca melodica non scontata, Dreamers è aperto, variegato ed intrigante. Concentrato, creativo e tecnicamente formidabile: non avrei altre parole per descrivere l'unico solo della serata, il mini concerto del violoncellista Erik Friedlander. Giusto il tributo di applausi riservato dal pubblico. Bester Quartet, ovvero Cracow Klezmer Band, ha proposto una versione zorniana più mittleuropea e profumata di colori zigani, evitando luoghi comuni e rimanendo concentrata sulla sostanza musicale. Intensa la proposta del New Klezmer, trio capeggiato dal clarinettista Ben Goldberg: nessun orpello ma lucida e corposa qualità. Ottimo e, purtroppo, poco abbondante il Masada String Trio: Feldman, Friedlander e Cohen in un contesto che di cameristico ha solo gli strumenti. Per il resto invece è ritmo, idee e soluzioni intelligenti. Un po' provato arrivo all'ultima formazione in programma, l'Electric Masada: un concentrato di stimolazioni elettriche, percorso da umori heavy e cortocircuiti ritmici, proposta esagerata e di elevato impatto volumetrico, mi è parsa la summa ma non il meglio della scrittura di Zorn. Un caotico post-rock, mutabile rapidamente in free-punk, innervato da convulsioni dark-epilettiche e sparato a decibel quasi al limite della soglia del dolore. Molto energetico ma, a mio gusto, molto meno interessante rispetto ad altre proposte.

Che dire, infine, di Zorn? La sua presenza era immanente: visto suonare il sassofono con una mano e dare istruzioni ai musicisti con l'altra, dirigere i vari gruppi in piedi e seduto, portare strumenti e microfoni sul palco, presentare le formazioni, prendere assoli devastanti, sorridere soddisfatto ai musicisti e al pubblico. Un evento. Da ricordare.

 

Roberto Dell'Ava


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