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Afghanistan e Libano. Che si può fare di concreto
05 Agosto 2006
 

Avevo promesso di stare un po' zitta, ma come si fa? il Senato è chiuso, ma la storia non sta ferma. Aggiungo un po' di considerazioni su come ci si deve cominciare a preparare per ottenere alla fine dell'anno un rientro dall'Afghanistan il maggiore possibile; e che cosa si può fare per il Libano, in modo che non resti senza appoggio la decisione del governo italiano di tenere fermo che non si manda nessuno se prima non si ottiene il cessate il fuoco.

Sull'Afghanistan due cose già in cantiere e da realizzare sono la seconda conferenza tra le parlamentari afgane e quelle italiane, proposta dalle senatrici dell'Unione (tutte) e che il governo non ha rifiutato, e la composizione e il programma della Commissione di monitoraggio (con adeguata presenza di genere) sul mantenimento di ciò che è stato deciso fino a dicembre.

A mio parere per avere voce in capitolo sul ritiro delle nostre truppe bisogna sforzarsi di inventare presenze anche militari, ma non belliche. Faccio un esempio. Una delle questioni in Afghanistan è la coltivazione intensiva del papavero da oppio. Propongo che la si controlli invitando le ditte che fabbricano medicamenti antidolorifici da oppio ad acquistare a prezzo remunerativo per i contadini, sotto controllo N.U. (c'è una agenzia delle Nazioni Unite ad hoc, mi pare) il raccolto, a patto che i contadini si impegnino a mettere dal prossimo anno di lavoro altre colture, ad esempio mais per produrre benzina non da idrocarburi. Per avviare e gestire una operazione di questo tipo serve la Guardia di Finanza, che potrebbe sostituire al ribasso di numero truppe ahimè addestrate ad altri “compiti”. Per vedere quali colture sono lì utili si possono inviare guardie forestali e servizio civile addetto alla cooperazione internazionale, dato che l'Afghanistan, terra di alte montagne, ha grandi foreste e la silvicoltura sarebbe molto utile e potrebbe fornire legname da costruzione, pasta di legno per combustibile ecc. ecc. Il mio disegno è di proporre sostituzioni che aiutino il popolo afgano a produrre cose utili e sé e agli altri, dato che è un popolo poverissimo e per aiutarlo a sottrarsi alle “soluzioni” disperate o alla sottomissione senza speranza bisogna dargli non prediche sulla democrazia e sulla “superiore civiltà occidentale” o servizi segreti, ma collaborazione, cooperazione e rispetto per le sue tradizioni. Sono certa che non si può intervenire sulla situazione delle donne che è molto dura e difficile e peggiorata, senza la collaborazione delle donne stesse (ma le afgane sono molto attive politicamente) e senza la collaborazione con altre associazioni di donne musulmane. Come si vede il solo annuncio di questo abborracciato progetto di lavoro sarebbe già utile per molte associazioni che vogliano pensarci e suggerire altro, criticare o demolire questo come irrealistico ecc. e a parlamentari delle commissioni difesa ambiente agricoltura ecc. Coinvolgere molti e molte serve anche perché le pressioni sul governo è bene che non siano – a mio parere – tutte e solo comandi di andare via tutti e subito senza condizioni perché non servono. Mostrare che ci sono davvero utilizzi possibili anche di formazioni militari non combattenti è molto importante. Almeno questa è la mia opinione e la giro a Sodano (che presiede la Commissione Ambiente) e a Celeste Nardini (che fa parte della Commissione Agricoltura).

Non voglio essere più invadente di quanto già non sia di natura e mi taccio.

Anzi no, passo al Libano. Per quanto sia comunque straziante, credo bisogni tenere ferma la posizione italiana e francese e rafforzarla anche dai movimenti, perché se una spedizione viene inviata prima del cessate il fuoco non può essere che una spedizione di guerra a tutti gli effetti e l'inizio forse dell'incendio generale. Allora: cessate il fuoco, allargare le alleanze, appoggiare i governi europei che si trovano su questa posizione, enfatizzare le difficoltà che trovano quelli guerrafondai (Regno Unito e Germania: la famosa cattolica Angela Merkel come la mette col papa?) (so che è poco laico chiederlo, ma pazienza, per una volta che il papa prende una posizione giusta, benché solo predicatoria, non risulta che abbia dato compiti alla sua rappresentanza diplomatica sparsa in tutto il mondo e molto efficace e rispettata per la sua sperimentata abilità) (né per il vero che abbia fatto arrivare qualche richiamo a Casini o a Cesa ancora lì a dire che Israele è invaso e minacciato). Enza Panebianco ha raccolto e inviato articoli e tavole rotonde di esperti su lisistrata e se ne ricavano molte indicazioni utili. Ad esempio l'Europa potrebbe proporre alle N.U. e anche attivare da parte sua, se ogni proposta è sempre bloccata alle N.U. dal veto USA, un embargo alla vendita di tutte le macchine movimento terra, caterpillar o altre, che Israele compra e usa per i muri ecc.; si potrebbe pure mettere l'embargo o (cosa che si può sempre fare anche individualmente o dalla società civile) organizzare il boicottaggio della frutta che viene da Israele come pompelmi ecc.; tutte le misure restrittive di invio o compravendita di armi munizioni investimenti da banche armate sono da sostenere e da mettere nei programmi di iniziative politiche per ottenere il cessate il fuoco. Oggi (03/08/2006, ndr) i telegiornali hanno mostrato soldati israeliani in territorio libanese che ammassavano centinaia di mine antipersona: sono armi vietate e illegali, non si può lasciargliela passare, le stanno mettendo in una terra dove già ce ne sono a non finire. Vengono ancora dalla Valsella? naturalmente non si può né deve essere unilaterali e quindi chiedere anche il disarmo degli Hetzbollah, persino quando il legittimo e moderato governo libanese afferma che essi sono l'unica e più efficace resistenza all'occupazione. Come sempre, come già per l'Iraq la resistenza anche armata di un popolo invaso è legittima, ma io non perdo il diritto di giudicarla nei suoi metodi e il metodo terroristico non si può accettare. La resistenza degli Hetzbollah comunque dimostra ancora una volta che gli eserciti regolari sono diventati solo ingombri inutili, che danneggiano a non finire e non vincono nemmeno più guerre. Sarebbe molto importante che iniziative di politica di pace venissero favorite anche da delibere o messaggi dai consigli comunali, provinciali e delle regioni, come ha fatto il comune di Alba.

E per il momento è tutto grazie...

 

Lidia Menapace

 

 

Fin qui la comunicazione della Senatrice del 3 agosto. In data 31 luglio, Lidia aveva inviato una nota contenente alcune considerazioni sulla “crisi del movimento per la pace”. Non avendola potuta pubblicare subito, per non “ingolfare” la rubrica che già ospitava quel giorno le motivazioni al voto sull'indulto e sul proseguimento della missione in Afghanistan, ve la proponiamo in calce alle odierne considerazioni, per opportuna documentazione. (Red.)

 

La crisi del movimento per la pace è evidente e non da oggi. Provo a ripercorrere il processo: la prima grande ondata di delusione e amarezza ci fu quando, dopo le straordinarie manifestazioni di milioni di persone, la guerra del Golfo continuò: e anzi le scuole di pensiero militarista intensificarono i loro orrendi messaggi con la teoria della guerra chirurgica, infinita, preventiva, e acquistavano anche consenso. Qui ci è mancata una prima capacità di riflessione e di replica efficace e nel merito. Ripetere no alla guerra e viva l'art. 11 era sempre giusto, ma via via meno efficace. Non siamo stati/e capaci di declinare risposte più mature articolate e atte a sedimentare una vera cultura politica di pace. Abbiamo avuto fiducia nello spontaneo rifiuto della guerra che tutti i sondaggi trovano e documentano, ma che non ha mai fermato nessuna guerra, resta un sentimento inefficace perché non sostenuto da una vera cultura politica, strumentazione comunicativa, formazione scolastica, mezzi alleanze discorsi.

Già nel 1991 soprattutto alle persone giovani sembrò impossibile che la pressione popolare non venisse tenuta in considerazione: si cominciò a vedere una certa incapacità del movimento di tenere conto del rapporto di forze reali, ma si sperò che ripetendo manifestazioni, bandiere della pace alle finestre ecc. si sarebbe potuto risalire il disagio e l'insuccesso. Ma non andò così: la ripetizione ossessiva delle forme finì per ricadere su se stessa e ripiegarsi. Credo che abbiamo fatto male a non sentire la pressione di chi chiedeva strutture organizzative, programmi di formazione, un progetto politico: forse non era possibile, ma comunque non ci siamo riusciti. Sicché nel movimento si è consolidato un certo modo ripetitivo di azione e via via un indebolimento, anche perché essendo il movimento tutto e sempre autofinanziato non era possibile reggere una serie continua di manifestazioni con spese, dispendio di tempo ecc.

Per quanto mi riguarda ho cercato di porre qualche tema, quello della neutralità che è stato rifiutato ed è caduto, purtroppo. Allora avevo proposto quello di lottare per il diritto all'obiezione di coscienza anche dei militari di mestiere, ma addirittura non se ne è voluto nemmeno parlare; allora ho detto un paio di volte che bisognava sostenere il dissenso e aiutare una sindacalizzazione decente delle forze armate. Addirittura favorire la renitenza o la diserzione, tutte cose non sostenute, anzi rifiutate dal movimento, ma evidentemente raccolte con attenzione dai circoli della cultura militare, dato che nei messaggi di insulti e minacce che mi continuano ad arrivare sono spesso indicata come quella che vuole far disertare le nostre truppe, oltre che essere quella che vuole abolire le frecce tricolori ecc. ecc. Secondo me l'atteggiamento di totale sfiducia e disprezzo che trovo nel movimento verso i militari rasenta il razzismo e rinuncia ad avere una interlocuzione e un rapporto con loro, cioè rinuncia ad avere una efficacia politica, proprio là dove è più necessario averla. (l.m., 31/07/2006)


 
 
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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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